Autore: Dott. Stefano Virgili

 

Quando l’arbitro fischia indicando il dischetto tutti si sentono più sollevati: tifosi, calciatori e staff tecnico della squadra che ha guadagnato il calcio di rigore. Poco importa se l’azione si è svolta in modo alquanto dubbio e il direttore di gara è circondato dai giocatori avversari con fare minaccioso.

I giocatori in campo si abbracciano quasi come aver realizzato un gol.

Tutti felici.

Tranne uno: il rigorista. Che si appresta ad affrontare una prova senza appello.

E’ consapevole di assumersi una pesante responsabilità: se segnerà avrà fatto soltanto il suo dovere, se sbaglierà sarà sempre ricordato come colui che ha fallito un calcio di rigore, quasi fosse scontato che il penalty sia una semplice formalità.

E’ necessaria una grande stabilità interiore per gestire una responsabilità in condizioni ansiogene: effetto pubblico, paura del giudizio generale, paura del giudizio degli altri compagni di squadra compreso l’Allenatore.

Chi calcia mette una maschera per disorientare il portiere, il rigorista deve nascondere le sue intenzioni anche con i gesti e i movimenti del corpo.

Quello fra il giocatore che sta per tirare il rigore e il portiere che si appresta a tentare la parata è infatti uno strano gioco di abilità reciproche, tant’è che, a volte, è difficile stabilire il merito del portiere piuttosto che l’errore del calciatore incaricato della battuta.

La preparazione mentale all’impegno è comunque la base fondamentale di ogni gesto o azione sportiva. I gesti anche più semplici sono determinati da processi psicologici che condizionano gli eventi fisici fino a determinarne il risultato.

Il calcio di rigore è un gesto atletico che implica un elevato grado di capacità:

  • capacità di estraniazione dall’ambiente che può distrarre (gli occhi puntati addosso);
  • capacità di focalizzare rapidamente l’attenzione sugli elementi fondamentali di preparazione al tiro;
  • capacità di immaginare mentalmente l’azione complessiva di tiro prima di realizzarlo praticamente;
  • capacità di mascherare le intenzioni al portiere, rendendo impermeabile la comunicazione non verbale (posizione del corpo, orientamento dello sguardo, gesti inconsapevoli) o comunque comunicando intenzioni diverse da quelle che si vogliono realizzare;
  • capacità di leggere negli occhi del portiere le sue intenzioni e di scegliere rapidamente la tattica più idonea.

Inoltre gli elementi fondamentali da considerare in preparazione del tiro sono:

  • screening delle condizioni psicofisiche globali del momento e del livello di attivazione del sistema organico;
  • consapevolezza di parti o sistemi del corpo (respirazione, cuore, gambe, piedi) al fine di raggiungere uno stato di tensione ottimale;
  • riproduzione mentale del programma di tiro elaborato in allenamento e di qualche soluzione di ripiego, nel caso il portiere compia movimenti anticipati o imprevisti;
  • concentrazione sull’obiettivo da raggiungere (traiettoria e punto di arrivo della palla).

Tatticamente il rigorista ha molte possibilità: il calcio di potenza, il calcio con la finta che mira a spiazzare il portiere, il tiro rasoterra nell’angolino dove il portiere non potrà arrivare. E ognuna di queste scelte, naturalmente,  comporta dei rischi.

Ma torniamo ad osservare il rigorista sul terreno di gioco dopo che l’arbitro ha decretato l’assegnazione della massima punizione.

Corre subito a prendere il pallone che, spesso, gli avversari hanno calciato lontano in segno di protesta, rabbia, frustrazione, paura. Talvolta è un compagno di squadra che porge al rigorista la palla, accompagnandola con due parole di incoraggiamento.

Mentre è in atto la “cerimonia” delle proteste avversarie nei confronti dell’Arbitro, il rigorista passeggia con il pallone ben stretto, controlla se è ben gonfio, se rimbalza a terra.

Il rigorista si isola, non parla con nessuno, non guarda gli spalti.

Quando l’area di rigore si libera l’ansia è già a un buon livello, i battiti cardiaci aumentano decisamente, la sensazione di disagio è diffusa.

Il rigorista vorrebbe passare la mano, fare da spettatore, assistere al tiro di un compagno. E invece tocca proprio a lui.

Finalmente mette con cura il pallone sul dischetto e si posiziona, in genere, al limite dell’area: la riga è un elemento simbolico e rassicurante, infatti tutti gli altri protagonisti devono porsi al di fuori del perimetro che delimita l’area di rigore.

Il rigorista guarda con paura la porta che nel frattempo (ai suoi occhi) è diventata più piccola e la distanza degli undici metri appare un’enormità.

Tutto è pronto.

C’è tensione nei volti dei protagonisti, compreso l’Arbitro.

Cala un silenzio assurdo nello Stadio, tutti col fiato sospeso.

L’Arbitro fischia.

Gli occhi dei giocatori, dei tifosi, dei telespettatori sono puntati sul pallone.

Il rigorista espira per l’ultima volta prima di compiere quei quattro-cinque passi di rincorsa in apnea.

Coraggioso e solo.