Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dell’Autore

 

25 Novembre, Pollicino è donna!

Hanno costruito una gabbia affinchè la mia
libertà fosse
una loro concessione e ringraziassi e obbedissi.
Ma io sono libera prima e dopo di loro,
con loro e senza di loro
sono libera nella vittoria e nella sconfitta.
Sono una donna.
Credono che la mia libertà sia loro proprietà
e io glielo lascio credere
e avvengo
Joumana Haddad
( Intellettuale Libanese, donna)

25 Novembre

C’è stato un 25 novembre anche nel 1960. In quell’anno, nella Repubblica Domenicana, c’era il regime e rispondeva al nome di un uomo, Rafael Leonidas Trujillo. Ma quel novembre sarebbe stato diverso e da quella giornata sarebbe partita una nuova consapevolezza che avrebbe fatto crollare la dittatura e avrebbe portato all’assassinio del tiranno già l’anno successivo.

Cosa successe? Tre sorelle, tre storie, tre donne.

Si chiamavano Maria Argentina Minerva, Antonia Maria Teresa e Patria Mercedes, le sorelle Mirabal. Cresciute in una famiglia benestante, contrarie alla dittatura e legate a uomini anche loro ribelli, quel 25 novembre, le tre sorelle stavano andando in carcere, dove era rinchiuso il marito della maggiore. Furono prese di sorpresa, torturate e uccise a bastonate dai servizi segreti e, se non fosse abbastanza, buttate giù da un burrone. Le tre donne, si facevano chiamare “Las Mariposas” ( Le Farfalle) ed erano legate alla lotta per la libertà del loro paese. La loro morte violenta, commosse talmente l’opinione pubblica e, talmente la indignò, che la violenza si ritorse contro il tiranno, che si trovò in breve tempo a cedere e morire come ci racconta anche il libro di Julia Alvarez, “Il tempo delle Farfalle” (1997, Ed. Giunti).

Nel 1981 un gruppo di altre donne a Bogotà, chiese una giornata che ricordasse queste farfalle ferite, il coraggio e la violenza con cui erano state uccise le sorelle Mirabal e, dal1999, con la risoluzione numero 54/134, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha deciso che quel giorno ci fosse e che ne parlassero governi e Ong, associazioni e chiunque potesse portare avanti un dialogo contrario alla violenza sulle donne.

Oggi è il 25 novembre 2014 ed è la“Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”. Ma la violenza è ancora molta e sembra sempre più difficile trasformarla in altro, si cercano parole adatte, motivi, sanzioni ma le donne morte, ogni anno, aumentano. Gli psicologi, la psicologia, fanno molto per contrastare il fenomeno, numeri dedicati, educazione alle emozioni, tentativi di ascolto, programmi per le vittime e per i loro abusanti, assassini, carcerieri. Eppure giornali e quotidianità non smettono di raccontarci di violenza, di ferite, di lacrime.

In Piemonte, l’Ordine degli Psicologi di cui faccio parte come consigliera, sostiene e partecipa a queste iniziative, a Torino prendendo parte al tavolo della provincia dei“Progetti a tutela delle donne vittime di violenza tramite programmi di cambiamento dei maltrattanti” e a Cuneo sostenendo la Rete Antiviolenza che anche quest’anno organizza una serie di eventi per sensibilizzare la popolazione sul tema della violenza alle donne.

Eppure. Sembra proprio sia facile ferire, colpire, curare con il sangue che scorre la mancanza delle parole, la fatica di trovare una voce comune con chi ci è accanto, che non urli ma comprenda, ascolti, trovi soluzioni, accetti. Nelle relazioni, che si dicono d’amore ma che spesso ben poco hanno a che fare con questo, la violenza diventa lo strumento per tenere legata la donna che si ama o che si dice a se stessi di amare. La paura, il dolore sono le sole armi per chi non ha altri argomenti per tenere in piedi una relazione svilita, spesso inconsistente o giunta alla fine. Paura di affrontare i dissidi parlandone, trovando le parole giuste, soffrendo insieme alla ricerca di una soluzione che non debba essere la semplice legge del più forte, che non sia il livido che segna le braccia, le gambe, il volto. Un livido non è amore, è violenza, è debolezza.

Gli uomini sono fragili e spaventati e questa debolezza, di strumenti e risorse, si trasforma in mani alzate, pugni, armi che sparano. Complice, troppo spesso, unacultura che ancora disegna una mascolinità necessariamente violenta, che non riesce a educare all’intimità ma inculca sin da subito il valore del “SII UOMO” e “Prendi quello che vuoi”. Spesso i colpevoli che agiscono la violenza, ne sono vittime quanto le donne che ne muoiono. Incapaci di accettare un NO, si trasformano annullando nella morte e nei colpi che danno, chi li ha respinti ma cancellando insieme, buona parte della propria umanità.

In Italia ci sono un 73% di donne maltrattate, vittime di stalking o criminal harassment, donne ferite, vittime. Come segnala il sito degli interni, dal 1° agosto al 31 luglio dello scorso anno sono state presentate ben 38.142 denunce, un numero in crescita dove relazioni affettive e famiglia sono i contesti che non proteggono ma fanno male maggiormente.

Violenza fisica, psicologica, sessuale, stalking sono le forme più visibili da contrastare ma esiste anche una violenza più subdola, quella economica che si concretizza con il non far accedere le donne alla gestione delle finanze della famiglia, occultandole, sfruttando la donna o boicottandone il lavoro esterno cercando di chiuderla nelle mura domestiche.Perchè un essere che si sente solo, incapace e debole, senza risorse, cede più facilmente alle minacce, accetta la coercizione e i ricatti, vive in estrema confusione i cambi repentini di umore di chi abusa, passando dalle mani alzate agli abbracci.

Se è vero che la violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci” ( come scriveva lo scrittore Isaac Asimov) è anche vero che la violenza crea incapacità. Quella di parlare, farsi ascoltare e difendersi. Per questo è fondamentale che le donne  non si sentano sole e abbiano il coraggio di denunciare, sapendo che verranno ascoltate.

Ma non è solo la violenza fisica a ferire le donne. Non è solo nelle manialzate e nelle voci grosse che si manifesta l’aggressività contro la donna. Non sono solo i corpi delle donne a sanguinare, sono le loro anime ferite. Nel rispetto che non trovano, nella parità che resta spesso solo una parola, nelle piccole difficoltà quotidiane in cui si trovano sole, senza nessuno capace di sostenerle, senza riuscire a sentirsi più di niente.

E’ vittima di violenza la madre che si sente abbandonata dopo il parto, quando la depressione la ferisce e la porta ad odiare il suo stesso figlio, pur amandolo, vissuto come un dolore, una prova che non riesce a superare.

E’ vittima di violenza la donna che lavorando deve scegliere se essere madre e moglie o tenersi il lavoro, perchè risulta sempre più complicato, in un mondo lavorativo competitivo e ancora sbilanciato verso gli uomini, difendere il desiderio di soddisfare la voglia di vivere in maniera appagante il proprio ruolo di lavoratrice, professionista, persona competente. Si parla troppo poco si sostegno in questi casi, a coniugare lavoro e famiglia, a conciliarle in maniera soddisfacente.

E’ vittima di violenza la donna malata di endometriosi o di molte altre malattie troppo poco conosciute, che si trova umiliata e ferita, ricattata sul posto di lavoro, limitata nelle sue aspettative e senza nessun risarcimento per i sogni perduti.

E’ vittima di violenza l’umanità quando la riduciamo ad una serie di parole, di immagini arrivate da altri ma da noi assecondate, immagini che ci costringono a pensare e sentire sentimenti contrastanti, che non sanno accettare la natura libera dell’essere umano e per paura lo riducono, lo ammoniscono, lo tengono legato con il ricatto della solitudine e della non appartenenza, costringendo l’impulso creativo, il desiderio e la voglia di essere a farsi piccola, soggiogata.

Uomo e donna, esseri umani che dovrebbero essere complici, si trasformano in intimi guerrieri nella vita comune, spesso allontanati dalla nascita da una cultura che parla di diseguaglianza, che non da spazio alla differenza come ricchezza ma si nutre ancora, come nei secoli passati, di abbagli e terrore, ritenendo che l‘unica differenza possibile e valida sia solo quella tra più o meno forte.

Uomini e donne che non dovrebbero valere come uomini e donne, ma come persone, corpi, meritevoli di essere amati e amarsi, capaci di costruire il personale progetto di vita già solo e in quanto vivi, senza bisogno di armarsi del sesso, del genere, degli stereotipi che invece ancora parlano per noi.

La donna è solo l’altra parte dell’Universo, il più fragile e meritevole di cure, ma non ci sarebbe pace se non ci prendessimo cura anche degli uomini, molto spesso soli benchè di una solitudine diversa, feroce perchè veste il carnefice ma ugualmente mortale per il benessere che ogni creatura dovrebbe avere il diritto e il dovere di perseguire.

Oggi, 25 novembre 2014, la nostra attenzione è sulle donne, sulle tante farfalle che come le sorelle Mirabal hanno smesso di volare a causa delle violenza. Alle madri, compagne, sorelle, figlie che hanno visto nel proprio essere donna una condanna. Ricordando i“Monologhi della Vagina” di Eve Esler :

Quando si violentano, picchiano, storpiano, mutilano, bruciano, seppelliscono, terrorizzano le donne,, si distrugge l’energia essenziale della vita su questo pianeta. Si forza quanto è nato per essere aperto, fiducioso, caloroso, creativo e vivo essere piegato, sterile e domato.

Il 25 Novembre è un giorno a cui fare attenzione. Perchè le farfalle possano non smettere di volare.