Libro: “Allenarsi per Vincere”

Libro: “Allenarsi per Vincere”

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Alberto Cei mette a disposizione di atleti e sportivi tutta la sua esperienza per lo sviluppo di una mentalità vincente, per poter affrontare con determinazione qualsiasi situazione agonistica. Il libro è dedicato agli “sgobboni” e non ai bravi per un giorno. È per chi vuole correre il rischio di diventarlo e non si accontenta dei successi facili. È per chi ritiene che le imprese eccezionali siano il frutto dell’impegno quotidiano, è per chi fa, anche quando piove e il traguardo è ancora lontano. È dedicato anche a chi, pur non avendo più il tempo o l’età per diventare un atleta di alto livello, vuole comunque coltivare la sua passione sportiva e allenarsi per migliorare quelle abilità psicologiche che gli permetteranno di conoscersi meglio e di sviluppare le competenze mentali necessarie a vivere questo impegno in maniera gratificante e positiva.

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Piccole Strategie Autocurative intorno al Film

Autore: Antonio Bufano

vedi Blog www.cinemaepsicologia.it

 

AMELIE POULAN – ll favoloso mondo di Amelie Jean-Pierre Jeunet 2001

 

Esistono piccole strategie spontanee più o meno direttamente autocurative che passano per l’autosomministrazione di titoli, temi e generi filmici, che, pur rischiando talora l’ossessività a causa delle ripetute visioni, sono in grado di agire efficacemente sull’umore e sugli stati emotivi dell’individuo e di dare sollievo e leggerezza alla vita.

Nella vita e nella mia pratica clinica scopro sempre con grande sorpresa che esistono persone che usano il cinema in forme sempre più consapevolizzate e finalizzate. Esistono persone che rivedono periodicamente un film allo scopo di ritrovarvi qualcosa di significativo per sé. C’è chi indugia ostinatamente su alcune scene dove potrebbe concentrarsi il proprio fobico per tentare il suo superamento.

Dunque le persone non sembrano cercare banalmente e unicamente un effetto consolatorio nei film. Cercano piuttosto di rintracciare e prendere contatto con parti di sé nascoste nelle storie umane e vedere tutto come in uno specchio, anche se si trattasse di uno specchio lacaniano in cui lo spettatore, soggetto psichicamente maturo, diventa in grado di identificarsi con qualcosa di diverso dal proprio riflesso.

Tra le persone forse più esperte negli usi curativi del cinema vi sono, senz’altro, i registi, persone allenate a vedere oltre le storie, ovvero quello stesso Oltre che appartiene agli osservatori più fini e che, talora, sostanzia e identifica l’opera d’arte. Fellini, che non rivedeva mai i suoi film considerandoli ormai opere consegnate agli altri, amava rivedere invece Il Circo di Chaplin (Chaplin 1928) per quell’umanità non ordinaria e sofferente che animava il mondo circense.

In passato sono esistite persone che ripetevano a memoria battute tratte dai film di Totò oppure da un film, che specie in ambiente romano, divenne presto un cult Febbre da cavallo (Steno 1976). Il comico con il suo effetto immediato e liberatorio sembra l’elemento più ricercato e diffuso in quanto più disponibile.

Più attualmente il cinema moderno ha saputo proporre atteggiamenti e comportamenti curativi in ambienti non esplicitamente terapeutici. Pertanto c’è chi rivede con precisa e lucida organizzazione un film come Il favoloso mondo di Amelie(Jeunet 2001) con tutto la sua sollecitudine terapeutica che i personaggi sembrano scambiarsi,chi si è perfino fatta stampare una frase del film su una maglietta che indossa regolarmente. C’èchi con frequenza annuale sente il bisogno di rivedere Will Hunting (van Sant 1997) in cui si oscilla tra smarrimento e ritrovamento per un giovane talentoso e arrabbiato. Talora sembra quasi di volere appropriarci di parti desiderabili come la genialità, seppure non sempre rappresentata in termini attendibili. Ci sono anche persone, specie se donne, che si ripropongono all’occorrenza, come fosse un ansiolitico, film come Mamma mia (Lloyd 2008) per rilassarsi o tirarsi su, ovvero un racconto intensamente musicale. Di fatto non conosco induttore più immediato di stati emotivi positivi come la musica che dovrebbe trovare sempre migliore spazio nella vita di tutti.

Naturalmente sembra esserci una connessione tra il profilo emotivo e professionale delle persone e la scelta dei titoli, delle storie e del tipo di narrazione.

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Si possono mescolare le carte della creatività?

Autore: Dott. Giovanni Iacoviello

vedi Blog dell’Autore

 

La casualità e gli ambienti ‘randomizzanti’.

“Agisci in modo da aumentare il numero delle tue scelte”

Heinz von Foerster

 

L’esperimento del ‘brodo primordiale’.

In uno degli esperimenti più importanti del secolo scorso, due docenti dell’Università di Chicago, Miller e Ury, nel 1953 ricrearono circa metà degli amminoacidi e molti dei composti organici essenziali alla vita: zuccheri, lipidi, acidi nucleici. E questo a partire da un apparato di contenitori e tubi contenenti metano, ammoniaca, idrogeno e acqua, stimolati opportunamente con scintille allo scopo di imitare l’effetto dei lampi del ‘brodo primordiale’. Il giornalista e scrittore Steven Johnson parla in proposito di ambienti ‘randomizzanti’, nei quali si verifica lo scontro casuale tra tutte le componenti del sistema per la creazione di elementi nuovi.

Un’idea geniale nasce al microscopio o attorno ad un tavolo?

Qualcosa di simile all’accelerazione creativa dell’esperimento sopra citato avviene per Johnson quando reti di persone si riuniscono in ambienti dinamici come città, gruppi di lavoro o riunioni di ricercatori, dove si verifica un ‘travaso di informazioni’. Pare che le idee possano essere facilitate grazie al confronto con concittadini o colleghi, che hanno punti di vista diversi e modi differenti di interpretare certi risultati o idee.

Il processo creativo è stato ampiamente studiato dallo psicologo Kevin Dunbar, che condusse una ricerca con la partecipazione di gruppi di ricercatori, i quali furono osservati e filmati all’opera. Pare che la sua scoperta più sorprendente sia stata il luogo fisico in cui si verificavano le innovazioni più significative, e cioè attorno ad un tavolo nel corso delle riunioni di laboratorio, mentre gli ‘eureka’ improvvisi e sorti in isolamento sarebbero stati una rarità.

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Se non ci fossero i Nonni… (Nonni, Regole e Psicologia)

Se non ci fossero i Nonni… (Nonni, Regole e Psicologia)

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

vedi Blog dell’autore

 

Accidenti alla smemoratezza della vecchiaia! Non mi ricordo mai d’essere invecchiato.
Gianni Monduzzi

A nessuna età, è facile star sereni, impegnati a far solo le proprie cose. Quindi, nonni, credete con parsimonia al sogno della pensione. Specie nel nostro Paese. Questo viene da dire, con un po’ di amaro in bocca, a vedere i dati delle famiglie italiane. Perchè, la moderna crisi economica, diciamocelo, ha un cuscinetto tutto speciale: i nonni. Laddove lo Stato non sostiene abbastanza le famiglie e i servizi di supporto sono spesso economicamente impegnativi per il budget a disposizione, sono i nonni la vera risorsa che permette a molte coppie, e a non pochi single, di portare avanti le proprie attività lavorative alla nascita dei figli. Questo per poter riprendere la propria vita dopo la nascita del bambino, non solo una necessità economica ma spesso anche un bisogno delle mamme e dei papà a diversi livelli.

Sempre più spesso, le coppia fanno ricorso ai nonni e sono loro che, spesso, sostengono le famiglie, coprendo il ruolo che sarebbe altrimenti di una babysitter o di un nido o di una scuola,  facendo in modo che, soprattutto le donne, possano continuare/riprendere a lavorare cosa che non sarebbe possibile altrimenti. Questa certezza ce la fornisce il Censis nel 2014, lo stesso Censis che aveva scritto nel 2013 che nel 2015 “il numero della popolazione over 65 anni coinciderà in pieno con quello della popolazione giovane, tra 15 e 34 anni, pari a circa 12 milioni e mezzo di persone”. Questo certamente ci porta a dover dare il giusto spazio e la giusta importanza a questa fascia di età.

In primis è utile fare una riflessione su come preservare il benessere degli anziani. Di certo, anni di studi hanno dimostrato come sia importante non il ritiro incondizionato da ogni tipo di impegno con l’età. Anzi. L’“impegno attivo dell’anziano” è fondamentale perinvecchiare in maniera felice, riempiendosi la vita con quello che amano, continuando finché possibile e in armonia con le proprie possibilità a coltivare passioni. Siamo oggi molto distanti dalle teorie del disimpegno, che volevano che la terza età fosse un momento di fermo, di mancanza di attività. Il fatto che non si lavori non significa che non ci si possa dedicare a passioni, attività, prestazioni non lavorative ma ugualmente in grado di impegnare tempo e mente. Non per niente aumentano di anno in anno gli anziani attivi nel volontariato.

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