Autore: Dott.ssa Simona Saggiomo

 

Indice:

2.     CONCETTO DI PERSONA COME  IDENTITA’

 

2.1   ANTROPOCENTRISMO, ANIMISMO E SCIAMANI

2.1.1  LO SCUDO MEDICINA

2.1.2  CERIMONIE INIPI E L’USO DELLA PIPA

 

2.2    GLI ANIMALI TOTEM E STORIE CHE CONNETTONO

2.2.1 LA LEGGENDA DELLA CREAZIONE DEGLI ANIMALI

 

2.3  NOMI COGNOMI: CURIOSITA’ LEGATE ALLA NOSTRA IDENTITA’

 

2.4   GLI ANIMALI TOTEM

2.4.1 IL RAGNO

2.4.2  IL LUPO

 

2.5  USO DELLE METAFORE E DELEL STORIE CON GLI ANIMALI IN TERAPIA

 

2. CONCETTO DI PERSONA COME  IDENTITA’

 

2.1  ANTROPOCENTRISMO, ANIMISMO E SCIAMANI

La funzione dell’uomo non è quella di sfruttare, bensì è quella di sorvegliare, di essere un amministratore della Terra. L’uomo non ha né potere, né privilegi, ha solamente responsabilità. Nascere uomo su questa terra è un incarico sacro.
Noi abbiamo una responsabilità sacra, dovuta a questo dono eccezionale che ci è stato fatto, ben al di sopra del dono meraviglioso che è la vita delle piante, dei pesci, dei boschi, degli uccelli, e di tutte le creature che vivono sulla terra, Noi siamo in grado di prenderci cura di loro.

Il cuore di ogni essere umano che si allontana dalla natura si inasprisce.
La mancanza di profondo rispetto per gli esseri viventi e per tutto ciò che cresce, conduce in fretta alla mancanza di rispetto per gli uomini.
Il contatto con la natura, rende i giovani capaci di sentimenti profondi, un elemento importante
per la loro formazione

(http://www.croponline.org/simbolindianicropcircles.htm)

 

La vita degli Amerindi è basata su un concetto da noi occidentali molto spesso dimenticato: essere parte di un qualcosa di molto più grande, in cui ogni essere vivente non solo ha un proprio spazio e ruolo, ma un’anima che interagisce con le altre anime. Gli Indiani d’America non si concepivano degli esseri dominanti, ma dominati.: la roccia, l’acqua, l’orso e qualsiasi essere naturale erano considerati dotati di un anima. E il sole e la terra facevano da padre e madre biologici per qualsiasi cosa.

La concezione del Mondo come qualche cosa di unitario e non intermini di essere superiore/ inferiore all’altro, rende la prospettiva della Vita dell’Amerindo molto più ampia ed elastica di quanto non lo sia per noi occidentali. Credo che alla vista delle tende fatte di pelli e al fuoco lì vicino, piuttosto che le preghiere degli sciamani, i primi coloni si siano sicuramente spaventati e forse inorriditi: arrivare da un altro mondo più “ civilizzato” con i propri modelli di riferimento non ha permesso a Colombo di incontrare gli Indiani.

Come passare dall’antropocentrismo all’animismo?

L’uomo non è al centro dell’Universo e come tale non ha poteri superiori ad altri, ma è in equilibrio con le altre parti della Natura.

Esperti botanici, gli Amerindi non solo conoscevano bene le piante e le loro caratteristiche, ma anche le stagioni, le caratteristiche di ogni fenomeno atmosferico; ad esso attribuivano un significato che dava senso a ciò che facevano e si comportavano. Erano persone umili e accoglienti: non raccoglievano e non cacciavano più del dovuto, e se arrivava uno sconosciuto donavano lui la tenda più elegante dell’ accampamento .Anche quando arrivò l’uomo bianco si comportarono allo stesso modo: lo accolsero come un ospite nelle proprie inipi, ma ben presto si dovettero confrontare con la Via della Guerra che egli portò.

Essi erano molto abili a sfruttare al meglio le risorse dell’ambiente senza stravolgerlo: quando andavano a caccia studiavano quale bisonte uccidere e lo consideravano un Dono del Grande Spirito per sopravvivere: gli uomini bianchi invece distruggevano dove passavano e non avevano il senso dell’equilibrio. Nulla era sprecato: tutto era utilizzato per costruire le tende, i vestiti, oggetti per mangiare e cucinare: il rispetto per questi Doni era totale e il senso di appartenenza era il senso della loro Vita.

Questi concetti sono diventati ancora più essenziali quando i colonizzatori hanno frammentato le tribù, li hanno chiusi nelle riserve, hanno spinto gli Indiani sopravvissuti a chiedersi quanto fossero importanti le loro lingue, usanze e tradizioni. L’uomo bianco era più forte, possedeva il tuono di fuoco ( fucile) , dono che gli permetteva di uccidere da lontano senza rischiare troppo: ma non erano uomini, secondo gli Amerindi, coloro che non si confrontavano col nemico.

“I bianchi uccidono senza compassione e ora loro lo fanno anche ai nostri fratelli. Si uccidono fra di loro, e solo il più forte sopravviverà” ( Sette frecce di H.Storm, ed. Corbaccio, 1997, pag.252).

Il cambio di prospettiva, dal centro  al periferico ed all’essere tutti uguali poiché mossi dall’anima che il Grande Spirito ha donato, non è facile da comprendere: si tratta di considerare tutti parte dell’Universo, di reputare una pianta al pari di una pietra o di un animale e l’uomo segue le medesime leggi. Questo perché esse sono manifestazioni  fisiche del Creatore e come tali vanno rispettate. La Vita è sacra e va protetta: quando un Indiano toglie la vita ad un animale bisogna chiedergli perdono e mai bisogna offenderlo; la Morte sarà un Dono per la Vita dell’uomo, che sarà ripagato con altri doni. Esistono riti e preghiere apposite, sia per quando si parte in gruppo per uccidere un bisonte, sia per quando si rientra all’accampamento per ringraziarlo del suo Dono di Vita. La vita dell’Amerindo segue cerimonie augurali per il raccolto del mais o per la stagione della caccia: questi riti sono accompagnati da danze e musiche in cui tutti sono coinvolti con mansioni specifiche, poiché i Doni che riceveranno sono per tutti. Attraverso questi riti cerimoniali i bambini imparano la Cultura del Rispetto, del Dono , della Preghiera e del Sacrificio, mai fini a se stessi, ma sempre vincolati da un circolo di dare – avere reciproci. Non esiste l’egoismo, né l’appropriazione, quanto la mutualità tra le cose.

Questo riportano alcuni coloni dopo la visita ad alcuni villaggi indiani:

Essi hanno leggi tanto eque che quasi mai celebrano processi. Sono spesso in visita gli uni dagli altri, e questo mentre noialtri in Europa, con leggi scritte, passiamo gran parte della nostra vita in dispute e spese che non fanno che allungare i processi. Gli Indiani passano la loro vita a mangiare, bere, fumare insieme senza avversione o litigi di loro” ( Storia degli Indiani d’America, F. Jacquin, ed. Mondadori, pag. 80).

I selvaggi non conoscono né il tuo né il mio, poiché si può dire che quanto appartiene all’uno è anche dell’altro. Se un selvaggio non riesce a catturare castori, i compagni lo aiutano senza essere pregati. Se il suo fucile scoppia o si rompe, ognuno si premura di offrirgliene un altro.” ( ibidem).

Queste poche frasi riflettono la tradizione degli Indiani :  il modus vivendi così differente dai colonizzatori li rendeva anche ai loro occhi migliori, tanto che quest’ultimi se ne meravigliavano. Nonostante ci fossero leggi volte ad amministrare i modi di vivere dei bianchi, nemmeno queste riuscivano a renderli più pacifici ed onesti.  Questo incontro ebbe molti effetti: gli Indiani appresero il sentiero di Guerra, l’uso del cavallo e del fucile, ma anche lo scambio col denaro, il vino e le malattie. I colonizzatori uccidevano intere mandrie di bisonti per le pelli da scambiare in Europa, senza tenere conto che questo animale per loro era sacro. Questo squilibrio ha creato negli anni molti problemi tra le stesse tribù indiane, che, non trovando cibo, entravano in conflitto tra loro e contro i presupposti di incontro dell’altro basati sul rispetto.

Questo rispetto   e questa  fratellanza da dove nascevano?

Gli Amerindi credevano, diversamente da noi, nel fatto che gli animali, le piante, le fonti, i fiumi, gli astri e ogni cosa – non solo, dunque, quelli che per noi sono esseri viventi – fosse  pervasa da uno spirito, da un’anima, da qui il termine animismo. È vero che esisteva la credenza in un unico spirito creatore, ma i contorni di tale credenza erano incerti, ed essa non approdò mai a una rigorosa concezione monoteistica.

Ecco un estratto del dialogo tra Orso di Notte e un missionario che chiede ad una tribù di seguire la Via di Gesù, che evidenzia molte differenze tra le due posizioni religiose:

“ Parli la lingua del Popolo ( indiano)?”

“ Me sempre parlato bene lingue” disse l’uomo con una smorfia. Nei suoi occhi c’era sempre paura.

“Cosa vuoi dire quando affermi che il Popolo segue la Via sbagliata?”

“La Grande Medicina del Popolo è sbagliata. Il Popolo non conosce Gesù”.

“Gisù?”

“No” lo corresse l’uomo “Gesù”.

“Cos’è questo Gesù?”, chiede Orso di Notte.

“Gesù è molto potere buono. Lui uccide tutti cattivi”.

“Allora è vero”, pensò Falco, amico di Orso di Notte. “Il loro Potere è un potere di morte”.

L’uomo continuò : “”Gesù dà molte ricchezze. Se tu credi in Gesù, tu diventi ricco presto. Gesù è Nuova Via”

“ E’ incredibile” disse Falco ad Orso di Notte “ Hai notato la paura nei suoi occhi? Ho visto la stessa espressione nel volto di Fiore che Canta quando i soldati bianchi a cavallo uccidevano la nostra gente. Questo Gesù deve essere una Via astuta e terribile”. Falco chiese: “ Dimmi fratello, questo Gesù si arrabbia mai con voi? Lo temi?”.

“Sì, sì” disse l’uomo con sorriso: “Chi teme molto il padre, ha grandi ricompense. Gesù morì a causa della rabbia, paura del Padre. Sì lo temo”.

( Sette frecce, di H. Storm, ed. Corbaccio, pag. 202).

“Questo Gesù sembra essere un nuovo potere, uno a cui piace la Morte e che ricompensa grandemente quelli che uccidono. E’ per questo che i bianchi sono pieni di doni” ( ibidem, pag. 72).

Nel libro “  Il tempo delle due lune”, la scrittrice Priscialla Cogan racconta l’incontro con una donna medicina che le insegna nuove Vie di Vita e Consapevolezza; in uno dei suoi colloqui Winona, la sciamana, racconta:

“Lo adoro ( parlando di Gesù)…è una storia bellissima. Bambini e vecchi saggi, stelle e animali. Gesù era là al centro di tutto. L’unica cosa che non riesco a capire è perché la gente, i cristiani osservanti non credano più nelle stelle. Dimenticano gli animali, come se gli unici ad attendere la nascita di Cristo fossero stati gli uomini. Gesù è nato in una mangiatoia; e un bue e un asino lo hanno scaldato. E’ davvero una bellissima storia…. Ma c’erano persone prepotenti, le tuniche nere. Volevano solo che noi ascoltassimo le loro storie. Ci dissero di dimenticarle nostre e raccontare soltanto le loro. Dissero che le loro storie erano vere. E fu allora che gli anziani seppero queanto erano stupide le tuniche nere, perché non esiste solo una storia che possa raccontare tutto, e tutte le storie sono vere…. Siamo nati in un mondo che si prenderà cura di noi se riusciamo a segure le vie del rispetto” ( ed. Frassinelli, pag. 176, 177, 179).

Questi piccoli estratti servono per mettere in evidenza due mondi molto distanti : quello degli Amerindi che si consideravano parte di un Tutto, e quello occidentale soggiogato da un Dio, che dettava legge. Nel linguaggio e significato indiano non esisteva l’essere sottomessi a qualche potere, ma l’uguaglianza tra le persone e tutti gli esseri sulla Madre Terra. Ogni incontro era un Dono e un apprendimento reciproco, volto a migliorare sempre di più la consapevolezza in se stessi.

Anche il senso di fratellanza era un insegnamento importante tra le tribù:

“Quando dieci dei cento ( uomini) non si prendono cura degli altri, lo Scudo si indebolisce e non riesce più a fermare la malattia… vuoi dire che una delle cause di malattia è il fatto che a volte non ci si cura dei fratelli?”

“Proprio così”- rispose il vecchio- “ Il fatto che la gente non si curasse dei Fratelli è sempre stato causa di malattie di un Popolo. Insegnare agli uomini a prendersi cura dei propri Fratelli è uno dei mezzi delle Medicina, e il prendersi cura è l’unico modo di fermare in modo definitivo la malattia”…

“Prima che i bianchi distruggessero  l’unità dei nostri accampamenti, c’erano poche malattie… le malattie ci saranno sempre e colpiscono a caso, perché non hanno mente… ma ciascuno (di noi) influenza l’altro , indipendentemente dalla distanza che c’è tra loro… un popolo deve prendersi cura dei fratelli e delle sorelle per far sì che questo non avvenga ( la malattia).

( Sette Frecce, pag.253- 255).

Che cosa distanzia questo concetto da ciò che noi oggi chiamiamo rete di aiuti?

Essendo tutto collegato,  uomini – animali – piante – rocce- che cosa rendeva questo possibile? Qual era il legame di appartenenza? Il fatto che ogni essere possedesse un’anima e con questa anima ci si potesse rapportare e diveniva insegnamento.

Il termine animismo viene usato in antropologia per riferirsi a religioni o culti primordiali basati sulla credenza secondo cui ogni realtà materiale possiede un’anima o un principio vitale: tracce di questi culti sono riscontrabili nelle Americhe, Oceania, Asia meridionale, Africa nera e nell’Artico.

Il concetto di animismo fu introdotto nel mondo occidentale dall’antropologo britannico Edward Burnett Taylor (1832 – 1917), autore dell’opera Cultura primitiva (1871), in cui, tra l’altro, figura la prima nozione programmatica dello stesso concetto di cultura. Studiando le condizioni di alcune popolazioni tribali, Taylor ipotizzò che le realtà materiali generalmente connesse al sistema di vita da esse adottato venissero gradualmente rivestite di qualità soprannaturali e spirituali per poi essere considerate vive e divenire infine oggetto di venerazione: gli oggetti del territorio, (fiumi, piante, pietre), gli agenti atmosferici (tempeste, piogge, fulmini) gli elementi naturali (fuoco, terra, acqua) e persino gli alimenti ingeriti come anche il ciclico alternarsi delle stagioni e del giorno e della notte; le popolazione indigene dell’America settentrionale, per esempio gli Apache o i Sioux, consideravano se stesse, gli animali e tutte le realtà naturali come parte di un unico Grande Spirito creatore, vivo in tutte le cose.

Esistono degli elementi che tendono ad accomunare tutte le religioni animiste: il culto degli Spiriti e degli antenati; la fiducia nel mediatore tra il nostro mondo e la realtà spirituale, uno sciamano come anche uno stregone, l’uso dei totem ed il ricorso ai riti d’iniziazione e ai riti funebri. (http://www.echeion.it/costume-e-societa/animismo).

Questi concetti importanti si riflettono sul considerare l’altro uguale a noi, poiché anch’esso / anch’ egli ha la mia stessa anima, che con me comunica col Mondo terrestre e ultraterreno, gli Spiriti.

L’antropocentrismo dominò la cultura occidentale, complici la religione ebraica e cristiana, ma non meno la filosofia cartesiana e la scienza più moderna; queste posizioni collocavano l’Uomo al centro dell’Universo, come rappresentante di Dio, a sua immagine e somiglianza. Come essere privilegiato, che aveva un intero Eden a propria disposizione per vivere e mangiare, egli ha costruito la propria esistenza a scapito di altri esseri : gli animali e le piante, e i popoli più deboli. La stessa Terra, dai coloni, era un oggetto da occupare, conquistare, distruggere, mentre per gli Indiani era la Vita. Secondo la tradizione indiana, infatti, la Terra è la loro Madre, da curare e rispettare, da cui prendere solo il necessario. Dalla Natura si impara a vivere, a seguire le stagioni e i Doni che essa porta ogni volta.

Il filosofo greco Celso propose una visione molto diversa da quella proposta dal cristianesimo: egli ha posto in dubbio la necessità di considerarci più forti a scapito di altri. Questa lettura ci permette di leggere la creazione dell’Universo non solo per l’uomo, ma anche per gli altri esseri viventi. Così cita Margherita Isnardi Parente, che si interessò proprio di questo studioso greco: “ Tutto ciò che nasce in virtù di forze naturali, diceva Celso, alberi piante frutta erba, non è fatto per l’uomo più di quanto sia fatto per gli altri animali che ne godon e ne vivono. Perché dire che l’uomo è superiore per natura ad altri animali?…i serpenti conoscono meglio di noi i farmaci risanatori: sono gli uccelli ad insegnare agli uomini l’arte divinatoria, il che vuol dire che sono più vicini di noi alla divinità e che la loro anima è più della nostra impregnata di divino… e perché dunque dovremmo credere che l’universo sia fatto per noi più di quanto non lo sia per l’aquila, per il delfino, per l’elefante?” (Margherita Isnardi Parente, “ Le radici greche di una filosofia non antropocentrica).  Secondo questa posizione gli animali, occupanti la medesima terra, hanno capacità, intelligenza, linguaggi e quello che noi chiamiamo affetto, come noi, solo con modalità differenti. Cartesio stesso riteneva che gli animali fossero inferiori all’uomo perché non possedevano il linguaggio verbale, allora anche i muti sono inferiori a coloro che parlano; poi ha sostenuto che avessero un quoziente intellettivo inferiore, ma allora coloro che hanno un ritardo mentale sono minori di noi? (Tom Regan “I diritti animali, ed. Garzanti, 1990). Gli Indiani d’America non avevano bisogno di dimostrare che gli altri esseri viventi fossero inferiori a loro, poiché gli mancava la consapevolezza o il linguaggio, ma  essi esistono come l’uomo. Ogni cosa è viva e ha parti diritti: dalle rocce, alle piante, ai frutti, agli insetti.

Se pensiamo quante cose abbiamo imparato dagli animali, ci stupiremmo: i nidi delle api sono esagonali e perfettamente simmetrici, resistenti e riutilizzati dall’uomo in architettura, la forma degli aerei , delle vele del parapendio sono simili agli uccelli e gli studi sull’aereo dinamica si fondano sull’osservazione in natura dei volatili.  Lo stesso Angelo D’Arrigo ha partecipato a molti studi scientifici attraverso i suoi viaggi nel mondo proprio osservando gli uccelli, le loro rotte e i posti su cui sostavano. In collaborazione con Università e Aziende che sostenevano i suoi studi, non solo si prestava per esperimenti fisici, ma anche per studi etologici e di ripopolazione di alcuni rapaci. Per esempio è grazie a lui che si sono scoperte le rotte migratorie delle aquile sull’Hymalaia e si sono potute reinserire alcune specie. La sua esperienza con gli uccelli è partita dagli studi sull’imprinting di Lorenz e l’osservazione diretta in natura: egli ha così potuto salvare pulcini abbandonati a causa dell’ uccisione delle loro madri e re – immetterli sulle rotte migratorie che per decenni sono percorse per continuare il loro ciclo di vita, accoppiamento e morte. (www.angelodarrigo.com).

Mi sono permessa di fare questa digressione non solo come per sostenere una causa che sento vicina al mio modo di vivere il Mondo, ma per evidenziare che esistono differenti modalità di interagire con la Natura, e non solo quello sostenuto dall’antropocentrismo.

I portatori di questa lettura dell’Universo erano persone speciali, collegate con gli Spiriti e col mondo visto come quando si nasce, senza presupposti né dogmi culturali. Gli sciamani praticano l’arte antica di trattare con gli Spiriti, esseri che sembrano personali e che esistono dietro o aldilà di questa realtà. Essi sanno viaggiare nei loro Mondi e padroneggiarli. Riescono a tracciare “una mappa della foresta” per aiutare la loro comunità ad orientarsi lungo i sentieri misteriosi e spesso duri della vita: malattia, dolore, mancanza di senso, scelte difficili, morte.

Aiutano la loro gente ad essere in equilibrio con tutto l’Universo, con i Poteri della Natura, con gli Spiriti degli animali, delle piante, con gli Spiriti dei Morti e quelli dei Mondi invisibili.

La mentalità moderna ha ridicolizzato a lungo simili pratiche, in obbedienza al dogma imposto dalla scienza, secondo cui gli spiriti, siano anime di morti o altri esseri incorporei, non esistono. Così ogni spirito con cui entriamo in contatto – come ad esempio nei sogni – è considerato per ipotesi irreale o un prodotto dell’immaginazione, o comunque un contenuto interno della nostra mente, anziché un’entità esterna dotata di esistenza propria. (www.sciamanesimo.com).

Ogni uomo è legato agli animali per diversi motivi: di essi loro si cibano, ma è non un puro mezzo di sussistenza; gli animali posseggono poteri da cui l’uomo trae giovamento , aiuto e crescita personale quando è in grado di comunicare col loro spirito. Per questo quando si va a caccia e prima di uccidere un bisonte si prega e si chiede perdono di questo sacrificio, al contempo di ringrazia di questo dono. Oggi noi uccidiamo senza necessità, senza la consapevolezza che quella Vita era tale come la nostra.

2.1.1 LO SCUDO MEDICINA

Lo Scudo-Medicina è un’espressione dei doni unici che il suo costruttore desidera offrire nel suo attuale viaggio terreno. Uno Scudo-Medicina può indicare un nuovo livello nella crescita personale, o può illustrare la prossima montagna che un individuo intende scalare.

Tradizionalmente, lo scudo del guerriero indicava le forze interiori ch’egli avrebbe usato per aiutare la sua tribù, mentre lo scudo di una donna nativa indicava i suoi doni nell’allevare i figli ed i suoi talenti nel campo della visione, della guarigione, della tessitura, della magia, del canto, della danza, delle perline ecc.; gli scudi parlavano del posto occupato dai loro portatori nella famiglia tribale e dei loro totem.

Gli Scudi-Medicina erano l’occasione di riconoscere i doni altrui, e quindi erano un modo per creare armonia in famiglia, nella tribù e nella nazione. Gli scudi parlavano delle verità interiori così come della personalità esteriore dei loro creatori. Ogni donna si costruiva da sé il proprio scudo, e ogni uomo sceglieva per questo compito un fratello che onorasse la sua stessa medicina: questo per evitare che l’ego maschile s’intromettesse nel cammino della verità. Le donne godevano già di una naturale connessione con i loro lati intuitivi, ed erano in grado di recepire più chiaramente quanto le loro “voci” dicevano sui loro doni. Le donne comprendevano anche il concetto di fratellanza fra di loro e lasciavano il ruolo di protettore agli uomini, mentre si assumevano quello di Madri della Forza Creativa; queste donne costruivano da sé i propri scudi con umiltà e creatività.

Mentire sui propri doni era considerata una grande vergogna. Mentire su qualunque cosa poteva significare l’esilio permanente dalla tribù, e coloro i quali avevano mentito ed erano stati esiliati trovavano generalmente lavoro al servizio dei bianchi come guide, o venivano arruolati in cavalleria in qualità di interpreti della lingua biforcuta. Gli scudi menzogneri venivano bruciati durante una cerimonia di grande lutto e i creatori di questi scudi divenivano invisibili agli altri componenti della tribù e della nazione.

Spesso uno scudo veniva creato per l’iniziazione di un progetto e avrebbe contenuto in tal caso l’esito voluto. Altri venivano realizzati per narrare le storie di una battaglia, di una battuta di caccia o di una Ricerca di Visione. Quando stava per essere celebrata una cerimonia speciale si faceva uno scudo che descrivesse la gioia della tribù e gli spiriti che avrebbero interagito con la gente, e c’erano scudi-talismano per facilitare le nascite, per avere abbondanti raccolti, o come segni del rito di passaggio della pubertà.

Quando aveva luogo un matrimonio, lo scudo della sposa veniva disposto di fronte allo sposo e viceversa, per rivelare i segreti interiori dell’anima del partner al diretto interessato; dopo che gli sposi avevano saltato il fuoco insieme, si appendevano i loro scudi su due lance incrociate ed unite insieme sulla porta della capanna nuziale.

Gli scudi venivano anche appesi sulle capanne del Palo con coloro che passavano nel mondo dello spirito: era un segno di successo nel compimento del proprio Cammino Terreno e segnalavano i talenti di colui che passava nel mondo dello spirito agli avi che l’avevano preceduto.

Uno Scudo-Danza del Sole viene costruito come simbolo del desiderio del danzatore di sacrificare la carne del suo corpo per la pace nel mondo. Questo scudo è un segno dei modelli di vita che quel guerriero sta donando dal profondo di se stesso per diffondere sia la pace nel mondo che l’armonia individuale; esso parla del suo desiderio di venire in umiltà, di danzare il Sole nella luce, di cercare la visione di ciò che è necessario, e di sopportare il dolore di tutti i nostri parenti.

Gli scudi segreti delle donne della capanna della Luna raccontano dei talenti di queste donne e delle forze interiori che sostengono le loro sorelle; non vengono mai mostrati all’esterno, giacché ognuno di essi rappresenta lo spazio sacro interiore di colei che l’ha costruito. Ogni donna rivela alle sue sorelle il proprio sé interiore, in piena fiducia, ma non mostra mai completamente il suo volto al mondo esterno: questo per proteggere la forza creativa che porta nel suo spazio-grembo, la forza che segue i ritmi della Terra e della Luna.

Ogni scudo porta medicina. Attraverso la sua arte e l’espressione di sé, ogni scudo è l’essenza di un tempo e d’uno spazio forieri di alcuni aspetti del sapere. Tutte le persone portano gli scudi delle lezioni che hanno personalmente imparato dalle quattro direzioni sulla Ruota-Medicina, quali le loro forze e debolezze, i loro talenti e doni, le loro visioni, i loro propositi e il loro posto nella vita. Il totem di ogni direzione può essere espresso attraverso una piuma, l’impronta di una zampa, un simbolo o un pezzo di corno, dente, osso, pelle, pelliccia o pinna dell’animale-totem.

Ogni scudo ricorda al suo costruttore la sua connessione con la vita. In tempi di incertezza, uno Scudo-Medicina è fonte di conforto, di protezione dalla paura, ed un ricordo della serenità derivante dalla conoscenza e dalla connessione perfettamente centrate. Per equilibrare l’energia dell’incertezza, il costruttore dello scudo medita su di esso, e nel momento in cui entra nel silenzio trova risposta agli interrogativi sul proprio mistero.

Gli Scudi-Medicina sono segnali che guidano il nostro passaggio alla saggezza ed alla completezza; essendo lo scopo del Cammino Terreno quello di equilibrare gli scudi del Sé, nello sforzo di realizzare l’interezza, noi riflettiamo l’armonia e la disarmonia dei nostri numerosi frammenti.

Gli Scudi-Medicina ci ricordano che per tutte le cose vi è un tempo e un luogo perfetto nella vita: la gioia è controbilanciata dalle lacrime, il silenzio sacro dalle buffonate irriverenti, l’autostima dall’umiltà, il dare dal ricevere, il giorno dalla notte, la luce dall’ombra e la saggezza dall’innocenza. Camminare in equilibrio significa onorare tutti gli atti del nostro essere uomini nel loro giusto momento, e riconoscere il sacro in ognuno di essi.

Gli Scudi-Medicina sono strumenti di guarigione che noi diamo a noi stessi per calmare lo spirito e conferire potere alla volontà; la verità non ha bisogno di spiegazioni, solo di riflessione: ciò permette all’intuizione di guidare il cuore, cosicché l’umanità possa gioire di più e soffrire di meno.

Il termine «medicina» nelle tradizioni Nordamericane serve a indicare un’energia vitale, nel senso di «Energia della Vita», che è disponibile ovunque, in qualunque momento e per qualsiasi persona voglia ottenerla. Per farlo è però necessario che l’individuo adotti determinate pratiche che lo portino a modificare il proprio stato di coscienza, in modo da entrare in contatto e utilizzare i propri «poteri» interiori. Questi si manifestano semplicemente con un’intensificata sensibilità e consapevolezza verso il mondo nella sua complessità, globalità, ma anche nei suoi più piccoli componenti. L’individuo, cioè, diviene cosciente dell’utilità di ogni singola parte del creato in rapporto alla totalità e realizza (cioè «rende reale» grazie alla luce della propria coscienza) l’Unità del Tutto. Scopre quindi che non vi sono cose, esseri o eventi senza scopo né causa e comprende che ogni cosa è inserita in un contesto con un preciso significato.

La nostra cultura occidentale «ufficiale», tuttavia, non è riuscita a sviluppare un sistema di pensiero in grado di portare la maggior parte degli individui a vivere in armonia con i concetti espressi sopra, non semplicemente come mera credenza ma come esperienza. Ecco perché molte persone di cultura occidentale si sono rivolte alle tradizioni native e sciamaniche delle popolazioni che hanno il pregio di aver conservato un tale approccio alla realtà. È evidente (dallo stato di salute fisica, emotiva e psichica in cui abbiamo obbligato il pianeta) che come società occidentale viviamo con un’interpretazione «esplosa» della realtà, senza comprendere il legame dei vari componenti e degli eventi che si verificano nel mondo, anzi mostrando un’arrogante sufficienza quando qualcuno cerca di farceli notare, invitandoci a riflettere sulle nostre scelte.

(http://www.piazzasanremo.net/2011/12/lo-scudo-medicina.html).

2.1.2 CERIMONIE INIPI E L’USO DELLA PIPA

L’Inipi, il rito della purificazione, è una delle più importanti cerimonie delle popolazioni del continente americano, con nomi diversi (ad esempio “Temascal” in Messico e “Bagno degli Incas” in Perù), e si ritrova anche in altre culture del mondo talvolta molto lontane e molto diverse.

Il rituale della capanna sudatoria simboleggia il ritorno al grembo materno di Madre Terra, ed è una forma di purificazione sacra sia fisica che spirituale, propiziatoria per la guarigione e indispensabile per poter poi compiere qualsiasi altra cerimonia.

Il sudore – causato dal calore e dal vapore dell’acqua sulle pietre – aiuta ad eliminare tossine e impurità. Le preghiere, i canti sacri, il Sacro Fuoco e gli spiriti della Ruota di Medicina conducono, dall’interno della capanna – buia e calda – ad infiniti spazi interiori.

Avvicinarsi all’Inipi significa,  vivere un’esperienza Sacra che permette – a livello energetico – di liberarsi dei pesi che gravano sulla propria identità fisica, spirituale e sulle relazioni e permette quindi di vivere quotidianamente in modo più chiaro e consapevole. Si apprende a porsi in modo più rispettoso, amorevole e sacro verso ogni azione della nostra vita e verso ogni forma nell’Universo, rendendoci in tal modo consapevoli che noi siamo correlati a tutto e a tutti.
Purificazione, rispetto, amicizia, gentilezza amore e gratitudine sono i sentimenti che emergono durante la cerimonia, e che aprono la strada a una rinnovata forza vitale e a un nuovo modo di percepire la propria direzione, dando vita a visioni, nuovi progetti e scopi. E’ un momento di profonda e toccante condivisione intorno al Fuoco Sacro, simboleggiante il grande Potere Creativo, un’opportunità di grande trasformazione e guarigione per noi stessi e per Madre Terra. (http://www.imoempoli.it/1/inipi_capanna_sudatoria_8059235.htm).

La pipa sacra ha una sua storia ed era usata durante le cerimonie o anche conversazioni importanti, scambiata tra gli indiani in modo che la visione, le risposte e le domande girassero n cerchio. Eccone la sua origine.

La leggenda di Pte San Win, la Donna Bisonte Bianco

Pte San Win è colei che, secondo la tradizione, portò al popolo delle praterie il dono più grande, la sacra pipa (12) insieme ai rituali ad esse correlati. Ancora una volta è la donna che si fa catalizzatore tra divino ed umano, creando un ponte tra cielo e terra.

Molte storie sono state raccontate sulla “Sacra Pipa”. I bianchi si riferiscono ad essa come “Pipa della Pace”, ma i discendenti degli Indiani sanno che è un oggetto sacro e che ha un posto particolare nelle culture indiane. La pipa, in forme diverse, è giunta alla maggior parte delle culture di tutto il mondo. Ogni società ha usato la pipa in un modo o in un altro.
I nostri fratelli Lakota raccontano la storia di donna Bufalo Bianco e di come lei per prima portò la pipa all’uomo Rosso. Quello che importa però è che la pipa è riverita come oggetto sacro e che ci è giunta dal Creatore. Ancora più importante è il fatto che essa è stata portata a tutti gli uomini di questo mondo, perciò abbiamo il dovere di condividere il pianeta.

Parlo del tempo in cui i grandi bisonti che popolavano le nostre terre, stavano scomparendo. Le genti erano affamate e cercavano invano il bisonte nelle grandi praterie. Un giorno il capo tribù scelse due giovani guerrieri per avventurarsi alla ricerca della selvaggina. I due vagarono a lungo senza avere fortuna. Quando videro una sagoma muoversi nella boscaglia; sicuri si trattasse di un animale, si nascosero piano tra l’erba in attesa degli spostamenti dell’animale. Sembrava un bisonte e gli veniva incontro. Quando la sagoma fu più vicina i due guerrieri si accorsero con loro grande sorpresa che non si trattava di un bisonte, ma di una donna. La donna dalla figura eterea, sembrava fluttuare nell’aria. Dopo essersi avvicinata, ella sostò per un momento e li guardò. Gli uomini avevano capito che poteva vederli anche dov’erano nascosti.

Il suo viso era bello. Uno degli uomini disse:”E’ la donna più bella che abbia mai visto, voglio possederla”. Ma l’altro lo bloccò dicendo: “come puoi avere un simile pensiero? Non vedi che non è umana, cammina nell’aria”.

L’altro non ascoltò e dopo essersi svincolato tese la mano per toccare la donna.

Si alzò una densa foschia che avviluppò i due, quando la foschia svanì, la donna era ancora là, ma del giovane guerriero non era rimasto che un cumulo di cenere e ossa.

L’uomo si levò in piedi sbigottito, allora la donna parlò: “Sono stata mandata su questa terra per parlare al tuo popolo. Vai dal tuo capo e digli di costruire una tenda la cui entrata guardi ad est. Sul posto d’onore sarà cosparsa della salvia. All’alba arriverò al villaggio”.

Il giovane corse al villaggio e riferì l’accaduto. Tutto fu predisposto per l’arrivo della misteriosa donna che giunse all’alba al villaggio, accolta da tutta la tribù.

Ella portava con sé un fagotto di pelle. Entrò nel tipì e dopo essersi seduta cominciò a parlare, disse che il Grande Spirito era molto contento dei Lakota, che li considerava fedeli e riverenti e che, pertanto, erano stati prescelti per ricevere la sacra pipa che lei aveva portato per il bene di tutta l’umanità, la sollevò verso il cielo e parlò:

“Pregate Wakan Tanka, il Creatore. Questa è la sacra pipa che vi ha donato.

La sacra pipa non rappresenta soltanto un simbolo di qualcosa di sacro; la sacra pipa è essa stessa sacra, e qualcosa di più. Essa vive ed è potente, molto potente. Come ogni cosa che viene dal Grande Mistero, essa è impregnata di esso, ne è un’emanazione. Essa è creatura. L’oggetto sacro portatore di vita, come di morte.

Non tutte le persone sono chiamate ad essere portatori di pipa. La persona che porta la pipa, pratica le cerimonie e segue le tradizioni ad essa legate ha un grande onore nella vita, ma soprattutto, una grande responsabilità, responsabilità nei confronti delle sue sorelle e dei suoi fratelli, e della Grande Madre Terra sulla quale vive.

E’ importante comprendere il carattere del portatore di pipa, che appunto “porta”. Il portatore non possiede, porta la sacra pipa.

La sacra pipa dona la capacità di “vedere”, il suo legame con il Grande Tutto mette nella condizione di sincronizzare chi la porta alla parte più profonda di sé ed al Grande Tutto; se ne accetterete la responsabilità, potrà divenire la vostra guida, ma allo stesso tempo potrà trasformarsi nel vostro peggiore nemico, se portata senza riguardo.”

La Donna Bisonte Bianco dette la pipa a Toro Che Cammina In Piedi e gli insegnò le preghiere che doveva recitare. «Quando pregate il Grande Spirito, dovete utilizzare questa pipa durante la cerimonia. Quando siete affamati, togliete la pipa dalla pelle dove la conservate e ponetela così all’aria. Allora i bisonti verranno dove gli uomini potranno cacciarli ed uccidere facilmente. Così i bambini, gli uomini e le donne mangeranno e saranno felici». Pte San Win gli disse anche come la gente dovrebbe comportarsi per vivere pacificamente insieme. Gli insegnò le preghiere che dovevano dire quando si rivolgevano alla loro madre Terra. Gli spiegò inoltre come dovevano decorarsi per le cerimonie. «La Terra,» aveva detto, «è vostra madre. Così, per le cerimonie speciali, vi decorerete come la vostra Terra: di nero e di rosso, di marrone e di bianco. Questi sono anche i colori del Bisonte. Soprattutto ricordatevi che questa è una pipa della pace. La fumerete prima di tutte le cerimonie. La fumerete prima di fare i trattati. Introdurrà pensieri pacifici nelle vostre menti. Se la userete per pregare il Grande Spirito e la madre Terra sarete sicuri di ricevere i doni che chiederete».

Quindi si rivolse alle donne dicendo loro che il Grande Padre aveva stabilito che esse mettessero al mondo i figli, che li nutrissero e li vestissero, rimanendo spose fedeli.

Esse, inoltre, avrebbero sopportato in vita grandi sofferenze, ma per la loro natura gentile sarebbero state di conforto agli altri nel tempo del dolore.

Poi parlò ai bambini dicendo loro di rispettare i genitori che li amano e fanno molti sacrifici, per cui ad essi deve venire soltanto del bene.

Agli uomini disse che tutte le cose dalle quali essi dipendono vengono dalla Terra, dal Cielo e dai Quattro Venti e che per questa ragione era necessario ringraziare il Grande Spirito per il dono della vita fumando la pipa quotidianamente.

Raccomandò ancora loro di essere sempre gentili e amorevoli con le donne e con i bambini, per rispetto al loro essere creature deboli.

Infine, insegnò al capo la maniera di custodire la pipa, dal momento che era suo dovere rispettarla e proteggerla, in quanto da essa dipendeva la vita della Nazione Sioux. Come sacro strumento della conservazione doveva essere usata in tempo di guerra, di carestia, di malattia o in caso di grandi necessità. A questo punto si dice che Pte San Win promise ai Sioux che sette sacre cerimonie (13) sarebbero state in seguito rivelate loro affinché le praticassero (14).

Rimase al villaggio quattro giorni e prima di partire accese la pipa, la offrì al cielo, alla Terra, ai quattro venti, ne fumò una boccata e poi la passò al capo. Infine, uscì promettendo di tornare. Fece il giro della tenda secondo il cammino del sole, poi lentamente si allontanò dall’accampamento mentre tutto il villaggio era lì a guardarla; fuori dell’ apertura del cerchio si fermò per un istante e toccò la Terra. In un istante si trasformò in un vitello di Bisonte nero. Toccò ancora la Terra ed allora prese la forma di un vitello di Bisonte rosso. Una terza volta toccò la Terra e diventò un vitello marrone. La quarta ed ultima volta si trasformò in un candido vitello di Bisonte, bianco, senza una macchia. Allora camminò verso il nord e sparì lontano, sopra una collina.

Toro Che Cammina In Piedi conservò la pipa della pace con attenzione. Chiamava a raccolta tutti i bambini del villaggio e sciolto il fascio che avvolgeva la pipa ripeteva le lezioni che a lui erano state insegnate dalla donna. E la usò nelle preghiere ed in altre cerimonie fino a che non ebbe più di cento anni. Quando diventò debole, fece una grande festa. Durante questa festa dette la pipa e gli insegnamenti ad un uomo degno. Allo stesso modo la pipa è stata passata di generazione in generazione. «Finché la pipa sarà utilizzata,» la donna bella aveva detto, «la vostra gente vivrà e sarà felice. Non appena sarà dimenticata, la gente morirà».

Sioux vivevano nel bene contro il male, nell’armonia contro la discordia e perciò erano degni di ricevere la pipa che ella custodiva per l’umanità. Essa era il simbolo della pace tra gli uomini e fumarla significava comunicare con il Grande Spirito (http://www.riflessioni.it/nativi-americani/grande-madre-02.htm).

2.2 GLI ANIMALI TOTEM  e   LE STORIE CHE CONNETTONO

Gli anziani Dakota erano saggi. Sapevano che il cuore di ogni essere umano che si allontana dalla natura si inasprisce.
Sapevano che la mancanza di profondo rispetto per gli esseri viventi e per tutto ciò che cresce, conduce in fretta alla mancanza di rispetto per gli uomini.
Per questa ragione il contatto con la natura, che rende i giovani capaci di sentimenti profondi, era un elemento importante della loro formazione.

GLI ANZIANI DAKOTA – Luther Standing Bear, Orso in Piedi, Lakora Tratto da: “Il Grande Spirito parla al nostro cuore” Ed. Red

 

Gli animali vengono considerati dagli Indiani d’America come degli antenati mitici e secondo molte leggende sono loro che aiutano gli umani a vivere (regalando loro il fuoco, il cibo ecc.) ed è attraverso questa chiave di lettura che possiamo capire il perchè del profondo rispetto verso la fauna del pianeta che li circondava. Gli animali intervenivano nelle visioni degli uomini come  messaggeri del Grande Spirito e da quel momento diventavano gli spiriti protettori di quella persona infondendogli  le loro doti: la forza, la saggezza, l’agilità ecc.

Quando si uccide un animale bisogna chiedergli perdono poichè egli si toglie la vita in cambio di quella di un altro, e mai bisogna offenderne lo Spirito. Il Creatore si manifesta anche attraverso gli animali e molti di essi sono intermediari tra lui e l’uomo.

Gli animali accompagnano l’Amerindo in tutta la sua vita: nei riti di preghiera, nella scelta di un nome, nei sogni, nei racconti e nelle visioni degli sciamani. Essi hanno significati importanti che direzionano le loro scelte, poiché in essi è nascosto l’equilibrio dell’uomo.

2.2.1  LA LEGGENDA DELLA CREAZIONE DEGLI ANIMALI

In origine il Sole aveva un aiutante, che si chiamava Napi. Un giorno, dopo aver terminato il suo lavoro, Napi trovò un grosso pezzo di argilla cominciò a lavorarla per trarne fuori qualcosa. Era un bravo artigiano e riuscì a realizzare la prima figurina, con una bella forma simmetrica; successivamente ne realizzò delle altre e così realizzò le figurine di tutti gli animali della Terra. Appena ne aveva completata una, vi soffiava sopra, le dava un nome e una destinazione. La figurina si animava e cominciava a popolare la terra.

Con l’ultima rimanenza di argilla realizzò una figura nuova; la chiamò uomo e lo mandò a vivere con i lupi.

Gli animali si lamentarono perché non riuscivano ad adattarsi all’ambiente loro assegnato, perciò Napi assegnò a ciascuno l’habitat ideale. Tutti gli animali furono soddisfatti, tranne l’uomo, che vaga ancora alla ricerca di un luogo soddisfacente.

(http://www.culturaesvago.com/leggende-e-poesie-indiani-d-america/)

Queste storie e preghiere sono da esempio di come l’integrazione uomo – animale – spirito fosse parte del modo di vivere degli Amerindi. Le preghiere erano usate per invocare o ringraziare uno Spirito, sia durate riti o momenti della giornata.

Quando si sceglieva un nome per un neonato di poteva chiedere allo sciamano della tribù che interpretava i sogni e le visioni nella tenta sudatoria. Inoltre durante la vita era possibile cambiare nome. Esso indicava la direzione della crescita e della conoscenza di se stesso; anche in questo caso di osservava l’Indiano e in base alle caratteristiche che possedeva, poteva avere il nome di un animale ad esso affine.

2.3  NOMI E COGNOMI : CURIOSITA’ LEGATE ALLA NOSTRA IDENTITA’

Come ho già sottolineato la scelta del nome per gli Amerindi era legato alla Natura, e si poteva cambiare nel corso della vita. La storia degli animali totem ci aiuta a comprendere il significato e il potere che un Indiano aveva possedendo quel nome

Ma se  la scelta del nome è qualche cosa legata alla possibilità di preferire, di desiderare o di perseguire una storia iniziata qualche generazione prima, il cognome è qualche cosa di diverso.

Vediamo la storia del cognome che ci avvicina di più alla modalità con cui gli Amerindi sceglievano il proprio nome.

Il sommo Aristotele a ragione definiva l’uomo “un animale sociale”. In questa dichiarazione è già incapsulato il seme della nascita della famiglia come aggregato numeroso di persone da cui discende l’esigenza di identificare i vari componenti del gruppo che l’istinto di socializzazione porta a formare. L’identificativo sarà tanto più semplice quanto più limitata sarà la dimensione del gruppo e con la crescita di questo crescerà anche il bisogno di ricorrere ad identificativi più diversificati. Se questo è vero per i popoli europei, lo è un po’ meno per i Cinesi, presso i quali esistono solo pochissimi identificativi cognominali, pur essendo il cinese il popolo più numeroso del pianeta, superando di gran lunga il miliardo di abitanti, il maggior numero dei quali porta un cognome composto da un solo ideogramma o suono parasillabico; attualmente in Cina, ci sono solamente circa 3000 cognomi di grossa diffusione e solo 200 cognomi doppi (4 i cognomi più usati, Zhang, Wang, Li e Zhao, di cui il primo, portato da oltre 100 milioni di persone, è il più diffuso).
Ben prima del cognome, compare però sulla Terra il nome. Esso può definirsi l’identificativo che differenzia l’uno dall’altro, ossia un attributo che caratterizzi la persona e che possa permettere ad ogni componente del gruppo di capire a chi ci si sta riferendo. Possiamo dire pertanto che il nome, con caratteristiche simili all’odierno soprannome, nasce insieme con l’uomo, quando da animale questi si evolve in “homo”, cioè quando l’organizzazione del gruppo impone l’identificazione dei vari componenti come elementi distinti. La prima forma di nome prende ispirazione spontanea dalla natura, sia per la carica emotiva o attrattiva che l’elemento naturale comporta, sia per una qualche affinità, a volte augurata, a volte riscontrata con essa (i nomi Volpe, Lupo, Orso, Cane, Nuvola, Montagna, sono solo esempi di questo tipo di identificativo). In Età Neolitica, con la nascita del culto per il soprannaturale, accanto a questo bisogno di identificare le persone, si rendono disponibili anche i nomi o gli attributi degli dèi e, ancora più avanti nel tempo, i mestieri, i luoghi d’origine o la residenza forniscono ulteriori elementi d’identificazione. Ma se è vero che l’uomo è un animale sociale, è altrettanto vero che è un animale molto curioso: il desiderio di conoscenza caratterizza già l’homo sapiens, col bisogno innato di viaggiare, di esplorare e di conoscere, che lo porta a contatto con gruppi diversi. Il fatto stesso di rendersi conto che esistano gli altri, conduce i nostri progenitori all’identificazione di se stessi come appartenenti ad un gruppo e rende perciò indispensabile la definizione del proprio gruppo con un nome comune che definisca l’appartenenza al gruppo stesso: è in ciò il germe del futuro cognome. In generale, diciamo che il cognome può prendere molti riferimenti per identificarsi, dal nome del capofamiglia, “io sono uno dei figli di .”, al nome della località d’origine “io sono uno di quelli della valle.”, al tipo di mestiere svolto dal proprio gruppo, “io sono uno dei cacciatori.”… l’unico limite è la fantasia. Con l’ampliarsi del gruppo, con l’aumento del numero dei singoli gruppi familiari e con l’allargamento dei confini esplorati e delle genti nuove conosciute si sente l’esigenza di una struttura che consenta in modo univoco ed organizzato di identificare ogni singolo elemento umano della società.

In epoca storica, i Latini già avvertirono l’esigenza di identificarsi con un nome proprio e con l’attributo della “gens” (il clan, la tribù di appartenenza), secondo un’usanza comune peraltro ad altri popoli celtici (irlandesi, scozzesi). In seguito, in Età Repubblicana, i Romani sentirono il bisogno di aggiungere un elemento distintivo, che consentisse di identificare due diverse persone aventi lo stesso nomen ed appartenenti alla stessa gens e così introdussero il cognomen, ossia un soprannome che facesse riferimento a caratteristiche fisiche, al colore dei capelli, alla balbuzie, al candore della pelle, oppure a fatti che avevano caratterizzato quello specifico individuo o a nomi di popoli da lui vinti o a campagne militari effettuate o al luogo di provenienza e così via. Si pervenne così alla formulazione dei cosiddetti tria nomina (tre nomi): il praenomen (corrispondente al nostro nome), il nomen (il nome della gens, della famiglia o del clan, corrispondente al nostro cognome) ed il cognomen (il soprannome). In questo modo ogni civis Romanus poteva essere identificato e, in caso di omonimia, si poteva anche aggiungere un quarto ed un quinto nome a completarne il praenomen.

Nel mondo latino dunque l’identificativo della persona era il cognomen, mentre il nomen identificava la gens di appartenenza, cioè la famiglia. Così, ad esempio, in “Marco Tullio Cicerone”, Marco era il praenomen, Tullio il nome gentilizio, cioè l’identificatore della familia di appartenenza, e Cicerone era il cognomen, cioè l’identificativo della persona all’interno della sua gens per una particolare caratteristica fisica (un porro sul naso a forma di cece). Invece, in “Publio Cornelio Scipione Africano”, troviamo l’aggiunta di un quarto elemento alla triade canonica, per evitare omonimie in famiglia.

A voler scendere su un piano etimologico, gens è qualcosa di più che famiglia come la intendiamo noi, è piuttosto il clan, ossia l’insieme di tutti quanti discendono da una stessa origine comune (in greco antico diremmo ghenos). Si può notare l’affinità tra il vocabolo latino gens e genus (stirpe, genere), génitus (generato), che fanno capire come alla base ci sia il concetto di “generare, dare origine”; il ghènos greco (da cui ghènesis, ossia genesi = origine) aveva il significato di “elemento primordiale, capostipite”, significato che ha mantenuto nel vocabolo dell’italiano moderno “gene” (anche se stranamente in italiano c’è arrivato dal germanico “gen” con significato analogo). Da quanto detto si comprende anche il significato del termine “genealogia”, quale studio (logìa) delle origini (genè), ossia studio delle origini delle genti. Va da sé che tale discorso valeva essenzialmente per i patrizi e per di più si applicava solo ai Romani maschi: le donne portavano infatti unicamente il nome gentilizio, per cui tutte le figlie di Caio Giulio Cesare erano semplicemente Iulia (aggiungendo magari maior o minor, nel caso in cui ce ne fosse più di una).

Vari secoli dopo, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., le influenze barbariche portarono ad un quasi completo abbandono della struttura cognominale latina, che rimase in uso presso pochissime famiglie patrizie. Si tornò così all’uso di un nome unico (detto supernomen o signum), con le caratteristiche di non essere ereditato e di avere un significato immediatamente comprensibile (ad esempio il nome imperiale Augustus che significa “consacrato dagli àuguri” o “favorito da buoni auspici”). Col tempo e con l’affermarsi del Medioevo, tale nome unico finì poi per esser ispirato sempre più al nome dei santi più noti della religione cristiana. Dopo il 1000, le influenze barbariche sull’onomastica si fecero più massicce e, almeno per quanto concerne le famiglie più abbienti, si cominciò ad affiancare al nome di battesimo quello del padre o della madre in caso genitivo (con o senza le preposizioni  de/di). Presso le popolazioni barbare l’identificativo per eccellenza era infatti il nome del padre o della madre con un suffisso patronimico o matronimico: si pensi ai britannici terminanti per -son come Johnson, alle popolazioni nordiche con i vari cognomi terminanti per –s(s)en o –s(s)on come Johanssen o Petterson o quelli dei popoli slavi terminanti per -vic, -ig o -cic come Ivancic o Petrovic o per i popoli di ceppo russo terminanti per -ov a volte scritto -off come Stefanov, tutti suffissi che stanno per “figlio di”). In effetti già presso gli antichi Greci, le persone venivano identificate dal nome proprio, da quello del padre e, a volte, dalla località d’origine, in quanto retaggio degli antenati indoeuropei trasmessa in seguito ai popoli slavi, germanici e nordici in genere (a tal proposito, illuminante può essere l’esempio del nome “Dante Alighieri”, in cui il cognome è un genitivo, in quanto significa “figlio di Alighiero”, mentre a sua volta il padre era detto “Alighiero de/de li Alighieri”).

A seguito della grande crescita demografica avvenuta in Europa tra X e XI secolo e coll’affacciarsi dell’Età Comunale, divenne sempre più complicato distinguere un individuo da un altro usando il solo nome personale. Tra le principali difficoltà nell’individuare correttamente una persona e registrarla, va essere considerata la condizione, tipica dell’epoca medievale, di chi fuggiva dallo status di servo rurale per vivere in città: ci si registrava nelle corporazioni municipali fornendo il nome e la provenienza (Montanaro, Dal Bosco, ecc.) oppure un pregio o difetto fisico (Gobbo, Rosso, Mancino, ecc.) oppure un mestiere (Sella, Ferraro, Marangon, ecc.) oppure l’indicazione del padre e della madre (es. Petrus Leonis equivaleva a “Pietro figlio di Leone”, che in seguito divenne Pierleone o Pier di Leone) e, dopo un anno solare, il feudatario perdeva il diritto di riportare il fuggitivo nel feudo di provenienza. Si rese così nuovamente necessario identificare tutti gli individui appartenenti alla medesima discendenza con un secondo nome, un nome aggiuntivo. Nacque, in tal modo, il cognome moderno, che poteva essere originato da una caratteristica peculiare delle persone, come ad esempio la loro occupazione, il luogo d’origine, lo stato sociale o semplicemente il nome dei genitori: Rossi (il cognome più diffuso in Italia) potrebbe far riferimento al colorito della carnagione o dei capelli di qualche antenato; Fiorentini, probabilmente, la provenienza originaria da Firenze, Di Francesco potrebbe indicare “figlio di Francesco”.

Esistono cognomi composti da più parole; il cognome Coladonato, ad esempio potrebbe indicare “colui che ha donato”. I primi casi di cognomi appaiono in Italia fin dalla fine del IX secolo come prerogativa distintiva di una classe privilegiata, poi nel corso del Medioevo il fenomeno si estende a macchia d’olio fino ad arrivare, in Età Rinascimentale, ad essere abbastanza diffuso. Più in dettaglio, il cognome si affermò precocemente a Venezia, per la sua più antica struttura democratica e intensità di attività economiche, specialmente marittime e commerciali, quindi a Genova e nelle altre Repubbliche Marinare e nei Comuni, infine nei centri minori e nelle campagne, o comunque negli Stati in cui le nuove istituzioni più tardavano a consolidarsi. In un primo tempo, non fu ancora una caratteristica ereditaria, ma piuttosto un carattere distintivo della persona: infatti restava prerogativa dei nobili l’uso di trasferire ai propri figli primogeniti l’identificativo del casato, così da perpetuarlo nel tempo. Successivamente, tra il XIII e il XIV secolo, l’uso si estese anche agli strati sociali più modesti. Il  Concilio di Trento del 1564 sancì l’obbligo per i parroci di gestire diversi registri con nome e cognome, al fine di evitare matrimoni tra consanguinei. Cominciarono così ad essere redatti, da parte di ogni parrocchia, chi prima chi dopo i seguenti volumi: Libri Renatorum (ossia dei battezzati), Libri Confirmatorum (dei cresimati), Libri Matrimoniorum (dei matrimoni), Libri Mortuorum (dei morti) e Status Animarum (resoconto annuale dei fuochi di un paese, divisi per rioni), ancor oggi fonte imprescindibile e preziosa per qualsivoglia ricerca genealogica. Durante il ‘600 e per tutto il ‘700 l’uso dei cognomi diventò un obbligo e, con la nascita dello Stato Civile e dell’Anagrafe  durante il Decennio Napoleonico, assunse quelle caratteristiche rimaste sostanzialmente inalterate fino ad oggi.  Volendo procedere ad una classificazione dei cognomi italiani secondo un quadro tipologico,  può essere utile procedere alla seguente schematizzazione di carattere generale:

1° tipo: costituito dai cognomi formati direttamente da un nome personale, all’origine il nome della persona da cui, per motivi vari, si cominciò a denominare anche il gruppo familiare: così Martino, o più spesso, Martini come plurale di valore collettivo, “la famiglia, la casata, quelli di Martino”.

2° tipo: costituito da quei cognomi aventi alla base, con lo stesso processo, un originario soprannome: così da “il Rosso”, Rosso con il regionale Russo e nel plurale collettivo Rossi.

3° tipo: comprende i cognomi formati o derivati da determinativi epitetici, ossia da determinazioni aggiuntive che avevano e a volte hanno ancora la funzione di identificare ulteriormente un individuo, oltre che con il nome personale, con l’indicazione di una sua particolare condizione: è il tipo più complesso, e richiede quindi un’articolazione, secondo la natura della condizione, in almeno tre sottotipi.

Il primo è costituito dai patronimici e dai più rari matronimici, ossia dall’indicazione del padre e della madre espressa attraverso il loro nome personale o soprannome o appellativo: il rapporto “figlio di” lo troviamo reso col di/de, come in Di Giovanni, De Luca, D’Angelo, Del Rosso, Della Vedova; con l’articolo determinativo lo o la (forma propria del Sud), come Lo Russo, La Rosa; con l’abbreviazione fi’ di figlio (forma ormai rarissima e propria della Toscana), come Firidolfi, Fittipaldi, cioè “figlio di Rodolfo, di Tipaldo (Tebaldo)”; infine con il semplice nome personale o soprannome, nei patronimici per lo più terminante in –i (continuazione della più diffusa desinenza in –i del genitivo del latino medievale, soprattutto cancelleresco e notarile, cioè “figlio di…”), come Gatto o Gatti.

Il secondo sottotipo ha alla base l’indicazione del paese, della città o del centro abitato, della località di residenza, di origine o di provenienza, della persona o del gruppo familiare, espressa sia con un aggettivo etnico, come Albanese, Spagnolo, Lombardi, Napolitano o Montanari, Valligiano; sia con il toponimo introdotto dalle preposizioni di e da o, nel Sud, determinato dall’articolo lo e la, come in Di Napoli e Da Ponte, Del Monte o Dalla Costa, Lo Castro e La Rocca; sia con il semplice toponimo, come Alemagna e Francia, Milani e Napoli, Costa, Monti, Ponte, Riva, Valle.

Il terzo sottotipo ha alla base l’indicazione del mestiere o della professione, della carica e dell’ufficio, e di altre particolari condizioni e relazioni sociali e familiari della persona da cui viene denominato il gruppo come Barbieri, Ferrari o Fabbri, Santi, Cavalieri, Giudici e Podestà, Abate e Monaco, Preti, Barba (cioè “zio” o “pastore valdese”) e Padrino o Santoli. Determinazioni, queste, che possono anche essere alla base di un patronimico o di un matronimico, come Del Giudice e Della Monica, Lo Console e La Barbera, e quindi rientrare nel prim sottotipo.

Sussiste infine un gruppo di cognomi che hanno in comune la sola caratteristica di essere stati usati per denominare una particolare categoria di persone, ma che non hanno uno specifico etimo onomastico, anzi partecipano ora all’uno ora all’altro dei tre tipi fondamentali, e non possono quindi costituire un gruppo a sé. Si tratta di quei cognomi imposti nel passato – ma poi divenuti ereditari e sopravvissuti fino a noi – dai parroci, dai responsabili di orfanotrofi o brefotrofi, dagli stessi ufficiali dello stato civile, a bambini abbandonati e trovatelli, figli di ignoti. Spesso essi sono formati da elementi lessicali o espressioni, la cui semantica linguistica è trasparente, che dichiaravano questa condizione di nascita sia in modo esplicito, diretto (come Esposito, Esposto o Esposti o Degli Esposti e Proietti, Trovati; Ignoti e Incerti o D’Ignoti e D’Incerti; Innocenti o Degli Innocenti; Nocenti e Nocentini; Diolosà) o indiretto, per lo più attraverso la denominazione dell’orfanotrofio o altro istituto assistenziale (come Casadei o Casadidio, Casadio; Della Pietà e in parte Colombo), sia in modo implicito, esprimendo l’affidamento a Dio o alla buona sorte del bambino privo della protezione e delle cure dei genitori (come Diotaiuti e Taiti, Diotallevi e Allevi, Sperindio e in parte Ventura e Venturini).

In conclusione, per quanto non esista una vera e propria statistica riguardante l’origine dei vari cognomi, si può stimare che in Italia le forme cognominali reali – escluse cioè quelle isolate o rarissime, per lo più errori di denuncia e di trascrizione anagrafica o varianti formali del tutto casuali – siano circa 130.000. Il 1° tipo rappresenta il 40% delle forme e corrisponde al 32% della popolazione; il 2° tipo il 19% delle forme ma il 31% della popolazione, ed è quindi il meno numeroso rispetto al repertorio dei cognomi ma con forme e gruppi di altissima frequenza (si pensi, in ordine decrescente ai gruppi Rossi, Bianchi, Ricci, Mancini, Bruno, Galli, Gatti, Grassi, Negri, Mori, Biondi); il 3° tipo rappresenta il 41% delle forme e il 37% della popolazione, ed ha quindi il più alto numero di forme, ma con una frequenza media inferiore a quella del 2° tipo. Seguendo invece un diverso parametro di classificazione, si stima che il 35% derivi da nomi propri del padre o del capostipite, un altro 35% abbia relazione con la toponomastica (cioè faccia riferimento a nomi di paesi o località o zone), un 15% sia relativo a caratteristiche fisiche del capostipite, un 10% derivi dalla professione o dal mestiere o dall’occupazione o dalla carica, un 3% sia di derivazione straniera recente ed un 2% sia un nome augurale che la carità cristiana riservava ai trovatelli.

2.4 GLI ANIMALI TOTEM

Preghiera del Lupo

 

Seguimi lungo il sentiero,

Io camminerò accanto a te.

Ti aiuterò e ti mostrerò la strada.

Io non ti lascerò.

 

Sarò in piedi sul sentiero,

mentre ti guardo.

Se ti senti solo

Chiudi gli occhi e

Vedrai sei serie di impronte.

Due appartengono a te,

quattro sono le mie.

Allora saprai che non ti ho mai lasciato.

(http://lalanternadeisogni.blogspot.it/2012/06/preghiera-del-lupo-indiani-damerica.html)

L’elenco degli animali totem è vasto, sia in termini di significato, si in termini di numero di animali, ma credo sia importante riportarlo in quanto offre uno spunto importante per storie e metafore da usare in terapia.

Alce:  esso rappresenta il rispetto e la stima di se stessi, cosi come il riconoscere che un processo creativo è stato saggiamente portato a termine, sono qualità ben simboleggiate dall’alce, la forza e l’orgoglio del quale sono veramente impressionanti. Da lui possiamo imparare a esprimere ad alta voce la nostra gioia per una impresa o un compito portato a termine, cosi come l’alce in calore lancia il suo grido di richiamo in primavera. Non si tratta qui di andare a cercare consensi o complimenti, ma semplicemente di dare spazio ed espressione al nostro sentimento più bello, quello della gioia, e la gioia del proprio successo può poi anche coinvolgere gli altri. Spesso proprio le persone più anziane possiedono la forza dell’alce e possono quindi incoraggiare i più giovani e consigliarli su come usare il loro coraggio e arrivare al successo. Essi infatti sanno quando è appropriato essere gentili e amichevoli e quando invece serve dare sfogo alla propria giusta rabbia. L’alce mostra insomma quanto sia importante sapersi fare coraggio e apprezzare i risultati ottenuti. Allo stesso modo dovremmo imparare a lodare e incoraggiare gli altri, poiché da ciò chiunque può trarre beneficio. Egli ci  incoraggia a camminare a testa alta, annunciando agli altri i nostri successi con gioia (cosi come l’Alce in calore lancia il suo grido di richiamo in Primavera).

L’aquila: è la personificazione della forza divina: essa vola alta nel cielo, più in alto di ogni altro essere vivente, avvicinandosi così al Grande Spirito. Librarsi a queste altezze le consente di avere una visione d’insieme delle cose della vita. L’insegnamento dell’aquila è di riconoscere il senso delle cose che accadono, il disegno che si esprime nelle vicende della vita, sia nei momenti di luce che in quelli d’ombra. Ciò significa saper considerare sia gli eventi positivi che quelli negativi come esperienze che ubbidiscono a una volontà superiore e aiutano a sviluppare la nostra consapevolezza. La forza dell’aquila richiede quindi come condizione preliminare per essere conseguita la fiducia nella volontà divina: un uomo può arrivare a ottenerla solo attraverso dure prove e grande forza d’animo. Fin dai tempi antichi gli sciamani hanno usato penne d’aquila per curare l’aura di persone malate. Vincete le vostre paure, spingete lo sguardo oltre il vostro orizzonte, unitevi all’elemento aria e volate! Questo è l’invito e l’incitamento dell’aquila.

La balena:  essa è la custode della storia della terra e dei suoi segreti. Essa tiene vivo per esempio il ricordo della leggendaria terra-madre Mu,  il continente mitico di un’era antichissima situato a ovest delle Americhe,  essendo stata testimone della grande catastrofe naturale che ne provocò la scomparsa. Gli uomini dotati della forza della balena hanno in genere non solo un udito finissimo, ma anche la capacità di percepire le informazioni contenute nell’universo e di comunicare telepaticamente. Spesso la fonte del loro sapere resta per loro stessi un mistero e hanno bisogno di un lungo tempo per imparare a fare uso delle loro capacità. La balena vuole insegnarci a cercare e trovare il nostro tono di base, la frequenza originaria che contiene in sé la storia complessiva di tutti gli esseri viventi. Questa frequenza sonora può guarire dalle malattie e tramite essa possiamo metterci in contatto con il linguaggio originario, quello usato nei tempi primordiali prima ancora che l’attuale forma di comunicazione fosse stata sviluppata. La balena infine sembra indicarci costantemente il sentiero che ci porta verso il nostro proprio significato profondo .

Il bisonte:  rappresenta per gli indiani l’abbondanza. Quando appariva loro un bisonte bianco – l’animale sacro per eccellenza – era un segno che le loro preghiere erano state ascoltate e un periodo di abbondanza stava per iniziare. Per gli indiani delle praterie questo animale era una risorsa vitale, poiché rappresentava il loro cibo, mentre le sue pelli servivano a confezionare vestiti e a costruire i tipi. Una leggenda racconta che una volta la femmina del bisonte-bianco portò agli uomini la Pipa di Medicina. Nel suo tabacco furono unite tutte le forze della natura e il suo fumo era una preghiera resa visibile, mentre le particelle di cenere che veleggiavano nell’aria rendevano possibile agli spiriti di realizzare i desideri degli uomini. Il bisonte ci insegna che tutte le cose sono presenti in abbondanza, quando noi impariamo a rispettarle e ad accettarle con riconoscenza. E infatti di fondamentale importanza apprezzare tutti i doni che riceviamo e augurare anche agli altri che il regno dei cieli venga a loro. Il bisonte ci indica inoltre che ogni cosa è ottenibile, ma solo con l’aiuto del Grande Spirito.

Il cane:  In tutto il mondo il cane viene visto come esempio di fedeltà e di affidabilità: il suo antico istinto è quello di servire fedelmente il suo padrone. Sebbene venga a volte trattato male dall’uomo, reagisce sempre con amore e pazienza. Attraverso una educazione sbagliata e anche possibile, purtroppo, rovinarne il carattere. Per il cane è molto importante venire rispettato dal suo padrone, del quale si sente fino in fondo il protettore. In effetti, è pronto anche a sfidare la morte pur di salvarlo. Nella tradizione indiana, inoltre, il cane è anche il guardiano di luoghi segreti e il custode della conoscenza ancestrale. Il cuore del cane è colmo di compassione, per cui riesce a sorvolare su molte debolezze dell’uomo. Da lui possiamo imparare pure noi ad appropriarci di questa qualità, cosi come possiamo apprendere a esaminare con regolarità la nostra lealtà verso noi stessi e verso gli altri.

Castoro: egli è dimostra soprattutto intelligenza e senso della collettività ed è a tutti gli effetti un costruttore e un ingegnere ideale. La forza del castoro aiuta chi la possiede a realizzare i propri sogni e i propri desideri lavorando insieme ad altri, poiché il castoro ha un senso della comunità e della famiglia molto sviluppato. Esso è anche preparato e sempre pronto all’auto-difesa – con i suoi denti è pur sempre in grado di abbattere un albero – e questo ci indica la necessità di proteggere il lavoro fatto e di essere sempre ben svegli e presenti. La forza del castoro può anche essere evocata per trovare soluzione a un problema. Come nelle sue costruzioni vi sono sempre diverse possibili uscite, così dovremmo imparare da lui a lasciarci sempre aperte diverse possibilità. Esso sembra seguire il principio: Quando una porta è chiusa, vi è un’altra via aperta . Seguendo il suo insegnamento, infatti, non dovremmo mai arrivare a chiuderci da soli delle possibilità. Quando il castoro vi appare in sogno, questo può significare di concretizzare un vecchio desiderio custodito a lungo, oppure di portare finalmente a compimento un vecchio progetto.

Cavallo: importato dai bianchi,  modificò completamente la vita delle tribù: cambiò il metodo di caccia e di guerra, il tipo di economia, l’organizzazione sociale. In battaglia i guerrieri curavano minuziosamente l’aspetto del loro animale dipingendolo con simboli che avevano un preciso significato. Il cavallo divenne anche simbolo di ricchezza : più se ne possedeva e maggiore era il prestigio all’interno del villaggio.  Frequenti divennero quindi le scorrerie per rubarli sia ai bianchi sia  alle tribù ostili. I nativi divennero molto bravi ad addomesticare i  cavalli, nutrendo però sempre un profondo rispetto per essi.

Il cervo: è secondo gli indiani la personifìcazione dell’amicizia e dell’amore incondizionato. Il suo mantello chiazzato sembra indicare come esso non faccia differenze tra ciò che è chiaro e ciò che scuro, tra bene e male. La forza del suo amore e della sua dedizione riesce a guarire gli altri da ogni ferita, anche quando si trovino già da lungo tempo in cattive acque. Quando un cervo appare nei nostri sogni, ci indica come sia importante amare gli altri per quel che sono, quindi accettando anche le loro debolezze e i lati negativi. Dobbiamo lasciare da parte ogni aspettativa da parte nostra, poiché nessuno può essere costretto a cambiare secondo la nostra volontà. Solo il calore del cuore può riuscire a guarire vecchie ferite e a rinsaldare rapporti difficili o incrinati. Un’altra lezione che possiamo apprendere dal cervo è di mantenere intatta la nostra attitudine spirituale, orientarla sempre verso il bene senza lasciarci influenzare da persone o situazioni negative. Queste sembreranno sciogliersi nell’aria da sole, se sapremo mantenerci cordiali e fiduciosi anche nelle situazioni più difficili. A questo punto, la via che ci porta verso l’energia divina sarà aperta.

La civetta: è il simbolo della magia e della veggenza. In diversi paesi viene anche chiamata aquila della notte . Essa possiede una vista eccezionale anche durante il buio notturno, alla quale si aggiunge un ottimo udito. Quando caccia, le sue prede non riescono ad avvertirne l’arrivo perché, grazie alle sue penne particolari, riesce a volare senza alcun rumore di battito d’ali. Gli individui in possesso dell’energia della civetta sono in genere versati nelle arti magiche, o comunque nutrono uno spiccato interesse per l’occultismo. Si sentono fortemente attratti verso la magia bianca o verso la meno raccomandabile magia nera. E quasi impossibile tenere loro nascosto qualcosa, giacché sono in grado di percepire anche i pensieri più reconditi. Non solo comprendono sempre senza fatica quale sia la verità, ma ritengono questa dote una cosa ovvia e naturale, la qual cosa li rende a volte poco ben accetti o addirittura temuti. La civetta è l’uccello della saggezza, poiché è in grado di vedere e ascoltare cose che sfuggono agli altri animali. Può aiutare a riconoscere la verità e a interpretare le indicazioni del destino.

Il colibrì:  è espressione di gioia e di amore per la vita. Sa cogliere e gustare la bellezza dei fiori e l’armonia della natura, ma reagisce con la fuga a ogni vibrazione negativa o disarmonica, poiché è orientato verso l’estetica e la bellezza. La sua medicina consiste nel dispensare gioia e amore, sia nel contatto con i fiori che in quello con uomini e animali. Molte piante sembrano fiorire e crescere per lui, mentre le aiuta a diffondersi spargendo il nettare che raccoglie. La magia del colibri è insita nel suo atto di aprire il cuore. Per questo motivo si fa spesso uso in diverse culture delle sue piume per preparare filtri d’amore. La sua tecnica di volo è unica tra tutti gli uccelli, giacché è in grado di volare in avanti, a ritroso e anche restando fermo nella stessa posizione. Questo fatto lo mette in una posizione del tutto speciale: secondo le dottrine degli antichi Maya, infatti, il colibrì appartiene già di diritto alla prossima epoca, quella del quinto mondo. Questo piccolo uccello delicato non si cura delle cose del mondo, la sua vita è un ininterrotto inno alla gioia. Uomini dotati della forza del colibrì hanno un’inclinazione del tutto simile: portati all’equilibrio e alla felicità, aiutano volentieri anche gli altri a sviluppare la gioia di vivere e dare il meglio di se. Come il colibrì stesso, disprezzano la bruttezza e il cattivo umore riuscendo sempre a trovare luoghi nei quali la bellezza e l’armonia regnano sovrane.

Il coniglio: è l’animale che più di ogni altro simboleggia la paura. Proprio tramite il suo perenne timore di essere ucciso e mangiato da una lince, da un coyote, da un’aquila o da un grosso serpente, attrae magicamente e inconsapevolmente questi animali, contribuendo a fare accadere proprio ciò che più egli teme. Sulla terra in effetti succede sempre quello che uno si aspetta, e proprio questo è l’insegnamento che ci dà il coniglio: quello che noi più temiamo succede puntualmente. Cercate di evitare pensieri e previsioni negative di malattie o altre disgrazie! In caso contrario attrarrete proprio le cose che temete, e questo succederà perché voi possiate imparare la legge universale secondo la quale noi stessi siamo la causa prima di tutti gli eventi che ci capitano.

Il corvo: viene considerato dagli indiani il messaggero della magia. E’ l’ambasciatore del grande vuoto che risiede oltre il tempo e lo spazio, dell’etere dal quale tutto deriva e a cui tutto fa ritorno. Quando si teneva una cerimonia magica, il corvo era sempre presente per poter assorbire l’energia magica e recapitarla nel luogo a cui essa era mirata. Con il suo aiuto, è possibile guarire persone ammalate che si trovino anche a grandi distanze. Coloro che hanno fatto uso di tecniche di magia nera hanno buoni motivi per temere la presenza di un corvo, poiché esso ha il compito di riportare al mandante le energie negative causate da queste pratiche. Il corvo può aiutarvi a modificare il vostro stato di coscienza e a trovare il coraggio di affrontare il grande mistero. Osservate il suo manto di penne, come sembri cambiare forma e colore. Dirigete il vostro sguardo nella nera oscurità del vuoto, forse troverete le risposte alle vostre domande.

Il coyote:  è un birbante infido e dispettoso ed è… sacro. E’ quasi sempre occupato a ingannare gli altri animali o anche se stesso. Cade sempre nelle sue stesse trappole per poi liberarsi e uscirne ogni volta di nuovo incolume. Dato che non riesce a imparare dai suoi errori, si ritrova spesso a rimanere ingarbugliato nelle stesse difficili situazioni. Solo la sua capacita, quasi un’arte, di campare alla giornata gli garantisce di sopravvivere e di non riportare seri danni. Nel caso siate in possesso di questo tipo di energia, vi ritroverete spesso a fare la parte del clown e sembrate sempre finire nelle più difficili e strampalate situazioni senza averne minimamente l’intenzione. In questo caso l’unica cosa che può aiutarvi è il saper ridere di voi stessi: solo così potrete uscire dal gioco vincitori o per lo meno senza danno. Il coyote ci tiene lo specchio di fronte e ci mostra le nostre stesse pazzie. Nessun altro più di una persona-coyote è in grado di smuovere con eleganza e disinvoltura un gruppo di persone o una situazione divenute troppo serie o pesanti.

Il Falco: è il messaggero tra gli animali-totem, in un certo senso paragonabile al messaggero degli dei della mitologia greca. Con lo squittio del falco viene sempre annunciato un evento particolare, che può avere carattere gioioso oppure di pericolo. E quindi importante saper osservare con precisione la situazione del momento e, quando necessario, sapersi spingere ad agire con coraggio. Il falco suggerisce anche il gesto di tendere la mano per ricevere i regali del Grande Spirito, che a volte sono già pronti per noi ma che noi spesso non riusciamo ancora a vedere. Individui che posseggano la forza del falco sono in genere acuti osservatori, ai quali non sfugge il minimo dettaglio di una situazione che essi tengano sotto controllo. Essi sono in grado di riconoscere e comprendere i segni e ricevono spesso indicazioni importanti anche da altri mondi. Qualora vi capiti di ascoltare lo squittire di un falco, fate la massima attenzione e cercate di osservare le cose da una migliore prospettiva per poter comprendere a fondo il significato del suo avvertimento.

La farfalla: è il simbolo del processo di trasformazione che porta verso le cose d’ordine superiore. Essa ci insegna a trasformare la nostra vita consapevolmente, a creare nella realtà situazioni del tutto nuove, a realizzare i nostri desideri più profondi. Ogni nuova idea e ogni piccolo passo verso la nostra auto-realizzazione si rispecchia nel processo di sviluppo della farfalla. Nella fase dell’uovo essa rappresenta la nascita di un’idea; nello stadio di larva indica il momento in cui si deve decidere se questa idea va realizzata oppure no; come bozzolo insegna a entrare in noi stessi per legare questa idea al nostro essere interiore. Infine la nascita della farfalla è anche la nascita di una nuova realtà: ora possiamo dividere con gli altri la gioia di una nuova creazione. Queste quattro fasi della trasformazione hanno luogo in maniera costante nel corso della nostra vita, poiché sono essenziali alla nostra evoluzione interiore. La forza della farfalla ci insegna e aiuta insomma a dare ordine al nostro pensiero e a decidere coscientemente il prossimo passo da compiere.

La piccola formica accomuna in sé molte qualità: sa essere forte, resistente, aggressiva quando necessario, generosa e molto accurata. Tra di queste la capacità di resistenza è forse quella che più la caratterizza. Una formica è in grado di tendere un agguato restando nascosta sotto la sabbia per ore, oppure è capace di trasportare prede o pezzi di cibo più grandi di lei per lunghi tragitti senza mai arrendersi o rinunciare. Tipica è anche la sua dedizione allo scopo comune: tutte le sue azioni sono al servizio del formicaio a cui appartiene e sono finalizzate al bene della comunità. La formica ci insegna che riusciremo sempre a ottenere tutto ciò di cui abbiamo bisogno, e proprio quando ci sarà più necessario. Essa simboleggia la fiducia più profonda: sa che alla fine tutte le sue fatiche verranno ricompensate e l’energia investita tornerà in misura ancora maggiore. Quando le vostre azioni servono al bene comune, potete essere certi che in qualche modo la vostra energia tornerà a voi per la stessa via. Può essere, comunque, che vi dobbiate sforzare e fare uso di tutta la vostra creatività per poter realizzare i vostri desideri.

La lince: è il custode dei misteri tra gli animali-totem. E la conoscitrice e la guardiana di tutti gli antichi segreti, anche di quelli già caduti nell’oblio. Essa sembra muoversi libera da legami di tempo e spazio e restando quasi sempre chiusa nel silenzio, è molto difficile riuscire a carpirle un po’ delle sue conoscenze. Se una lince appare nei vostri sogni, questo vuole significare che esiste un segreto, o in voi stessi o in qualcuno a voi vicino, del quale siete ancora all’oscuro. Se un individuo è in possesso di una considerevole energia della lince, egli avrà capacità di veggenza e di profonda introspezione; mediante queste, saprà riconoscere il vero se stesso e la vera identità, il sé più profondo delle persone che ha di fronte. Saprà anche riconoscere con certezza le tecniche di auto-inganno che ognuno usa quotidianamente. L’unica possibilità di venire in possesso di alcune delle sue conoscenze è di retribuirlo adeguatamente per rivelarle, secondo l’usanza degli sciamani e dei profeti. Questa usanza rientra infatti nella loro tradizione ed è basata sul principio dello scambio reciproco di energie.

La lontra: rappresenta l’energia femminile. I suoi elementi, terra e acqua, sono quelli della donna. Questa forza equilibrante la rende giocosa e allegra tutto il giorno, anche con i propri piccoli. La lontra non inizierebbe mai per prima una lotta con un altro animale, poiché non conosce l’aggressività ne la mancanza di equilibrio; per questo motivo essa va incontro a ogni essere con curiosità e spirito amichevole. Solo nel caso venga attaccata è pronta e disposta anche a difendersi. Anche la sua figura corrisponde all’ideale di donna degli indiani: snella e graziosamente civettuola. La lontra insegna che l’essere donna non ha niente a che fare con gelosia e diffidenza, bensì è sinonimo di gioia e franchezza: è la forza della generosità, del dividere i propri beni con gli altri. Gli individui dotati dell’energia della lontra amano l’amore libero senza costrizioni e senza giochi di forza. Si lasciano portare dal fiume della vita senza badare o attaccarsi ai beni materiali. È questa la potente forza ricettiva delle donne.

Il lupo: viene posto in relazione, nella tradizione indiana, con la stella Sirio nella costellazione del Leone, dalla quale, secondo la leggenda, provenivano i maestri dell’antichità. Anche il lupo infatti viene considerato un maestro, che dopo un lungo girovagare fa ritorno al suo branco per riferire delle sue osservazioni e delle sue esperienze. Vive strettamente all’interno della famiglia, ma senza rinunciare alla sua indipendenza. Si sceglie una compagna alla quale resterà fedele per tutta la vita. Ululando alla luna si ricongiunge alla forza di questa, alla sua energia spirituale e alla forza dell’inconscio, via d’accesso alla conoscenza. Il lupo ci può dare l’energia per insegnare agli altri, per aiutarli a comprendere meglio la vita e a trovare la loro propria strada. Usando la forza del lupo possiamo riuscire a riprendere contatto con il nostro maestro interiore.

L’Orso: è il simbolo dell’introspezione, l’orso si ritira ogni inverno in una grotta, quasi a voler ri – analizzare e digerire tutti gli eventi accadutigli durante l’annata. Sembra chiudersi in un lungo silenzio, in un gran vuoto, nel quale cercare le risposte a tutte le sue domande. Anche molti uomini scelgono la via del silenzio e della solitudine per cercare di avvicinarsi a se stessi: un ottimo modo per trovare risposte che alla fine sono sempre entro noi stessi. L’introspezione è necessaria per imparare a capire i nostri desideri ed è una forma d’energia ricettiva tipicamente femminile. L’orso si ritira dunque in inverno per poi rinascere in primavera. La lezione dell’orso ci mostra come sia importante sapersi sottrarre, di tanto in tanto, dalla concitazione del nostro mondo così come dalla furia dei nostri pensieri. Solo nella calma, infatti, possiamo riuscire ad ascoltare la voce del nostro essere più intimo, che ci può dare la risposta a tutte le nostre domande e la soluzione a tutti i nostri problemi. Fate uso della forza dell’orso, quando volete raggiungere gli scopi che vi siete prefissi.

Il pipistrello:  è il simbolo della rinascita. Da un lato abita anfratti oscuri che ricordano il buio della tomba, dall’altro riposa a testa in giù nella posizione che ha un bimbo nel ventre materno poco prima della nascita. Le venerazione del pipistrello è originaria del Centro America, dove aveva un ruolo rilevante nelle culture degli Aztechi, dei Toltechi e dei Maya. In primo luogo raffigura la morte simbolica che lo sciamano deve sperimentare durante il rito d’iniziazione. L’idea di base è che l’iniziando deve affrontare e vincere le proprie paure, quindi deve incontrare il vero se stesso, per potersi liberare dal proprio vecchio ego e poter rinascere come uomo nuovo, libero da ogni blocco e da ogni paura. Rituali di questo tipo sono presenti presso tutte le popolazioni indigene della terra. In genere l’aspirante sciamano viene sottoposto a prove durissime di ogni genere, che lo portano ai suoi limiti sia psichicamente che fisicamente. Per esempio è prevista in molti casi anche la sepoltura sotto terra dell’iniziando per una intera notte. Quando vi appare in sogno un pipistrello, questo è un segno che indica la necessità di staccarvi da una parte di voi stessi, da una vostra particolare attitudine, oppure da una situazione di vita non più soddisfacente. In altre parole, è importante morire una morte simbolica per poter progredire ulteriormente.

Nella Ruota di Medicina al porcospino viene assegnato il posto del bimbo innocente. Il suo essere infatti è pacifico e amichevole, non attacca mai per primo. Quando poi gli capita, e succede di rado, di venire attaccato da un altro animale, gli bastano le sue spine per difendersi. Le qualità tipiche che il porcospino impersona sono la fede e la fiducia. La fede, secondo il vecchio detto, può spostare le montagne ed è quindi da considerare come una forza molto potente. Il porcospino può insegnare a essere aperti, a scoprire ogni giorno qualcosa di nuovo e meraviglioso e a liberarsi ogni tanto dal mondo troppo serio e rigido degli adulti. Esso ha mantenuto intatta la sua capacita di stupirsi come un bambino e di nutrire una spensierata fiducia nel piano divino, che provvederà dall’alto a far procedere tutto nel migliore dei modi. L’amichevolezza e il carattere aperto nei confronti degli altri aiutano infatti ad aprire i cuori e a dividere con essi gioia e amore.

Il puma – o leone di montagna – è il simbolo per eccellenza della pura forza. Questa può naturalmente venire usata a scopi benefici, come possiamo vedere nel caso di capi o guide ispirati da saggezza, oppure per fini e interessi personali, servendo per veri abusi di potere. Chi osservi con attenzione i movimenti sinuosi, forti ed eleganti di questo grosso felino, può comprendere e imparare come corpo, mente e spirito possano essere portati in uno stato di completa armonia. Dobbiamo comunque comprendere anche che più energia un individuo ha a disposizione, più diventa difficile e complesso saperla gestire e farne un uso equilibrato e ragionevole. Il puma ci spinge a tenere fede alle nostre convinzioni più profonde e di attenerci sempre alla verità: queste sono le qualità che caratterizzano una persona in grado di comandare o guidare gli altri. Ottenere una posizione di comando comporta però anche grandi difficoltà; per esempio è molto difficile riuscire ad accontentare sempre tutti, oppure riuscire a mantenere la pace sociale – o quella tra i popoli – molto a lungo. Infine si deve badare bene di non diventare oggetto di manipolazioni esterne o di farsi sfruttare da persone senza scrupoli. Un uomo con l’energia del puma deve evitare di mostrarsi pauroso o troppo fragile e deve essere pronto ad assumersi grandi responsabilità; inoltre dovrebbe cercare di mantenere un certo rispettoso distacco dai suoi simili.

La figura del ragno, come il numero delle sue zampe, ci riportano al numero otto, che simboleggia l’infinito, la grande varietà e le innumerevoli possibilità del creato. Il numero quattro raddoppiato indica sia i quattro venti che le quattro direzioni celesti. Il ragno ci indica incessantemente di assumerci la responsabilità di quanto ci succede nella vita: siamo noi stessi a tessere la rete del nostro destino. Coloro che si sentono vittime rimaste impigliate in questa rete non hanno ancora compreso il senso della lezione e vagano prigionieri di una realtà fittizia che non riescono a cambiare. L’insegnamento del ragno è che ogni essere è responsabile degli eventi della propria vita e che è essenziale non perdersi nelle illusioni dei propri sensi. Può essere d’aiuto tenere una traccia scritta dei propri progressi, per poterci ricordare come e quali passi ci abbiano portato a dei successi, e infatti il ragno è anche un simbolo dei caratteri della scrittura. Infine esso ci spinge a guardare oltre il nostro orizzonte, verso altre dimensioni.

Il serpente simbolizza per gli indiani il ciclo di nascita, vita, morte e rinascita, grazie al processo della muta della pelle. Tra i tipi di forza che gli vengono attribuiti si annoverano la forza della creazione, della sessualità, del mutamento, dell’anima e dell’immortalità. Uomini con l’energia del serpente sono piuttosto rari, poiché tra le esperienze che devono attraversare vi è quella di venire in contatto coi veleni senza riportarne danni, cioè imparando a trasformare le sostanze velenose penetrate nei loro corpi in sostanze innocue. Il serpente è una creatura collegata all’elemento fuoco: a livello del corpo ciò genera passione e desiderio, ma a livello spirituale porta ad accedere al Grande Spirito e a realizzare la saggezza che tutto comprende. Qualora il serpente appaia nei vostri sogni, ciò indica che è tempo di iniziare un processo di mutamento, allo scopo di poter progredire e avvicinarsi alla realizzazione di sé.

La tartaruga o l’incarnazione della Madre Terra : il guscio sul suo dorso le fa da scudo protettivo. Con la sua andatura lenta la tartaruga ci avverte di non fare le cose troppo in fretta e che è molto meglio attendere il momento giusto per agire. Essa lascia agire il calore del sole sulle sue uova e ci indica in questo modo come sia importante lasciare maturare in silenzio i nostri pensieri, le nostre idee, prima di comunicarli agli altri. L’insegnamento della tartaruga consiste anche nel restare sempre con i piedi ben per terra, cioè di non perdere mai il contatto con il terreno. Inoltre ci mostra come proteggere i nostri sentimenti e ritirarci in noi stessi. Quando è messa alle strette, la tartaruga è anche pronta a mordere.

Il Tasso: ecco ci insegna come fare uso con creatività e successo dell’aggressività. La maggior parte degli animali evita con cura di contrastarlo: nonostante la sua statura piuttosto piccola è infatti un avversario pericoloso, temuto per la sua natura selvaggia e la sua aggressività. Il tasso è l’animale-totem dei guaritori e delle donne-sciamano. Un uomo con la forza del tasso può fare uso con successo della propria tenacia per guarire gli altri: non si rassegnerà nemmeno nei casi più difficili, ma insisterà fino allo scomparire della malattia. Il messaggio del tasso è di fare uso anche della propria rabbia, della forza insita in essa, per riuscire a cambiare situazioni di vita negative o problematiche: lasciate la vostra indolenza dietro di voi e agite! Usate la vostra energia per attaccare, per catapultarvi in avanti, ma senza necessariamente investire chi vi sta vicino e facendo sempre attenzione a mantenere intatto il vostro equilibrio. Gli uomini-tasso vestono spesso i panni del boss, temuto dagli altri, ma che alla fine tiene le redini in mano in tutte le situazioni. Quando è di cattivo umore, non si fa specie di mostrare freddezza e cattiveria, poiché la sua forza consiste anche nel saper mostrare i suoi sentimenti senza curarsi delle reazioni altrui. Inoltre egli non conosce il panico e anche nelle situazioni più pericolose riesce sempre a mantenere il proprio sangue freddo e la mente lucida.

Il topo:  la caratteristica principale del topo è quella di osservare accuratamente tutte le cose da vicino. E in effetti il più pignolo tra tutti gli animali e ci insegna a esaminare le situazioni con cura e a sistematizzare le nostre conoscenze. Sa che è possibile approfondire ogni tipo di sapere, e in questo senso incarna la caratteristica più tipica del nostro tempo: la specializzazione. La controparte di questa sua predisposizione è la tendenza a complicare anche le cose più semplici: la visione d’insieme può infatti andare facilmente perduta se si vogliono sempre e comunque esaminare tutti i dettagli. Anche quando osserviamo una cosa troppo da vicino non riusciamo più a cogliere il suo aspetto complessivo e i suoi collegamenti con il resto. Un’altra qualità del topo è invece il fiuto molto sviluppato per il pericolo. Essendo un bocconcino prelibato per molti altri animali, ha affinato all’estremo la sua percezione ed è incredibilmente veloce a trovare rifugio e mettersi in salvo. Gli uomini di questo tipo sono in genere piuttosto timorosi, di certo sono prudenti e molto accurati nelle loro azioni: tutto ciò che fanno è ordinato e ben organizzato. Per loro sarebbe comunque importante riuscire a osare di più e affrontare ciò che non conoscono, volgere lo sguardo verso l’infinità dell’universo e imparare a essere tolleranti. Nell’insieme, possiamo dire che la lezione del topo è di osservare meglio le cose e imparare a reagire fulmineamente.

La caratteristica più straordinaria della volpe è quella di potersi mimetizzare completamente con l’ambiente, quasi come svanendo in esso. Il suo mantello estivo color marrone l’aiuta a divenire quasi invisibile nel folto del bosco, mentre quello invernale assume lo stesso color bianco che ha la neve. La volpe è un animale molto attento e parecchio veloce, pronto ad agire in ogni momento. La sua forza risiede principalmente nella sua furbizia, con la quale riesce facilmente a liberarsi dei suoi nemici. Anche la cura della famiglia fa parte delle sue caratteristiche e quindi del tipo di forza che simbolizza. Uomini che possiedono questa forza sono in genere osservatori silenziosi e sanno sempre come passare inosservati. Ciò significa che sanno come fondersi e diventare tutt’uno con l’ambiente in cui si trovano, come muoversi in ogni tipo di situazione sociale senza dare nell’occhio: sono maestri nell’arte della mimetizzazione. La volpe ci insegna a comprendere l’unita delle cose e a usare questa conoscenza in maniera saggia a tutti i livelli dell’essere. Un talismano a forma di volpe può essere raccomandato a tutti coloro che si trovano spesso a  a viaggiare.

( http://mastervalentina.freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9256503).

La scelta di questi animali , è stata dettata  dal due motivi:

pratico, poiché il numero è molto ampio  e dal loro potere – magia, che offre la possibilità di utilizzarli in terapia sotto forma di storie e metafore. E’ possibile così rileggere alcuni aspetti delle proprie paure o blocchi emotivi esplicando ad esempio il potere di un animale e vedere come utilizzarlo per affrontare la propria difficoltà. Inoltre lo stesso animale con tiene due Aspetti contrastanti tra loro, ma in perfetto equilibrio ( esempio il lupo è rappresentato sia come animale buono che cattivo) e questo elemento cu può far riflettere sul differente significato dello stesso potere – capacità. Si acquisisce così maggiore elasticità mentale e  pratica, e ci si allontana da una visuale di se e dell’ altro rigidamente costruita, che crea sofferenza.

Per questi motivi ho scelto due animali importanti per il loro potere: il ragno e il lupo. Il ragno è un animale che incute molta paura, forse perché esteticamente è brutto, così ho deciso di dargli una nuova veste, un nuovo significato, attraverso qualche elemento storico che gli dà letture diverse e per questo più adattabili anche in terapia, nell’uso di storie e metafore. Il lupo invece mi affascina per la sua indole compassionevole e di grande rispetto verso il branco e verso la compagna che lo segue per tutta la vita.

2.4.1  IL RAGNO

Il ragno è un aracnide che fila la sua tela che funge da trappola e da nido.
Nella mitologia di tanti popoli, il ragno è visto in modo negativo , talvolta sotto forma di “spirito” ingannatore; il motivo forse di questa idea nasce proprio dalla diffidenza che si prova nei confronti di una creatura che si fabbrica una rete per catturare insetti che poi uccide con il morso velenoso.
Una rete è, universalmente, il simbolo della cattura, poiché è questa la sua funzione.
Nell’Antica Persia, la rete è simbolo mistico correlato all’idea dell’illuminazione “che cattura”, mentre nel Vangelo di Luca la pesca lungo il lago di Genezareth è un modello della “pesca di anime” che sarebbe stata portata avanti dagli Apostoli.

La Dea del mare nordica, Ran, figlia di Agir, pesca con una rete gli affogati per portarli nel regno dei morti, mentre lo spirito “ingannatore” Maui nella mitologia polinesiana pescò con una rete il Sole donando, così, il fuoco agli uomini. Nereau (il signore dei ragni), venerato nelle isole micronesiane Nauru, è l’esempio più tipico di ragno creatore nei suoi due aspetti di Ragno Antico (Areop-enap) e Ragno Giovane ; nella versione diffusa nelle Isole Gilbert, in particolare, Ragno Antico crea il cielo e la terra da una conchiglia. Affine è il mito della donna-ragno Biliku, adorata nelle isole Andamane sia come creatrice sia come portatrice del fuoco
La rete del ragno in India è simbolo dell’ordinamento cosmico e per la sua struttura a raggi può anche diventare il simbolo dell’irradiarsi dello spirito divino. Nell’Himalaya, vengono fabbricate delle reti particolari dette “reti- acchiappa- demoni” che hanno la funzione di far allontanare e fuggire gli spiriti maligni. Sempre in India, la rete del ragno è anche il simbolo del mondo dei sensi (il velo di Maya) che imprigiona in modo illusorio il debole e che il saggio è in grado di strappare.

Nelle credenze popolari ha anche un aspetto positivo. Esso è un animale spirituale: si riteneva, infatti, che durante il sonno l’anima di colui che sogna potesse uscire e rientrare dalla bocca sotto forma di ragno (si credeva la stessa cosa per la lucertola). Addirittura, in molte località alpine i ragni a croce, proprio per questo segno che hanno sulla schiena, vengono ritenuti un segno fortunato e non vengono uccisi. Anche nell’antica Cina il ragno era segno di buone notizie; per esempio, il ritorno di un figlio che se ne era andato di casa.

Il ragno che tesse la tela è stato anche paragonato all’attesa della gioia del cielo.
Nella mitologia egizia, il ragno è un attributo della Dea Neith, come tessitrice del mondo.

Nella mitologia greca, è associato ad Atena, Armonia, le Moire e Persefone.
Il mito di Aracne è famoso: nelle Metamorfosi (Libro VI) di Ovidio, si racconta che la Dea Atena, che di solito appare come una Dea giusta, si mostrò adirata e gelosa di Aracne “ragno”, una principessa libica (in un’ altra versione, figlia del tintore lidio Idmone e di Colofone) , tessitrice abilissima che ebbe il coraggio di sfidare la Dea (che avrebbe invece dovuto invocare per averne la protezione come Dea di tutte le arti). Aracne raffigurò in modo eccellente gli incontri amorosi degli Dei su un arazzo per mettere in imbarazzo Atena ed indurla a commettere un errore; e quando la Dea vide che la ragazza aveva lavorato meglio di quanto non avrebbe potuto fare lei stessa , stracciò l’arazzo.  A questo punto Aracne si impiccò e Atena la trasformò nell’animale da lei più odiato- il ragno- che si nasconde in eterno nella propria tela. In realtà, l’essere trasformati in ragno può significare l’avere molto potere. Nel momento della metamorfosi, Aracne diventa la grande Dea Ragno e, in un certo senso, diventa Atena stessa. Nella mitologia nordica il ragno è associato ad Holda ed alle Norne. L’azione di filare viene spesso riferita ad una triade femminile di esseri soprannaturali e divini che filano, tessono e tagliano fili che rappresentano la vita dell’uomo (Parche, Moire, Norne). Già la simbologia della forma triadica è importante in tutto il mondo antico, soprattutto per le divinità femminili. Oltre a queste già citate, vi sono anche le tre Grazie, le Ore, le Gorgoni, le Graie, le Erinni, le Eumenidi. Le Muse, che erano nove, erano chiaramente legate alla struttura triadica. La triade la ritroviamo anche nel cristianesimo, come la Trinità e anche per varie Sante (per esempio le Tre Marie, come nota Robert Graves in “La Dea Bianca”). Nel culto maschile la triade si ritrova anche nella Trimurti Indù (Brama, Shiva, Vishnu ) e nel Buddismo nell’immagine dei “tre gioielli” ( legge, Buddha, e comunità ) che nel Gianismo diventano “giusto agire, giusta fede, giusta conoscenza”. In Alchimia sono tre le parti che compongono il mondo (“corpus”, “anima”, “spiritus”).  Come abbiamo detto vi sono le Parche (in greco Moire) ovvero le creature che assegnano la vita.

Erano dette anche Fatae (dee del destino) in riferimento alle Norne della Germania settentrionale. Esse sarebbero le figlie della Notte ( Nyx ) e Erebo, o di Zeus e Temi come le loro sorelle le “Ore”.Spesso sono appunto rappresentate come filatrici. La prima, Cloto ( “la filatrice” ) fila le trame della vita; la seconda, Lachesi ( “la misuratrice”) la conserva, mentre la terza, Atropo ( “che non può essere dissuasa” ) che rappresenta ciò che è ineluttabile, taglia il filo e la vita dell’uomo. Vengono rappresentate anche con fuso, pergamena, bilancia.

Le Norne, “coloro che si pronunciano”; fanno parte della mitologia nordica, sono cioè le Fate, le donne che decidono il fato di ogni persona. Sono ovviamente tre: Urd (o Urdr che significa “wyrd”, “svolgimento del destino”) ,la quale fila e rappresenta il passato; Verdandi (l’ “Essere”, il “divenire”), che arrotola il filo ed è il presente; e Skuld (“qualcosa di dovuto”, “colpa”), che recide il filo, che somiglia un po’ al concetto indiano di Karma, ed è il futuro. Esse vivono sotto le radici del frassino Yggdrasill, l’albero del mondo, accanto alla fonte originaria.

L’attività del filare è anche ricollegabile alla Luna e alle sue fasi: crescente, Luna Piena, calante, Luna Nuova (“scura”). Il fuso appare spesso anche nelle favole, dove si riallaccia al destino e alla morte come in “Rosaspina” dei fratelli Grimm. Nell’immaginario cristiano Maria (ad esempio durante l’Annunciazione) viene spesso raffigurata con il fuso in mano (rinvio ad Eva: “mentre Adamo scavava ed Eva filava..”). Così come è usuale l’associazione Maria ¬- Luna. Il fuso, nel mondo cristiano medievale, divenne simbolo di vita contemplativa che caratterizzava personaggi come Giovanna D’Arco, Santa Margherita e Santa Genoveffa.

Quindi, vi sono molte altre divinità tessitrici sparse in varie culture: Ixchel, divinità Maya dello Yucatan (detta anche Chac -chel), legata alla luna e che con il nome di Ixcanleom era collegata alla figura del ragno. Nell’area Mediorientale hanno queste caratteristiche Ishtar e Atargatis. Nella mitologia africana, Yiyi, uomo ¬ ragno, che porta il fuoco dal cielo per aiutare l’umanità. La sua ragnatela è usata dalle ancelle del sole per scendere sulla terra per prendere l’acqua e poi ascendere in paradiso. Per i nativi delle isole Nauru, nel Sud del Pacifico, il mondo fu creato da Areop-Enap (ragno antico).Anche la celtica Arianrhod, “Ruota d’argento”, si potrebbe ricollegare alla simbologia del ragno. Gli indiani Chibcha, una tribù delle Ande settentrionali, in Colombia, credono che i morti attraversino il lago della morte su barche fatte con ragnatele. Ecco perché rispettano il ragno, non uccidendolo. In alcune mitologie indiane dell’America meridionale, si crede che la ragnatela sia il mezzo per salire dal “mondo inferiore” a quello superiore.
In tutto il mondo vi sono miti che descrivono l’ascesa al cielo del futuro sciamano all’interno di una tela di ragno. Molto simile a questa tradizione nordica è quella della tribù australiana Yaralde. Nella loro tradizione si dice che non ci si deve spaventare di fronte al ragno se no si spezza il collegamento con queste immagini e il viaggio non può avvenire. Invece, se non si teme il ragno, così terrificante, dopo non ci si spaventerà mai più di nulla.  (http://lagrandedea.forumfree.it/?t=48322901).

2.4.2 IL LUPO

Il lupo è a me caro perché è un animale che sento molto vicino al mio modo di sentire il contatto con la Natura e nel rapporto con gli altri animali; inoltre è vicino al cane, il mio essere non umano preferito.

Dopo aver letto “ Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Estès, mi sono interessata di più di questo animale e ho scoperto essere molto affascinante: “ I lupi sani e le donne sane hanno in comune talune caratteristiche psichiche: sensibilità acuta, spirito giocoso, e grande devozione. Lupi e donne sono affini per natura, sono curiosi di sapere e possiedono forza e resistenza. Sono profondamente intuitivi e si occupano intensamente dei loro piccoli, del compagno, del gruppo. Sono esperti dell’ arte dell’adattarsi a circostanze sempre mutevoli; sono fieramente gagliardi e molto coraggiosi.

Eppure le due specie sono state entrambe perseguitate, tormentate e falsamente accusate di essere voraci ed erratiche , tremendamente aggressive , di valore ben inferiore a quello dei loro detrattori…una lupa uccise un suo cucciolo ferito a morte; insegnò la compassione dura, e la necessità di permettere alla morte di andare dal morente” ( Clarissa Estes, Donne che corrono coi lupi, ed. Frassinelli, 2000, pag. 2-3). Questo estratto mostra ciò che più mi conquista e forse ha affascinato anche gli Indiani: una vita immersa nella Natura tanto terrena, nei boschi, quanto legata al cielo quando, cercando i suoi simili, ulula alla luna.

A riguardo c’è una storia che ricorda proprio questo:

In una bella serata estiva, tanto tempo fa, in cielo splendeva una sottile falce di luna, che si affacciava fra le nuvole.

Un lupo, seduto sulla cima di un monte, ululava senza sosta. I suoi ululati erano lunghi, ripetuti e disperati. La luna, la regina d’argento della notte, ne fu infastidita e gli chiese perché si lamentasse tanto. Il lupo rispose che aveva perso uno dei suoi cuccioli e che ormai disperava di trovarlo. La regina della notte, dispiaciuta e desiderosa di aiutarlo, pensò di illuminare tutta la montagna per far sì che il lupacchiotto trovasse la via del ritorno. Così si gonfiò tanto da diventare un disco grande e luminoso. A quel punto il lupo ritrovò il suo cucciolo, tremante di freddo e di paura, sull’orlo di un precipizio. Lo afferrò in tempo, lo strinse forte, lo rincuorò e ringraziò infinitamente la luna. Poi se ne andò col figlioletto, allontanandosi tra la vegetazione. Le fate dei boschi, commosse. Decisero di fare un bellissimo regalo: una volta al mese la luna sarebbe diventata un globo di luce grande e luminoso, visibile a tutti, in modo che tutti i cuccioli del mondo potessero ammirarla in tutto il suo splendore. Da allora, una volta al mese i lupi ululano festosi alla luna piena.

Queste storie connettono l’uomo non solo con la Natura, ma anche con ciò che sta dentro di loro. Si tratta di entrare in un mondo fatto di circolarità e restituzione:  il lupo parla alla luna che l’aiuta a ritrovare i suoi cuccioli, l’indiano che impara dal lupo e riporta l’insegnamento agli uomini che lo chiedono, interpretando segni o sogni, tornando continuamente tra dentro e fuori di sé. Un dialogo aperto e continuo.

Nel film famoso “Balla coi lupi” gli Amerindi chiamano l’attore Kevin Costner proprio come colui che balla col lupo: entrambi si sono riconosciuti, tanto il lupo con il soldato, tanto il contrario. Questo riconoscersi è il  legame attraverso cui passa quel potere : l’uomo riconosce in quell’animale qualche cosa che gli serve per migliorare la propria consapevolezza di sé, e l’animale fa lo stesso. Si tratta di  un cammino che dura durate la Vita e tutta la Morte.

Un altro modo di vivere e connettersi col lupo è comprendere il significato del detto “in bocca al lupo”, ma cosa vuol dire?

Solitamente diciamo “In bocca al lupo” a chi deve sostenere un esame scolastico, una visita medica o comunque deve affrontare una qualche difficoltà o prova della vita. E’ un modo per augurare che tutto possa andare bene, nel migliore dei modi.

Ma vi siete mai chiesti che origini ha questo augurio? Purtroppo non abbiamo mai l’abitudine di andare in profondità delle cose, la nostra curiosità è spesso arrugginita e non ci fa spingere più in là della comoda ma improduttiva pigrizia. E proprio per questo motivo nel tempo si è perso il significato più autentico di questo augurio e la risposta triste ed immotivata che ne scaturisce oggigiorno è “Crepi!”.

l lupo è un’animale affascinante. Costruisce la sua tana in luoghi sicuri e segreti e riuscire a trovarla è cosa rara. Per istinto sposta i propri cuccioli in bocca, soprattutto quando vi è un pericolo: il lupo che sta difendendo i cuccioli è quanto di più feroce possa esistere in natura.

I cuccioli in bocca al lupo sono protetti al massimo e augurare a qualcuno di trovarsi in bocca a questo magnifico animale è un modo per auspicargli di essere protetto e guidato dallo spirito forte e maestoso del lupo. Dopotutto anche Romolo e Remo sono stati allevati da una lupa, animale non scelto a caso: la lupa li trovò, li allattò e li portò in bocca fino ad una grotta per proteggerli.

Cosa rispondere, quindi, all’augurio “In bocca al lupo”? Frasi come “Lunga vita al lupo” oppure “Evviva il lupo” oppure semplicemente “Grazie”.

Le parole che utilizziamo sono fondamentali per comprendere e leggere correttamente la realtà. Insegnate il significato profondo di questo augurio ai vostri figli, ai vostri alunni e a chi non lo conosce!

Riprendiamoci la vera essenza delle parole e, soprattutto, riscattiamo finalmente la figura del lupo! (www.italianwildwolf.com)

Anche la Natura si connette con il lupo: nella storia della leggenda di Alba Radiosa e Lupo solitario si narra come nacque la costellazione del Lupo.

Lune orsono nella tribù del popolo degli uomini, che voi bianchi battezzaste con il nome di Sioux, visse una principessa così bella e radiosa e che ogni mattina al suo risveglio ella trovava una rosa nel suo teepee proprio accanto al suo viso.

Ella era molto corteggiata ed i più giovani e forti guerrieri della tribù facevano a gara per portare a suo padre Orso Saggio i più bei cavalli e le armi più decorate come voleva l’uso per chiedere la mano della principessa.

E da tutte le tribù vicine ella era conosciuta ed amata e sarebbe stato fortunato colui che avesse avuto il suo cuore.

Alba Radiosa, questo era il nome che la tribù le aveva dato per la sua solarità, viveva gaia e felice quindi nell’attesa di scegliere il suo compagno come era in uso nella tribù. Poco distante dall’accampamento, ai limiti della foresta, viveva in una modesta capanna un guerriero di nome Lupo Solitario, egli non era bello e nemmeno più giovane ma il suo cuore batteva per Alba Radiosa e batteva così forte che, quando vedeva la principessa, sembrava che i tamburi di guerra tuonassero all’unisono!Ed era lui che ogni notte sfidava le ire di Orso Saggio per posare la rosa accanto alla principessa.

Una notte però calda e afosa le principessa si svegliò proprio mentre lui poneva la rosa accanto a lei. Lei gridò… Orso Saggio si destò all’improvvivo e colpì col suo coltello Lupo Solitario al cuore.Ma la Madre Terra, dea dei Sioux, ebbe pietà di Lupo e lo tramutò in una costellazione, la Costellazione del Lupo.

Se guardi a destra dell’Orsa Minore la vedrai e se ascolterai bene udrai anche un ululato lontano nella foresta al limitare dell’accampamento della tribù degli uomini.

E’ il lamento di Lupo Solitario per il suo amore mai realizzato. (http://tonykospan21.wordpress.com/2013/05/22/alba-radiosa-e-lupo-solitario-bella-leggenda-degli-indiani-damerica).

Ma una delle storie che amo di più è quella raccontata dal padre al figlio, nella tradizione dei Cherokee, che narra:

Una vecchia leggenda cherokee racconta che un giorno il capo di un grande villaggio decise che era arrivato il momento di insegnare al nipote preferito cosa fosse la vita. Lo porta nella foresta, lo fa sedere ai piedi di un grande albero e gli spiega: “Figlio mio, si combatte una lotta incessante nella mente e nel cuore di ogni essere umano. Anche se io sono un saggio e vecchio capo, guida della nostra gente, quella stessa lotta avviene dentro di me. Se non ne conosci l’esistenza, ti spaventerai e non saprai mai quale direzione prendere; magari, qualche volta nella vita vincerai, ma poi, senza capire perché, all’improvviso ti ritroverai perso, confuso e in preda alla paura, e rischierai di perdere tutto quello che hai faticato tanto a conquistare. Crederai di fare le scelte giuste per poi scoprire che erano sbagliate. Se non capisci le forze del bene e del male, la vita individuale e quella collettiva, il vero sé e il falso sé, vivrai sempre in grande tumulto. È come se ci fossero due grandi lupi che vivono dentro di me: uno bianco, l’altro nero. Il lupo bianco è buono, gentile e innocuo: vive in armonia con tutto ciò che lo circonda e non arreca offesa quando non lo si offende. Il lupo buono, ben ancorato e forte nella comprensione di chi è e di cosa è capace, combatte solo quando è necessario e quando deve proteggere se stesso e la sua famiglia, e anche in questo caso lo fa nel modo giusto: sta molto attento a tutti gli altri lupi del suo branco e non devia mai dalla propria natura. C’è anche un lupo nero che vive in me, ed è molto diverso: è rumoroso, arrabbiato, scontento, geloso e pauroso. Le più piccole cose gli provocano accessi di rabbia: litiga con chiunque, continuamente, senza ragione. Non riesce a pensare con chiarezza poiché avidità, rabbia e odio in lui sono troppo grandi. Ma è rabbia impotente, figlio mio, poiché non riesce a cambiare niente. Quel lupo cerca guai ovunque vada, perciò li trova facilmente; non si fida di nessuno quindi non ha veri amici. A volte è difficile vivere con questi due lupi dentro di me, perché entrambi lottano strenuamente per dominare la mia anima.”

Al che, il ragazzo chiede ansiosamente: “Quale dei due lupi vince, nonno?”

Con voce ferma, il capo risponde: “Tutti e due, figlio mio. Vedi, se scelgo di nutrire solo il lupo bianco quello nero mi aspetta al varco per approfittare di qualche momento di squilibrio, o in cui sono troppo impegnato e non riesco ad avere il controllo di tutte le mie responsabilità, e attaccherà il lupo bianco, provocando così molti problemi a me e alla nostra tribù. Sarà sempre arrabbiato e in lotta per ottenere l’attenzione che pretende. Ma se gli presto un po’ di attenzione perché capisco la sua natura, se ne riconosco la potente forza e gli faccio sapere che lo rispetto per il suo carattere e gli chiederò aiuto se la nostra tribù si trovasse in gravi problemi, lui sarà felice e anche il lupo bianco sarà felice ed entrambi vincono. E tutti noi vinciamo.”

Confuso, il ragazzo chiede: “Non capisco, nonno, come possono vincere entrambi?”

Il capo continua: “Vedi, figlio mio, il lupo nero ha molte importanti qualità di cui posso aver bisogno in certe circostanze: è temerario, determinato e non cede mai. E’ intelligente, astuto e capace dei pensieri e delle strategie più tortuose, caratteristiche importanti in tempo di guerra. Ha sensi molto acuti e raffinati, che soltanto chi guarda con gli occhi delle tenebre può valorizzare. Nel caso di un attacco, può essere il nostro miglior alleato.”

Poi il capo tira fuori due pezzi di carne dalla sacca e li getta a terra, uno a sinistra e uno a destra. Li indica dicendo: “Qui alla mia sinistra c’è il cibo per il lupo bianco, e alla mia destra il cibo per il lupo nero. Se scelgo di nutrirli entrambi, non lotteranno mai per attirare la mia attenzione e potrò usare ognuno nel modo che mi è necessario. E, dal momento che non ci sarà guerra tra i due, potrò ascoltare la voce della mia coscienza più profonda e scegliere quale dei due potrà aiutarmi meglio in ogni circostanza.

Vedi, figlio mio, se capisci che ci sono due grandi forze dentro di te e le consideri con uguale rispetto, saranno entrambi vincenti e convivranno in pace. E la pace, figlio mio, la missione dei Cherokee, il fine ultimo della vita. Un uomo che ottiene la pace interiore ha tutto. Un uomo che è lacerato dalla guerra che si combatte dentro di lui, è niente.

(http://mericolucia.com/category/indiani-damerica/).

Ma il lupo nelle altre culture e tradizioni a che cosa veniva associato?

l lupo (canis lupus- canis rufus) può essere considerato, un animale di primo piano in quasi tutte le culture del mondo.Ne sono prova le numerosissime leggende legate al lupo, racconti presenti nelle tradizioni magico-mitologiche di ogni civiltà o nell’immaginario di molti popoli, dal quale sono stati tratte credenze specifiche che hanno avuto come oggetto questo animale, inquietante sia nel bene che nel male.

Generalmente, il lupo è stato simbolo di forza e di crudeltà, spesso di significato sfavorevole, in considerazione della sua ostentata aggressività verso l’uomo e le sue cose.
Tuttavia il lupo soltanto se affamato o ferito potrebbe aggredire l’uomo, com’è stato riscontrato da ricerche scientifiche, in casi peraltro estremamente sporadici nel contesto secolare d’osservazione dell’animale. Di solito, invece, il lupo ha procurato e procura danni all’allevamento del bestiame e, per tale motivo gli è stata attribuita una fama piuttosto negativa. Ma al di là di tutto ciò, il lupo ha rispettato e rispetta, l’essenza d’ogni animale che coincide con il naturale istinto di sfamare sé e la sua prole, con la natura di predatore astuto e spietato. In Italia, invece, è presente lungo la dorsale appenninica centrale, con massima concentrazione nell’Abruzzo, nel Molise, nell’Umbria e nelle Marche.

Il colore del pelame è di solito grigiastro, particolarmente scuro alla sommità del capo, sul dorso e sulla superficie esterna delle orecchie.  Non mancano, tuttavia, esemplari di colore nero o completamente bianco (lupus albinus). Quest’ultima varietà è in genere presente nei territori montani costantemente innevati.  Il lupo può raggiungere l’età massima di 20-25 anni e, se raccolto da cucciolo, è un animale addomesticabile. E’ un predatore naturale, caccia in gruppo di tre o quattro elementi, adottando tecniche differenti adatte alle diverse situazioni, dimostrando una “intelligenza” e una forza istintiva fuori del comune, paragonabile ai metodi di caccia usati dagli uomini primitivi. La sua tecnica di caccia, generalmente si esplica nello studiare la preda, attaccarla e ucciderla, divorarla e fuggire. Il timore riversato per secoli sul lupo dagli uomini, è reciproco.

La paura del lupo verso l’uomo è stata ben descritta, sebbene in modo emozionante, nei racconti di Kipling.  Qui, un ragazzo adottato e svezzato da un branco di lupi, riusciva a dominare gli animali con lo sguardo, ma fuggiva alla presenza degli uomini.

Nella Grecia antica, esisteva una città, Licopodi, nella quale erano condotti i licantropi e ivi rinserrati, nella convinzione che potessero recare danno alla comunità.

La leggenda degli uomini-lupo si protrasse fino al MedioEvo, Peraltro nei paesi germanici sorse una vastissima letteratura sui cosiddetti “lupi mannari” e, nelle popolazioni latine, quella dell’uomo “versipelle”, un personaggio demoniaco provvisto sottopelle di pelo di lupo, pelo che poteva fargli assumere l’aspetto di un enorme animale. Ciononostante il lupo è rimasto nell’immaginario infantile come figura che incute timore. Ai bambini, ancor oggi è paventata la figura dell’animale come una sorta di spauracchio, figura presente nella letteratura favolistica che lo presenta come elemento negativo da evitare e, possibilmente da uccidere (cfr. “Cappuccetto Rosso”) e da esorcizzare. E’ forse, a causa di un meccanismo mentale atavico che la figura del lupo può esercitare, su talune personalità nevrotiche, un’oscura attrattiva, le cui caratteristiche psicologiche si evidenziano in un misto continuo di aggressività, slancio, entusiasmo, forza, tenerezza, depressione, malinconia e senso di fallimento che si alternano senza sosta. Tale sindrome è stata per secoli ritenuta opera di forze demoniache e, per questo, la figura del lupo fu associata spesso a quella del demonio. Difatti, per “licantropia” s’intende, a tutt’oggi, una forma di pazzia spesso furiosa, per cui il malato diventa preda di un desiderio irrefrenabile di urlare, di mordere, di rifugiarsi in luoghi solitari, secondo il comportamento naturale del lupo. Animale iperboreo, il lupo incarna inoltre la luce primordiale originale, lo si ritrova infatti al centro di tutte le tradizioni nordiche, è l’animale che vede la notte, infatti i suoi occhi al buio sono luminosissimi.
Il lupo, per meglio dire il suo simbolo, è entrato a far parte delle leggende anche dei popoli del Nord Europa. Nelle regioni siberiani esso rappresenta la fecondità. (Marte, il fallo), per i Mongoli, ad esempio, è l’antenato del conquistatore Gengis Kan.

Il lupo bianco, Fenrir fu associato, nei paesi scandinavi arcaici, al dio della vittoria Tyr, ed alla di lui runa Taiwaz. A questo dio nordico, al lupo fu attribuito anche un significato magico, giacché essendo stato incatenato dagli dei in tre occasioni – altre fonti riportano nove volte – sarebbe sempre riuscito a liberarsi dalle catene di ferro con le quali era legato.

L’ultima volta, però Odino riuscì a legare Fenrir con la catena Gleipnir fabbricata da un elfo della terra con differenti materiali. Proseguendo nell’osservazione mitica del Lupo, osserviamo che secondo l’Astrologia Tradizionale, quest’animale è posto sotto l’influenza di Marte e di Saturno.

Altri appunti e curiosità sul lupo: in Egitto viene rappresentato sotto vesti guerriere, come Anubis, mentre in Etiopia si dice che vi sia una razza di lupi con criniera fulva che quando corrono, sembra che volino tanto sono spettacolari nella corsa. Al solstizio d’inverno il loro pelame è folto, al solstizio d’estate il loro corpo è completamente privo di pelo. Gli Etiopi hanno chiamato questo animale theas. Ma cerchiamo di non dimenticare il lupo, per meglio dire la lupa che allattò Romolo e Remo, fondatori di Roma, simbolo della nostra italianità.

(http://forum.termometropolitico.it/religioni-filosofia-e-spiritualita/esoterismo-e-tradizione/106690-il-lupo-nella-simbologia-e-nella-tradizione.html).

2.5   USO DELLE METAFORE E DELLE STORIE CON GLI ANIMALI IN TERAPIA

Come può essere definita la metafora? Un linguaggio figurato, una figura retorica, un modo simbolico di esprimere qualcosa o un’espressione fantasiosa e creativa dove le leggi del mondo reale si combinano con l’irreale per esplorare una parte più profonda dell’individuo? La letteratura è ricca di definizioni a proposito: metafora (dal greco μεταφορά, da metaphérō, «io trasporto») è un tropo linguistico e si ha quando, al termine che normalmente occuperebbe il posto nella frase, se ne sostituisce un altro la cui “essenza” o funzione va a sovrapporsi a quella del termine originario creando, così, immagini di forte carica espressiva. La metafora differisce dalla similitudine per l´assenza di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (“come“). E non è totalmente arbitraria: in genere si basa sullo stabilimento di un rapporto di somiglianza tra il termine di partenza e il termine metaforico, ma il potere comunicativo della metafora è tanto maggiore quanto più i termini di cui è composta sono lontani nel campo semantico. In semantica la metafora è più propriamente il processo per cui una parola si arricchisce di nuovi significati, per estensione. Ad esempio, la parola vite indica l´utensile vite per analogia con la pianta della vite (per somiglianza tra la filettatura dell´utensile e il viticcio della pianta). Spesso tali meccanismi sono fossilizzati nel lessico e non sono avvertiti dal parlante, ma si possono ricostruire con lo studio dell´etimologia. L’uso della metafora è essenziale al linguaggio umano, in quanto consente di trasmettere pensieri e concetti altrimenti difficili da comunicare. La metafora è nata, come elemento di studio, di approfondimento e d’uso della retorica, l’arte antica del bel parlare e della capacità di persuadere. Il suo uso, inizialmente poetico e persuasivo, si è esteso nel tempo, a tutte le discipline. Di metafora, si sono interessati retori e filosofi del passato, quali Isocrate, Cicerone, Sant’Agostino, Aristotele. E proprio quest’ultimo ha sostenuto che: « La metafora consiste nel trasferire ad un oggetto il nome che è proprio di un altro: e questo trasferimento avviene, o dal genere alla specie, o da specie a specie, o per analogia.»

 A riprendere e ampliare la definizione di metafora, di Aristotele, fu Turbayne, il quale fece notare che la metafora non deve necessariamente essere espressa in parole, ma può essere comunicata anche con dei segni. Pertanto, il quadro di un pittore o il gioco di un bambino può essere considerato espressione metaforica. Turbayne, arricchì ancor più, la descrizione di metafora fatta da Aristotele, e asserì che la parabola, la favola, l’allegoria, e il mito possono essere considerati sottogruppi della metafora. E seppure Turbayne, è stato tanto innovativo nella descrizione della metafora, omette di considerare che una persona può consciamente recepire una metafora secondo il senso letterale, mentre a livello inconscio ne può recepire il significato simbolico. Questa è l’ipotesi di base, su cui si fonda l’impiego clinico della comunicazione metaforica.

Nella storia della scienza sono rinvenibili molte metafore tant’è, che ogni «[…] mutamento di teoria è accompagnato da alcune importanti metafore…». Esse possono assumere valore esegetico, come metafore sostitutive, od anche rappresentare «[…]un ponte che viene offerto all’intuizione » Anche le teorie psicologiche offrono molte metafore: il cognitivismo con il modello del computer, la psicoanalisi con un uso anche clinico di questo strumento, e le teorie sistemiche con le descrizioni “triangolari” delle dinamiche familiari, solo per fare alcuni esempi. Se dunque, le metafore sono ampiamente utilizzate nel ragionamento scientifico, si assiste negli ultimi anni alla diffusione della prospettiva narrativa nella quale si osserva da parte di molti studiosi non solo l’adozione di un modello scientifico narrativo, ma anche lo sviluppo di molte ricerche sulle modalità narrative di ragionamento che comportano anche il ricorso alle metafore. Nella letteratura sistemica al termine metafora è stato assegnato un significato ampio, che coglie la continuità e la compresenza tra diversi livelli mentali. A proposito, sono molto significative le ipotesi antropologiche di Brenda Beck. La Beck considera la metafora come un mediatore, capace di mettere in comunicazione gli aspetti sensibili e immaginativi con quelli logici e razionali. Gregory Bateson, padre della teoria sistemica, ha più volte sottolineato il ruolo svolto dalla metafora nella conoscenza. La metafora è espressione artistica delle emozioni e costituisce il senso relazionale e emozionale condivisa dal gruppo.

Anche Minuchin e Whitaker si sono interessati di utilizzare le metafore nelle loro psicoterapie e mentre Minichin parla di uso di metafore spaziali e organizzative (sia nella descrizione dei problemi, sia nell’individuazione dei percorsi risolutivi); Whitaker da importanza all’uso della metafora in quanto massima espressione del sé terapeutico. Gordon nel suo testo Metafore Terapeutiche, esamina la costruzione della metafora, come modalità per comunicare e generare cambiamenti.

La metafora, è uno strumento elettivo di evoluzione e creatività, è capace di apportare continuo dinamismo alle strutture di pensiero. E’ esemplificazione emotiva di un contenuto verbale. E’ la comprensione del modello del mondo dell’altro e si può creare in modo naturale e inconscio dalla narrazione. Offre l’occasione di “entrare” nelle emozioni e talvolta di condividerle. Rende più fluente la comunicazione e favorisce l’apprendimento. Coinvolge, incanta, concede l’opportunità di un viaggio ai confini tra realtà e fantasia.

Per  Bateson la metafora è il principio con cui l’intera struttura degli esseri viventi è messa insieme. La metafora è una struttura che connette, una struttura che caratterizza l’evoluzione di tutti gli esseri viventi. Per Watzlawick le metafore sono forme espressive che agiscono principalmente a livello analogico, aggirando le razionalizzazioni difensive dei pazienti ed attivando in funzione terapeutica la sfera intuitiva ed emotiva della personalità. Infine, anche Boscolo si è interessato della metafora, sostenendo che il linguaggio proprio della metafora, i simboli, le immagini mentali tendono a stabilire un clima emotivo fluido ed intenso che facilita il cambiamento terapeutico.

Quali sono i vantaggi dell’uso delle metafore?

Gli interventi terapeutici che fanno leva sulle metafore generate dal cliente aiutano sia il terapeuta che il cliente ad allargare e approfondire la loro comprensione del sistema di pensiero di quest’ultimo, sistema che rispecchia nel suo uso delle metafore, e in particolare nelle metafore dei suoi ricordi d’infanzia. Esistono due percorsi per raggiungere questi risultati: innanzi tutto non viene utilizzata nessuna interpretazione né quadri di riferimento (frames o reference) esterni (modelli teorici o quadri mentali del terapeuta) durante il processo di esplorazione/trasformazione. Il terapeuta facilita nel cliente la ricerca interiore delle proprie immagini metaforiche, evitando di introdurre qualsiasi altro contenuto aggiuntivo. Se il terapeuta propone una sua idea lo fa solo per aiutare il cliente a prendere in considerazione ulteriori possibili significati o immagini di una metafora da lui già presentata. Se il cliente rifiuta il suggerimento, questo viene lasciato cadere dal terapeuta. Sono quindi i clienti che hanno il potere di elaborare e di modificare le loro immagini metaforiche: i terapeuti rispettano l’esperienza e le scelte soggettive dei clienti, accettando ciò che si rivela durante il processo di esplorazione e trasformazione. In secondo luogo il linguaggio metaforico è influenzato dalla “cultura” individuale di ciascuno e in qualche modo la riflette. Le metafore generate dal cliente portano in luce la personale esperienza e il personale sistema di significati di ciascun cliente individualmente inteso, dato che la metafora tipicamente incorpora influenze culturali soggettive piuttosto che generalizzazioni e stereotipi culturali diffusi.

Allo stesso modo le metafore dei primi ricordi infantili sono immagini dell’infanzia dell’individuo che rispecchiano i quadri mentali di una persona nella sua unicità, i quali a loro volta risentono dell’influenza della cultura e dell’appartenenza etnica, a loro volta mediate dalla famiglia e dal sistema sociale in cui la persona è cresciuta. In conclusione, le metafore generate dal cliente sono “prossimali” all’ interazione tra cliente e terapeuta, e dovrebbero quindi poter essere correlate a un risultato terapeutico positivo . Inoltre, dato che il processo di esplorazione e di trasformazione delle metafore generate dal cliente si verifica all’interno della sua visione del mondo, gli interventi metaforici generati dal cliente sembrano adattarsi particolarmente bene alla psicoterapia con popolazioni culturalmente differenti. La psicoterapia con le metafore offre un modo per esprimere empatia, ascoltare e accedere a processi inconsci, facilitare una maggiore comprensione e un migliore contatto nella relazione terapeutica e affina la capacità del terapeuta di vedere con gli occhi dell’altro, ascoltare con le sue orecchie e sentire con il suo cuore. Tale metodo aiuta il terapeuta ad evitare gli atteggiamenti di onnipotenza, fare attenzione sia al procedimento che al contenuto, mostrare rispetto e acquisire una comprensione dell’unicità di ogni cliente, aggirare la sua resistenza, dargli la capacità di iniziare un movimento e un cambiamento, aumentare la consapevolezza del terapeuta rispetto alle sue aspettative e ai suoi vissuti (controtransfert), nonché sviluppare abilità di psicoterapia breve.

(http://www.psicolab.net/2008/la-metafora/).

Nello specifico durate un colloquio raccontare una storia o fare una metafora permette al sistema – relazione di raggiungere obiettivi importanti, magari che si possono usare anche in altre occasioni, senza riprendere l’intero discorso. Essa diventa un significato condiviso, oltre che terapeutica nel momento in cui permette il cambiamento.

Raccontare una storia, inoltre, può arricchire il processo terapeutico poiché delinea maggiormente un percorso: dal “ C’era una volta” si passa al qui ed ora della terapia e le connessioni trovate permettono di spostarsi, si elaborare, di fare le differenze e lavorarci sopra.

Gli Indiani usavano molte storie legate alla proprio Popolo per apprender ed insegnare, oltre che per tramandare le loro tradizioni. Sono storie ricche di saggezza e permettono di riflettere e decidere quale strada prendere. Spesso gli Sciamani interrogati dal Popolo raccontano storie per aumentare la consapevolezza e la conoscenza di sé. Quello che gli Sciamani ottenevano durante i rituali nelle capanne del sudore erano la Ricerca di una Visione, cioè la ricerca di un modo di percepire le cose. Inoltre “ le Storie sono come sentieri, o Vie, e quando ascoltiamo una Storia è some se stessimo effettivamente percorrendo quel particolare sentiero che essa ha creato per noi”

( H. Storm, Sette Frecce, ed Corbaccio, 1997, pag. 26).

Il mondo indiano è fatto di cerchi, il modo di conoscere è basato sulla circolarità: la Vita e la Morte, l’Uomo e gli Animali, l’Animale con la Grande Madre e così via. Vediamo di che cosa si tratta.