Mar 30, 2015 | PsicoAttualità, Psicologia |
Vedi Sito Internet www.benessere.com
La patologia cancerosa, ancora oggi, viene valutata come la più drammatica e problematica delle malattie. A partire dal momento della comunicazione della diagnosi e durante tutto l’iter terapeutico, la persona affetta da tumore alterna momenti di disperazione a momenti di speranza. Ma anche quando ad un paziente viene comunicata la risoluzione della malattia, non si pensi che tutti i problemi possano improvvisamente scomparire insieme alla causa prima che li ha generati. Sempre più spesso, infatti, si sente parlare delle problematiche psicologiche dei long-survivors (lungo-sopravviventi). L’American Cancer Society chiama paziente sopravvivente “colui o colei che è vivo dopo cinque anni dalla diagnosi”, per gli epidemiologi la sopravvivenza corrisponde all’intervallo di tempo tra la diagnosi e la morte. W. Niederland nel 1968 cominciò a parlare della “Sindrome del Sopravvissuto”, in riferimento agli studi effettuati sui sopravvissuti all’Olocausto.
leggi intero articolo su
http://www.benessere.com/psicologia/arg00/sopravvivere_tumore.htm
Continua →
Mar 29, 2015 | Psicologia |
La scarpa che va bene a una persona sta stretta a un’altra. Non c’è una scelta di vita che vada bene a tutti.
Carl Gustav Jung
Continua →
Mar 28, 2015 | Cine&Psiche |
Autore: Sergio Stagnitta
vedi blog CinemaePsicologia
Vedendo il film di Almodóvar “La pelle che abito” (2011) mi è venuto in mente un libro straordinario, che consiglio a tutti di leggere, di Didier Anzieu, uno psicoanalista francese molto famoso, tra l’altro, per le sue teorie sui gruppi. Ho accennato a questo testo nel gruppo facebook cinema e psicologia
https://www.facebook.com/groups/cinemaepsicologia/
Riporto in questo post l’incipit del libro che si intitola “L’epidermide nomade e la pelle psichica”. Edizione italiana Raffaello Cortina (1990).
Mi sembra un racconto pieno di spunti interessanti ed anche un vertice di osservazione particolare in relazione al film.
“Quando ero bambino, i miei sogni non somigliavano affatto a quelli dei miei compagni, e per questo li ho tenuti per molto tempo nascosti. Il più antico che ricordi è senza dubbio all’origine della mia vocazione (psicoanalitica). Verso i tre anni, prima di dormire, immaginavo di spogliarmi della mia pelle, che arrotolavo su se stessa e deponevo sul comodino per la notte. Mi ripugnava che, durante tutta la giornata, questa pelle fosse stata toccata, strofinata, colpita, sporcata, lavata, graffiata, manipolata in modo brusco o inopportuno dalle diverse persone che si arrogavano il diritto di occuparsi del mio corpo, e che rivaleggiavano con doloroso zelo in questa pratica. Dovevo liberarmi della mia epidermide, per permettere al sonno di prendersi meglio cura di me. Quando mi sbarazzavo di questa specie di tuta, cancellavo ogni traccia di ammaccatura e cessavo di sentirmi malmenato. La mia carne si gonfiava senza incontrare resistenza, fluttuavo in uno spazio e in un tempo infiniti. Diventavo uno e tutto. La veglia si scioglieva in un sonno apparentemente delizioso. Un sogno veniva però a sciupare tutto. Un fantasma, invidioso del mio benessere, attraversava la porta chiusa a chiave della mia stanza e rubava la mia spoglia. Mi assaliva l’angoscia di esporre il mio corpo, ormai più che nudo. Agli occhi e alla mani altrui, un corpo privo di consistenza e di padronanza di movimento; passava un certo tempo prima che mi rendessi conto che era un sogno e ritrovassi, con calma, la pelle e il pensiero”.
L’immagine che ho utilizzato per questo post è tratta dalle opere di Louise Bourgeois citate in parecchie inquadrature nel film di Almodóvar.
Continua →
Mar 27, 2015 | Psicologia |
Autore: Sara Bini
vedi Blog dell’Autore
‘No time for karma – Non c’è più tempo per il karma’ (Paxton Robey)
Forse mai come oggi l’umanità è stata sottoposta a una serie così serrata di sconvolgimenti su tutti i fronti: climatici, politici, economici, sociali. Ciò sembra testimoniare l’affacciarsi di un deciso cambiamento di paradigma, una vera e propria rivoluzione percettiva e mentale.
Tale spinta impone all’uomo di rinnovarsi e di prendere velocemente una posizione: o il vecchio o il nuovo, o a favore della ben nota visione materialista/egoistica o a sostegno di valori comunitari come l’innocuità, la fratellanza, il servizio all’umanità. Anche chi non percepisce la portata ‘interiore-energetica’ di questa accelerazione sente comunque un vago senso di pressione che lo spinge a cercare di raggiungere i traguardi biologici/sociali con una certa impellenza.
Per chi invece è capace di percepire la rivoluzione di coscienza in atto – i nuovi Che Guevara dell’umanità – ‘non c’è tempo da perdere’ significa dirigersi verso l’essenza delle cose e non più verso l’apparenza. Comincia così un naturale processo di ‘scrematura’ rispetto a ciò che è divenuto futile, vecchio e ‘superato’ nelle nostre vite: relazioni sentimentali stagnanti o disfunzionali, lavori mortiferi, amicizie di comodo. Un nuovo modo di pensare e di essere si profila all’orizzonte.
Voglio l’amore? Piuttosto che razzolare sui siti d’incontri o messaggiare allo sfinimento ogni potenziale ‘preda’, m’impegno ad ‘essere amore’ e a ‘dare amore’ incondizionatamente. Comincio a notare -e quindi ringraziare- le mille forme in cui l’amore è già presente nella mia vita, non fosse altro il cibo che ogni giorno mi sostiene o la casa che mi protegge dal freddo. Non sarebbe nemmeno male ringraziare quegli amici comprensivi e fedeli che continuamente molliamo e dimentichiamo a ogni nuovo fidanzato/a.
Voglio un lavoro stabile? Inizio a lavorare su di me, unico lavoro che non soffre di precariato, per quanto ne so. E’ sempre disponibile, sempre presente, apre il cuore e la mente oltre alle porte di una serena abbondanza e fiducia nell’esistenza.
Voglio un figlio? Posso iniziare con l’amare anche i figli altrui o coloro che non hanno genitori. Posso cominciare a ‘curare’ e dare attenzione alla Vita , diventando così madre/padre dell’umanità.Posso anche dedicarmi alla creazione in altre forme: dal fare una torta che rallegra i palati allo scrivere una poesia che fa vibrare i cuori.
“Non c’è tempo da perdere” – e , appena mi rilasso portando attenzione, grazia e presenza in ogni istante della mia vita – mi accorgo che, in realtà, non c’è proprio ‘il tempo’.
Continua →
Mar 26, 2015 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Marzia Cikada
vedi Blog dell’Autore
It is not calamity.
The body is not a math test.
The body is not a wrong answer.
The body is not a failed class.
You are not failing.*
Sonya Renee
Ci sono cose facili e cose difficili. Verrebbe da pensare che le facili siano naturali, come un sorriso al mattino davanti alla colazione pronta, un “grazie” a chi si mostra gentile, vestirsi prima di andare al lavoro. Ma non è vero. Purtroppo. L’essere umano ha saputo trasformare la sua natura in qualcosa di difficile, spesso dolorosoe le abitudini facili sono quelle che spesso parlano la lingua della difesa, della paura, della disillusione. Quindi, la colazione pronta temiamo nasconda un peccato da farsi perdonare, “grazie” non viene detto quasi mai perchè quasi mai ci si trova ad avere a che fare con la gentilezza ( e se capita deve esserci un “motivo secondario”), vestirsi poi è per moltissimi, donne in maggior parte ma uomini, più di quanto si creda, una sfida perduta, un grido di dolore, una lacrima che si trattiene a fatica.
Cosa succede? Accade che il nostro corpo viene spesso guardato con vergogna, indossato come una ammissione di inutilità, non vestito ma ricoperto di vestiti. Perchè esiste una bellezza riconosciuta e troppo spesso il corpo è “troppo” magro, grasso, storto, robusto, piatto, tettone, piegato, ciccione, curvy. I canoni della bellezza che moltissime società presenti valutano come accettabili sono spesso in disaccordo con la bellezza di molte donne. I modelli estetici di riferimento cominciano con il gravare sulle bambine, pesano sulle adolescenti, feriscono molte donne. Seppure cambiano con il tempo, non cambia la violenza con cui si accaniscono spesso sulle più personalità più fragili, spesso diventando una vera e propria arma all’interno di molte relazioni di coppia.
Laddove si presenti la violenza psicologica, ancor più della fisica, non è inconsueto che il partner possa abusare della fragilità della donna giocando sul suo percepirsi “brutta” e per questo stesso, indegna di amore. La paura della solitudine, potrebbe allora diventare il motivo per cui molte donne restano con uomini violenti, perchè si ritiene, errando, che nessun altro potrebbe amarle, perchè quella che gli hanno insegnato essere“la loro bruttezza fisica” è solo una parte del loro poco valore e non gli resta altra possibilità al mondo che restare attaccate ad uomini aggressivi, nei modi, nelle parole, nell’incapacità di vedere i bisogni reali della donna. Ma chi ama, in una relazione, dovrebbe accompagnare l’altro a scoprire la propria forza e non a inventare o rinforzare la propria debolezza. Dovrebbe insegnare un nuovo sguardo che non tema l’immagine riflessa, anzi.
(altro…)
Continua →
Commenti recenti