Tra il dire e il fare c’è di mezzo… la “Call to Action”?

Autore: Giovanni Iacoviello

vedi Blog dell’Autore

 

“Se vuoi vedere, impara ad agire”

Heinz von Foerster

Spesso sappiamo che cosa servirebbe per migliorare le nostre relazioni o la nostra organizzazione aziendale, ma non lo mettiamo in pratica. Sappiamo che il rapporto col coniuge sarebbe migliore se fossimo più bravi ad ascoltare, ma come realizzarlo? A volte facciamo riunioni in azienda nelle quali sembrano fluire nuove idee e soluzioni ai problemi, ma a medio-lungo termine sembra che non sia stato fatto nulla. A volte facciamo riunioni di lavoro con colleghi di progetto, e ogni volta che ci vediamo dobbiamo riprendere in mano dei punti che sembravano essere stati decisi.

Il formatore americano Dale Carnegie indicava tra le cause dell’immobilità la vaghezza degli obiettivi. Suggeriva, infatti, che dopo un discorso appassionato ad un uditorio, questo potrebbe essere felice di fare quanto gli chiediamo. Ad esempio, potremmo averlo convinto ad aiutare i bambini di un orfanotrofio. Però il fatto di lasciare questa azione nel vago potrebbe far finire quella passione nel dimenticatoio. Così Carnegie suggeriva che la richiesta fosse breve e precisa, e di facile comprensione. Meglio quindi dire “aiutate i bambini dell’orfanotrofio impegnandovi oggi stesso ad accompagnarli nel week-end allo zoo”. Se la “chiamata all’azione” è precisa e chiara, la probabilità che l’azione venga compiuta è molto più alta.

La “call-to-action” è anche nota nel web design come un invito a compiere un’azione. Spesso l’ordine per un libro non è stato fatto da una persona motivata solo perché non c’era sul sito una call to action in forma di bottone da cliccare, per cui l’azione è caduta nel dimenticatoio.

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Medicina o Minaccia?

traduzione di Ileana Sestito

La ricerca deglipsicologi èin grado di informaresul crescentedibattito sullalegalizzazione della marijuana.

By Christopher Munsey

Per quanto gli sforzi per rendere la marijuana legale per uso medico stia guadagnando slancio, gli psicologi stanno studiando gli effetti della droga illecita più popolare della nazione –molti si stanno muovendo con cautela. Come i ricercatori, gli psicologi stanno esplorando i rischi della dipendenza, sviluppando interventi più efficaci per i consumatori di marijuana che vogliono smettere, studiando il ritiro e la valutazione dell’ uso medicinale della principale sostanza chimica attiva della marijuana, il delta-9-tetraidrocannabinolo (THC). Questa ricerca è più attuale che mai: 14 stati hanno già legalizzato la marijuana per scopi medici, con gli elettori di nove di quegli Stati che hanno approvato la marijuana medica attraverso lo scrutinio. Quest’ anno una dozzina di stati stanno prendendo in considerazione la legislazione per rendere la marijuana a disposizione per uso medico. In California, l’epicentro di quello che alcuni descrivono come la legalizzazione di fatto, gli elettori hanno deciso a novembre che l’uso ricreativo di marijuana doveva essere legalizzata, tassata e regolamentata. Nel frattempo, i sondaggi d’opinione continuano a mostrare la crescente accettazione della legalizzazione della marijuana per uso personale. Un sondaggio Gallup di ottobre ha rilevato che il 44 per cento degli adulti è a favore della legalizzazione della marijuana, un gruppo che è cresciuto tra l’1 e il 2 per cento ogni anno dal 2000. In sei Stati occidentali, la maggior parte degli intervistati del sondaggio era a favore della legalizzazione. Il supporto per uso medico della marijuana è ancora più forte: Secondo un sondaggio di gennaio della ABC News / Washington Post, l’81 per cento degli americani avrebbe permesso ai medici di prescrivere la marijuana per i loro pazienti, rispetto al 69 per cento del 1997. Ma come la nazione dibatte sulla legalizzazione, il pubblico deve sapere che circa il 10 per cento degli utenti va a sviluppare una dipendenza da marijuana, dice Barbara Mason, co-direttore del Centro di Pearson per alcolismo e ricerca sulle tossicodipendenze presso lo Scripps Research Institute di San Diego . “Il novanta per cento delle persone sarà in grado di farne uso in un modo non problematico in termini di dipendenza, ma il 10 per cento corre il rischio di sviluppare dipendenza, e per questo, trattamenti efficaci dovrebbero essere disponibili”, dice Mason, ricercatrice principale del National Institute on Drug Abuse-che ha finanziato lo studio degli effetti neurobiologici dell’ uso di marijuana. Un’analisi secondaria del 2005 del National Survey sul consumo di droga e la salute ha rilevato che tra le persone che avevano fatto uso di eroina nell’ultimo anno, nel 45,4 per cento sono stati riscontrati i criteri per la dipendenza. Tra coloro che avevano fumato sigarette nell’ultimo anno, il 35,3 per cento erano dipendenti dalla nicotina, e il 20,4 per cento dei consumatori di cocaina dell’ultimo anno erano dipendenti. Nell’analisi, compresa nel capitolo 22 di “Psichiatria terza edizione, Volume 1” (Wiley, 2008) è stato rilevato che il 9,7 per cento delle persone che hanno fatto uso di cannabis vanno incontro ai criteri per la dipendenza. Tra i consumatori di alcol dello scorso anno, nel 4,9 per cento sono stati riscontrati i criteri per la dipendenza. Mentre la percentuale di utenti americani che diventerebbero dipendenti da marijuana probabilmente non cambierebbe dopo la legalizzazione, in termini di numero assoluto, dice Margaret Haney, professoressa di neuroscienze e ricercatrice sulla marijuana della Columbia University. “Chiaramente, la disponibilità, aumenta la probabilità delle persone a provarla, e quindi si andrà a sviluppare un numero maggiore di problemi,” dice. Ma alcuni ricercatori sulla dipendenza, tra cui il noto ricercatore G. Alan Marlatt, non sono turbati dalla tendenza alla legalizzazione. A suo avviso, molti consumatori di marijuana vogliono smettere o per lo meno ridurre l’uso per paura di ripercussioni penali. “Se invece viene depenalizzato … ciò porterà più persone a cercare aiuto”, dice Marlatt, che dirige l’Università di Addictive Behaviors Research Center di Washington. Come la società si muove verso una maggiore accettazione della marijuana, gli psicologi dovrebbero assicurarsi che i risultati della loro ricerca siano disponibili per le persone che stanno pensando di farne uso, in particolare adolescenti e giovani adulti, dice Mason. Hanno anche bisogno di sviluppare interventi più efficaci per gli utenti dipendenti che vogliono smettere. “Quando un individuo decide di voler smettere, voglio incontrarlo avendo la migliore strategia possibile,” dice.

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Orientamento Sessuale: 10 “scoperte” che annientano i preconcetti.

Autore: Brunella Gasperini

dal Sito Web de “La Repubblica”

 

Si nasce o si diventa etero, omo o bisessuali? L’orientamento sessuale non è una condizione immutabile com dimostrano le ricerche compiute in questi anni. Ecco 10 punti fermi per capirle meglio. E cancellare tante idee sbagliate

Si nasce, si diventa o si sceglie di essere etero, omo o bisessuali? La maggior parte degli studiosi ha più volte messo in evidenza la molteplicità degli aspetti che concorrono, fin dalla nascita, nel determinare il sesso dal quale siamo attratti. E forse rimane sempre qualcosa di inspiegabile e di misterioso riguardo la direzione del nostro desiderio, delle nostre fantasie, della nostra sessualità. L’orientamento sessuale deriva infatti da una delicata combinazione di fattori genetici e ambientali. Ed è ben più complesso, variabile e “colorato” di quanto si pensi.
Era il 1948 quando il biologo sessuologo Alfred Kinsey, sulla base dei risultati di una vasta inchiesta statistica sul comportamento sessuale della popolazione statunitense, dichiarò che l’orientamento sessuale non è una condizione immutabile, piuttosto una collocazione spesso dinamica, lungo un continuum di possibilità. Successive ricerche hanno poi permesso di approfondire questi aspetti e di mettere in luce una fluidità ancora più ampia. Vediamo alcuni risultati interessanti.

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Film Malefica: Viaggio nell’Integrità dell’Essere Umano

Autore: Dott.ssa Sara De Maria

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Il Film “Malefica” della Disney offre una nuova prospettiva alla fiaba della bella addormentata nel bosco.

Capita di rado di vedere i retroscena che ci permettono di comprendere le origini della malvagità di alcuni affascinanti “cattivi”, un altro caso lo troviamo nella saga di Guerre Stellari quando Anakin Skywalker diventa Darth Fener.

Trama (se conosci la trama del film puoi leggere sotto): Malefica, una giovane fata alata, vive nella Brughiera in armonia e nel rispetto di tutti gli esseri viventi che la circondano. In quelle terre tutti diffidano degli esseri umani per la loro bramosia di potere e l’uso smodato della violenza.

Presto Malefica conosce un giovane umano, Stefano, orfano come lei. Lui la va trovare tutti i giorni e all’età di sedici anni si scambiano un bacio di amore eterno.

Passano gli anni e  Stefano si prodiga per acquistare luce agli occhi del re, riducendo sempre di più l’interesse verso Malefica che lo attende, innamorata.
Un giorno il re, seguito dal suo esercito, invade la Brughiera senza rispettare le creature del regno, così Malefica aiutata dagli esseri dei vari regni di natura della sua terra, affronta la battaglia. L’esercito superstite batte in ritirata non prima di raccogliere il re morente sul campo.

Il re, nel letto di morte, lascia le sue ultime volontà. Chi porterà prova dell’uccisione di Malefica avrà il regno e la figlia. 

Stefano torna nella Brughiera, Malefica lo raggiunge e in poco tempo la loro unione torna a come prima di essersi lasciati. Stefano le offre da bere, Malefica cade in un sonno profondo del quale Stefano approfitta per amputarle le ali e portarle al re in cambio del regno e della figlia.

Il dramma, la disperazione per la perdita della parte di sé che le permetteva di volare la trasforma in un essere accecato dalla rabbia e assetato di vendetta. La brughiera, da luogo lussureggiante e vitale diventa una foresta oscura i cui abitanti vivono nel terrore e nella sudditanza di Malefica.

Il giorno del battesimo di Aurora, Malefica scaglia un maleficio sulla figlia del re, dal quale potrà uscire solo se riceverà un bacio di vero amore.

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Abuso emozionale e l’ “Effetto Harry Potter” sui bambini.

Abuso emozionale e l’ “Effetto Harry Potter” sui bambini.

Autore: Dott.ssa Marzia Cikada

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“Questa cicatrice se la terrà per sempre”
“E lei non può farci niente Silente?”
“Anche se potessi non lo farei. Le cicatrici possono tornare utili.”
J.K. Rowling “Harry Potter e la pietra filosofale”

Il mondo degli adulti non sempre è capace di proteggere i suoi bambini, non bastano convenzioni, codici e leggi per evitare che si continui a ferire, mortificare e abusare dei bambini. Seppure, già nel 1948, la  Dichiarazione Universale dei Diritti Umani definiva (art. 25) che l’infanzia ha“diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.” questo non si tramuta sempre in realtà. L’abuso è ancora un problema molto forte, con numeri e volti coinvolti numerosi. Ma oltre l’abuso prettamente fisico osessuale, esiste un abuso più sottile e delicato di cui non si parla spesso come si dovrebbe ma causa ferite e difficoltà altrettanto devastanti. Si tratta dell’abuso emozionale,  un modo sottile di far male, che mostra sui bambini effetti dolorosi e persistenti se non si interviene.

L’abuso emozionale si manifesta con parole che degradano, con affermazioni che ledono i sentimenti del minore che, in assenza di sostegno, farà proprio quanto viene detto. Chi maltratta in questo caso, è un sapiente utilizzatore di parole crudeli che mirano a far sentire l’altro poca cosa, niente, sbagliato in quello che fa, denigrato in ogni mossa. La vittima di abuso emotivo si sente presto negata la sua stessa essenza di persona, i suoi sentimenti sono sbagliati, non si può fidare di niente, ogni suo passo viene denigrato, ridicolizzato, annullato. Il giudizioe la critica sono il pane quotidiano di questo comportamento. I bambini cominciano a provare vergogna per tutto, non si sentono presto forti abbastanza per opporsi specie perchè molto spesso sono i familiari a trattare il piccolo con scarsa attenzione, minando la sua autostima e facendo crescere un senso perpetuo di colpa e fragilità.

L’abuso si manifesta non solo con l’insulto e le umiliazione ma anche attraverso l’ignorare i bisogni del bambino, il rifiutarlo, la mancanza di una relazione gratificante ed empatica con le emozioni del bambino, mancando in toto l’attaccamento al piccolo, trascurando i suoi più semplici bisogni ( fame, sete, sonno). I bambini abusati in questo caso vengono isolati dal mondo, spesso tenuti da parte, nascosti, tenuti buoni con minacce e punizioni, anche molto severe. In breve il suo essere è oppresso e compromessa la sua capacità di esprimersi naturalmente, spesso portandolo a manifestare anche comportamenti distruttivi che lo allontanano dagli altri. Sono bambini “mai bravi abbastanza” (1999, J.A. Monteleone “Gli indicatori dell’abuso infantile. Gli effetti devastanti della violenza fisica e psicologica”)

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