Autore: Giovanni Iacoviello

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“Se vuoi vedere, impara ad agire”

Heinz von Foerster

Spesso sappiamo che cosa servirebbe per migliorare le nostre relazioni o la nostra organizzazione aziendale, ma non lo mettiamo in pratica. Sappiamo che il rapporto col coniuge sarebbe migliore se fossimo più bravi ad ascoltare, ma come realizzarlo? A volte facciamo riunioni in azienda nelle quali sembrano fluire nuove idee e soluzioni ai problemi, ma a medio-lungo termine sembra che non sia stato fatto nulla. A volte facciamo riunioni di lavoro con colleghi di progetto, e ogni volta che ci vediamo dobbiamo riprendere in mano dei punti che sembravano essere stati decisi.

Il formatore americano Dale Carnegie indicava tra le cause dell’immobilità la vaghezza degli obiettivi. Suggeriva, infatti, che dopo un discorso appassionato ad un uditorio, questo potrebbe essere felice di fare quanto gli chiediamo. Ad esempio, potremmo averlo convinto ad aiutare i bambini di un orfanotrofio. Però il fatto di lasciare questa azione nel vago potrebbe far finire quella passione nel dimenticatoio. Così Carnegie suggeriva che la richiesta fosse breve e precisa, e di facile comprensione. Meglio quindi dire “aiutate i bambini dell’orfanotrofio impegnandovi oggi stesso ad accompagnarli nel week-end allo zoo”. Se la “chiamata all’azione” è precisa e chiara, la probabilità che l’azione venga compiuta è molto più alta.

La “call-to-action” è anche nota nel web design come un invito a compiere un’azione. Spesso l’ordine per un libro non è stato fatto da una persona motivata solo perché non c’era sul sito una call to action in forma di bottone da cliccare, per cui l’azione è caduta nel dimenticatoio.

Di diverso tipo è invece la mancanza di aderenza a certe “etiche” comportamentali aziendali. Ne parla l’ingegnere gestionale Robert I. Sutton come del knowing-doing gap, dove nonostante le belle parole e i bei valori sanciti, c’è un salto tra quello che si dice e quello che si fa. Si dice infatti che il management di alcune aziende faccia scrivere a caratteri cubitali un’azione auspicata, come ad esempio “non bisogna mai gridare davanti ad un cliente”, mentre lo stesso ideatore della frasetta è il primo che è stato visto sbraitare con un cliente. In questo caso cosa manca? Si crea un piano di azione per altri, ma non per sé, e si perde di vista la tendenza all’apprendimento imitativo (studiato dallo psicologo Albert Bandura e chiamato apprendimento vicario). Si ottiene più probabilmente un’azione da parte dei dipendenti per imitazione del nostro buon esempio piuttosto che dando un ordine specifico a parole che è in contrasto con la potenza dell’apprendimento imitativo stimolato dal nostro cattivo comportamento.

A volte l’inazione è provocata da altre dinamiche sociali. Robert Cialdini ha parlato del fenomeno dell’ignoranza collettiva, citando il caso drammatico di una donna assassinata in un quartiere di New York con numerose coltellate davanti a decine di persone che non hanno mosso un dito per intervenire o chiamare la polizia. Gli psicologi Darley e Latanè spiegarono che non era intervenuto nessuno non nonostante tante persone, ma proprio per quello. Con degli esperimenti in cui si inscenavano falsi malori, dimostrarono che un finto attacco epilettico riceveva soccorso molto spesso quando c’era una sola persona, mentre in presenza di molte persone si riduceva drasticamente la percentuale, per il fatto che la gente aveva deciso che, dato che con tutti i presenti nessuno aveva fatto niente, voleva dire che tutto era a posto. Quando subì un incidente, infatti, Cialdini scoprì quanto fosse utile, proprio perché erano accorse tante persone e nessuno faceva niente, indicare una persona precisa e chiedere di chiamare l’ambulanza, indicarne un’altra e chiedere di controllare all’interno della lamiera di un’auto accartocciata, etc.

Come ci aiutano questi esempi per l’immobilità in un reparto o dopo una riunione? E’ cruciale definire e indicare (a volte proprio col dito!) chi deve fare che cosa, con precisi piani d’azione.

Quando vogliamo migliorare qualche aspetto di noi, l’unica chance è darci un obiettivo (come una call-to-action autodiretta). Meglio se lo mettiamo per iscritto, lo definiamo chiaramente e in termini positivi (è deleterio definire ciò che non vogliamo, bisogna definire ciò che desideriamo ottenere) gli diamo una scadenza, verifichiamo in vari momenti a che punto siamo e cosa fare per aggiustare il tiro, etc. L’essenziale è davanti agli occhi, scriveva Antoine de Saint-Exupery. Quasi come davanti agli occhi è l’evidenza che per noi e altri la cura all’immobilismo è la chiara definizione di un piano di azione, sollecito, ufficiale, con scadenza, monitoraggio, piano di aggiustamento.