Autore: Claudia Nissi

articolo dal giornale Psiko-Pratica

 

Gran parte dei protagonisti – loro malgrado – di stragi potrebbero mostrare, dopo aver vissuto questi episodi, i segni di un Disturbo Post Traumatico da Stress (PTSD).Nel DSM-IV il primo criterio (A) per la diagnosi è relativo alle caratteristiche che deve presentare l’evento, mentre i successivi criteri (B, C, D) si riferiscono alle conseguenze che l’evento vissuto potrebbe comportare per il soggetto e come il soggetto rivive il trauma.

    I criteri del Disturbo Post Traumatico da Stress, sono i seguenti:

  1. La persona è stata esposta a un evento traumatico nel quale erano presenti entrambe le caratteristiche seguenti:
  2. La persona ha vissuto, ha assistito o si è confrontata con un evento o con eventi che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri.
  3. La risposta della persona comprendeva paura intensa, sentimenti di impotenza o di orrore.
    Nota: nei bambini questo può essere espresso con comportamento disorganizzato o agitato.
  4. L’evento traumatico viene rivissuto persistentemente in uno (o più) dei seguenti modi:
  5. Ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento, che comprendono immagini, pensieri o percezioni.
    Nota: nei bambini piccoli si possono manifestare giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma.
  6. Sogni spiacevoli ricorrenti dell’evento.
    Nota: nei bambini possono essere presenti sogni spaventosi senza contenuto riconoscibile.
  7. Agire o sentire come se l’evento traumatico si stesse ripresentando, ciò include sensazioni di: rivivere l’esperienza, illusioni, allucinazioni ed episodi dissociativi di flashback, compresi quelli che si manifestano al risveglio o in stato di intossicazione.
    Nota: nei bambini piccoli possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma.
  8. Disagio psicologico intenso all’esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  9. Reattività fisiologica o esposizione a fattori scatenanti interni o esterni che simbolizzano o assomigliano a qualche aspetto dell’evento traumatico.
  10. Evitamento persistente degli stimoli associati con il trauma e attenuazione della reattività generale (non presenti prima del trauma), come indicato da tre (o più) dei seguenti elementi:
  11. Sforzi per evitare pensieri, sensazioni o conversazioni associate con il trauma.
  12. Sforzi per evitare attività, luoghi o persone che evocano ricordi del trauma.
  13. Incapacità di ricordare qualche aspetto importante del trauma.
  14. Riduzione marcata dell’interesse o della partecipazione ad attività significative.
  15. Sentimenti di distacco o di estraneità verso gli altri.
  16. Affettività ridotta (per esempio incapacità di provare sentimenti di amore).
  17. Sentimenti di diminuzione delle prospettive future (per es. aspettarsi di non poter avere una carriera, un matrimonio o dei figli, o una normale durata della vita).

 

  1. Sintomi persistenti di aumentato arousal (non presenti prima del trauma), come indicato da almeno due dei seguenti elementi:
  2. Difficoltà ad addormentarsi o a mantenere il sonno.
  3. Irritabilità o scoppi di collera.
  4. Difficoltà a concentrarsi.
  5. Ipervigilanza.
  6. Esagerate risposte di allarme.
  7. La durata del disturbo (sintomi ai Criteri B, C e D) è superiore a 1 mese.
  8. Il disturbo causa un disagio clinicamente significativo o menomazione nel funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
    Deve essere specificato se il disturbo si presenta:
  9. Acuto: se la durata dei sintomi è inferiore a 3 mesi.
  10. Cronico: se la durata dei sintomi è di tre mesi o più.
  11. Ad esordio ritardato: se l’esordio dei sintomi avviene almeno sei mesi dopo l’evento stressante.Purtroppo per i soggetti protagonisti dei casi citati non sono rintracciabili molti dati sulle conseguenze emotive e comportamentali rispetto alla tragedia che li ha coinvolti, quindi non si può sapere come stiano a livello psicologico e se abbiano sviluppato – come conseguenza al trauma vissuto – un Disturbo Post Traumatico da Stress.Tuttavia alcune manifestazioni, come i continui risvegli, gli incubi, l’iper-attivazione a determinati stimoli, l’agire come se la situazione si stesse ripresentando, la ripetizione nel gioco – caratteristiche presentate dalle piccole vittime dei casi sopra illustrati – sono aspetti che richiamano i sintomi descritti nel DSM-IV.Il DSM-IV specifica delle caratteristiche proprie delle reazioni del bambino differentirispetto a quelle dell’adulto: i sentimenti di paura intensa e orrore possono esprimersi nei bambini con un comportamento disorganizzato o agitato.Il bambino può manifestare il ripresentarsi di ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi con giochi ripetitivi in cui vengono espressi temi o aspetti riguardanti il trauma. Infine, a differenza dell’adulto, nel bambino i sogni possono essere spaventosi senza un contenuto riconoscibile e possono manifestarsi rappresentazioni ripetitive specifiche del trauma.
  12. Il trauma, tracce neurologiche

A livello neurologico i ricordi dell’evento traumatico si imprimono nell’amigdala che, operando in maniera iperattivante, riporta frequentemente questi ricordi alla memoria.Un individuo che si sente impotente davanti a un evento incontrollabile, in quanto non può fare niente per salvarsi, ha alte probabilità di manifestare successivamente un Disturbo Post Traumatico da Stress.I principali sintomi del PTSD si possono spiegare considerando le alterazioni che hanno luogo nei circuiti del sistema limbico, concentrati in maniera particolare nell’amigdala.Il sistema limbico è una porzione del Sistema Nervoso Centrale, che interviene nell’elaborazione di tutto l’insieme dei comportamenti correlati con la sopravvivenza della specie, elabora le emozioni e le manifestazioni vegetative ed è coinvolto nei processi di memorizzazione.Il sistema limbico è composto da una serie di strutture cerebrali che includonol’ippocampo, l’amigdala, i nuclei talamici anteriori e la corteccia limbica.Tali strutture supportano svariate funzioni psichiche come emotività, comportamento, memoria a lungo termine e olfatto. Il termine limbico viene dal latino “limbus”, solitamente tradotto con la parola “fascia”.In presenza di un Disturbo Post Traumatico da Stress, si possono notare
tre principali alterazioni.

  1. Alcune alterazioni hanno luogo nel locus ceruleus, una struttura che regola la secrezione cerebrale delle catecolamine, in particolare dell’adrenalina e della noradrenalina, due neurotrasmettitori che mobilitano l’organismo e lo preparano all’emergenza. Di fronte a un trauma, il sistema libico secerne una dose maggiore diadrenalina e noradrenalina in risposta a situazioni che non sono in realtà pericolose per l’individuo, ma riattivano il trauma originale.
    Il locus ceruleus e l’amigdala sono in stretto collegamento tra loro e con le altre strutture del sistema libico, l’ippocampo e l’ipotalamo. I circuiti catecolaminergici si estendono alla corteccia cerebrale. Sembrerebbe che alla base dei principali sintomi del soggetto con PTSD (ansia, ipervigilanza, iperattivazione, inclinazione all’emotività e al turbamento, prontezza alla fuga o alla difesa…) ci sia un’alterazione significativa di queste circuiti addetti alla produzione di adrenalina e noradrenalina.
  2. A un secondo livello si ha una modificazione nel circuito che collega il sistema libico alla ghiandola pituitaria, una struttura che regola la liberazione della corticotropina(Crf), principale ormone dello stress, secreto dall’organismo per innescare il comportamento di combattimento o fuga.
    A testimonianza di questo, come riportato nel testo di Goleman, i bambini della Cleveland Elementary school erano presi dal panico ogni volta che udivano il suono di una sirena dell’autoambulanza. Questo significa che di fronte a uno stimolo in grado di ricordare e riattivare il trauma, l’organismo entra in allarme e mette in atto una serie di comportamenti che operano in automatico, al di fuori della potenzialità di controllo.
    Vengono messi in atto con maggiore frequenza i comportamenti di fuga, ansia o panico, di fronte a stimoli “riattivanti”– come ad esempio il suono di un’ambulanza – che precedentemente al trauma erano stimoli neutri.
    Questa reattività eccessiva può essere spiegata a livello biologico con una secrezione maggiore di Crf, nell’amigdala, nell’ippocampo e nel lucus ceruleus, che porta l’organismo a uno stato di allerta.
  3. Una terza serie di alterazioni avviene a livello del sistema degli oppiacei, circuito neuronale che opera con l’amigdala e la corteccia celebrale; tale alterazione spiega i sintomi negativi come mancanza di piacere, torpore, insensibilità e appiattimento emotivo.
    Il sistema degli oppiacei è una struttura che secerne endorfine per attutire il dolore.
    A causa dell’iperattivazione di questo sistema, l’individuo ha una maggiore tolleranza al dolore e un torpore che si manifesta anche nell’appiattimento dell’emotività.

    Psicoterapia e interventi di sostegno

Judith Lewis Herman, Psichiatra e insegnante presso l’Università di Harvard, propone unpercorso di elaborazione del trauma, che risente della sua formazione psichiatrica, neurologica e dei suoi studi sui minori vittime di incesto.Tale percorso si suddivide in tre fasi:

  1. La conquista di un senso di sicurezza è necessaria per riapprendere reazioni più funzionali e permettere al soggetto di ritornare alla vita di tutti i giorni.
    Dopo il trauma infatti il senso di sicurezza del soggetto può essere stato compromesso dall’evento subito. In questa fase il soggetto deve accettare l’idea che i sintomi da lui vissuti, come conseguenza di un evento traumatico, sono del tutto normali.
    Alcuni Psichiatri consigliano l’utilizzo di farmaci o l’apprendimento di tecniche di rilassamento, come il training autogeno, per favorire il rilassamento psicofisico.
  2. Il terapeuta deve aiutare il paziente a raccontare la sua storia, a ricordare i dettagli del trauma e il dolore che esso ha comportato. Questo racconto, se pur doloroso, viene fatto in un contesto sicuro, alla presenza del terapeuta.
    Il racconto dell’episodio permette di riportare i ricordi sotto il controllo della corteccia, dove le reazioni che essi scatenano possono essere gestite più facilmente.
    A livello biologico il soggetto deve inibire la risposta dell’amigdala che, attivata da stimoli connessi al trauma, mette in allarme l’individuo come in presenza di una minaccia imminente. Per raggiungere questo obiettivo è importante per il soggetto riuscire a parlare del proprio dolore e dei sentimenti che hanno caratterizzato quel momento e comprendere che l’evento appartiene al passato e lo stato d’allarme è cessato.
  3. Il ripristino di una vita normale è l’ultima fase dell’elaborazione del trauma.
    Il soggetto riesce a ridurre i sintomi fisiologici a livello accettabile e a sopportare i sentimenti legati al ricordo dell’evento, anche mettendoli da parte in alcuni momenti, in maniera volontaria.

Alla base di questo processo terapeutico c’è una logica biologica.
La terapia si modella sulle reazioni attraverso le quali il soggetto riesce nuovamente a controllare la risposta istintiva a certi stimoli, che attivano reazioni come se la persona fosse in presenza di un’emergenza imminente.L’intervento proposto da questa autrice – come gran parte degli interventi psicoterapeutici utilizzati in caso di trauma – ha in questi casi la funzione di aiutare l’individuo a gestire le reazioni cariche di valenza emotiva.Per aiutare il paziente in questa fase delicata, il soggetto deve  essere invitato a raccontare l’evento all’interno di un contesto protetto, come quello del setting della terapia. Il racconto permette al soggetto di riappropriarsi della sua storia.Si può ipotizzare che il sistema limbico reagisca in termini di iperattivazione di fronte alle situazioni di allarme, ma la corteccia prefrontale e le zone a essa collegate hannoappreso una risposta nuova, più sana e funzionale, in virtù del fatto che il racconto dell’evento ha permesso di scaricare parte dell’emotività connessa al trauma.L’accettazione del trauma e la consapevolezza della passata minaccia possono aiutare il paziente a controllare le proprie risposte emotive. Il paziente infatti attraverso il racconto, e l’elaborazione emotiva “guidata” dal terapeuta, può riapprendere come gestire le risposte di iperattivazione, mettendo in atto modalità comportamentali più funzionali.Il terapeuta deve ovviamente considerare i tempi del paziente; inizialmente infatti il percorso terapeutico prevede l’apprendimento di tecniche di rilassamento, come ad esempio il training autogeno o l’uso di farmaci. Successivamente, solo quando il paziente si sentirà pronto, si passerà al secondo livello della terapia ossia al racconto dell’evento, che è il cuore del processo di elaborazione del trauma.Si deve partire dal presupposto che il soggetto ha vissuto una sorta di lutto, in quantoqualcuno gli ha rubato una parte della sua storia. Il soggetto ha vissuto, anzi ha subito l’evento traumatico, ed è rimasto spettatore impotente di fronte all’evento, come si è impotenti di fronte alla morte.Il processo di elaborazione del lutto è un percorso lento, che passa attraverso la possibilità di poter piangere la perdita della persona cara, o la perdita di parti di sé, e poterne parlare; il tempo aiuta ad abituarsi al vuoto.Anche l’evento traumatico crea un vuoto nella vita del soggetto, un vuoto in quanto il soggetto è stato spettatore/protagonista – in ogni caso suo malgrado vittima – impotente di una parte della sua vita.Pensiamo a quanto può essere duro e lento il processo di accettazione dell’evento dalla prospettiva del bambino che, come abbiamo visto, si sente in colpa e punito da“l’uomo nero”, che non è solo un personaggio cattivo delle fiabe.Nei casi di bambini che hanno vissuto un trauma, il racconto dell’evento non è sempre possibile soprattutto quando i bambini sono molto piccoli. Per questo il racconto può avvenire attraverso modalità più idonee all’età, come il gioco e il disegno.La ritualizzazione del trauma nel gioco sembra una modalità efficace per superare gli effetti negativi del trauma subito. Il gioco infatti diventa uno strumento fondamentale nella terapia con il bambino. Può essere utile l’uso di pupazzi o burattini, con cui il bambino può raccontare nuovamente la sua storia.Il bambino è portato a ripetere la scena infinite volte attraverso un rituale monotono.
Quando alla “tragedia” i bambini riescono a dare un finale diverso e positivo, nel tempo è possibile che possano ricordare l’episodio associandolo a risposte non traumatizzanti.Un altro strumento utile nel lavoro con i bambini può essere il disegno, in quanto nel disegno il bambino ha maggiore possibilità di esprimere il proprio stato emotivo, anche attraverso l’uso di colori diversi.Il disegno, la pittura o qualsiasi modalità di espressione del Sé potrebbero facilitare il riappropriarsi della propria storia e di quella parte di vita violata.Il disegno può essere infatti una valida alternativa alle parole e permette comunque una rielaborazione della storia e un’espressione dei propri sentimenti di paura, ansia e abbandono.Il gioco e il disegno possono essere un ottimo strumento terapeutico nell’intervento con il bambino, che ha subito un trauma.

Conclusioni

Attraverso il racconto di fatti realmente accaduti, ho cercato di mettere in risalto le caratteristiche specifiche dell’evento traumatico, secondo i criteri del DSM-IV.Tutti gli eventi riportati hanno «implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia all’integrità fisica propria o di altri» .La percentuale di bambini che sviluppano il Disturbo Post Traumatico da Stress rappresenta il 25/30% del totale dei bambini coinvolti nello stesso evento.Questo è in linea con l’evidenza scientifica che l’esperienza di un evento traumatico ènecessaria, ma non sufficiente, per l’esordio di un disturbo Post Traumatico da stress.L’esperienza traumatica può agire tuttavia come “fattore aspecifico” a partire dal quale possono avere origine conseguenze psicopatologiche di diversa gravità.Tra queste conseguenze, il bambino può manifestare i sintomi tipici di un Disturbo Post-Traumatico da Stress.La reazione di un bambino a un evento traumatico e il tempo di recupero possono dipendere da diversi fattori:

  • tempo e livello di esposizione all’evento;
  • fattori di rischio preesistenti (caratteristiche personali, familiari e psicologiche);
  • condizioni successive all’evento traumatico (supporto sociale, intervento di sostegno o terapia);
  • capacità del bambino di far fronte allo stress.

Le reazioni dei bambini a eventi stressanti possono essere tutt’altro che transitorie e possono persistere nonostante il funzionamento sociale risulti nella norma.L’intento dello scritto infatti è quello di soffermarsi nello specifico sui sentimenti prevalenti del bambino al momento del trauma, e sulle differenze di comportamento e di reazione all’evento rispetto all’adulto.Per aiutare a comprendere lo stato emotivo del bambino, ho voluto utilizzare le parole della canzone di Ligabue, che è riuscito a dare voce alla paura intensa, ai sentimenti di impotenza o di orrore, e ad esemplificare il “comportamento disorganizzato o agitato” tipico del bambino di fronte al trauma.Il vissuto di orrore, disperazione, colpa, abbandono, speranza, paura e solitudine provato dal bambino, grazie alle parole e alla musica di Ligabue, ci arrivano con maggiore intensità; si riesce a percepire quell’enorme senso di sconforto e vuoto, in cui anche l’adulto è impotente nella possibilità di fronteggiare o difendere il minore dall’aggressore.Oltre alla fragilità, il bambino si sente solo e abbandonato all’interno di un luogo che considerava sicuro e si sente indifeso, vista l’impossibilità dell’adulto (ad esempio della maestra o della mamma) di aiutarlo.Nel DSM-IV la diagnosi del Disturbo Post Traumatico da Stress, non viene cucitaaddosso alle caratteristiche del minore in crescita, a cui si fa solo riferimento nelle note; piuttosto la diagnosi è fatta a misura dell’adulto e viene adattata al bambino.In realtà, mentre l’adulto riesce a spiegare il trauma e in parte a ricondurlo a circostanze esterne, il bambino può incolparsi di quanto sta avvenendo o, pur non consapevole della gravità della situazione, può restare traumatizzato dalla paura che legge negli occhi dell’adulto di riferimento o dei compagni.Per ogni evento raccontato ho cercato di fornire alcune informazioni rispetto agli studi fatti successivamente e sui comportamenti dei bambini dopo aver vissuto un trauma.Tra i diversi episodi ho scelto di raccontare anche l’attentato avvenuto sull’isola di Utoya, vissuto da giovani adulti e adolescenti, in quanto volevo mettere in risalto la differente reazione di questi ragazzi rispetto a quella dei bambini; nelle testimonianze dei superstiti di questa tragedia si parla di perdono, oltre che di ritorno sull’isola per associare a quel posto un nuovo stato d’animo che non sia di terrore, ma di speranza.Ovviamente il processo di elaborazione dell’evento può avvenire a questo livello di “consapevolezza” con maggiore facilità nell’adulto, grazie alle sue differenti capacità cognitive, mentre deve essere favorito nel bambino da un contesto terapeutico facilitante.La possibilità di rivivere l’evento, dandogli un nuovo finale, permette al bambino di scrivere una nuova storia di quanto subito e darsi conforto e speranza.L’immagine del trauma e delle emozioni provate in quel momento possono segnare profondamente il bambino nelle sua crescita evolutiva. Per questo è fondamentale l’intervento tempestivo di uno Psicologo che permetta alla piccola vittima di esprimere come può quei sentimenti repressi in un contesto reso sicuro dalla presenza di un adulto, un Professionista, in grado di contenere l’emotività del bambino.