Autore: Dott.ssa Alessia Ghisi Migliari

Fonte: http://www.psicologionline.net/articoli-psicologia/articoli-psicologia-dintorni/496-rivolgersi-allo-psicologo

 

“Cosa penseranno gli altri?”, e gli altri – si sa – sono una categoria vasta, che comprende cari e amati, ma anche conoscenti e vicini di casa.
E ancora: “Se si saprà, crederanno che sono matto”.
È noto a tutti: rivolgersi a uno psicologo crea imbarazzo, è destabilizzante per molti, porta a interrogarsi su quelle che una volta erano certezze circa la propria persona, certezze che ora paiono vacillare.
Se difficilmente si hanno remore a spiegare che ci si deve recare dal medico, diverso è quando si tratta dello “strizzacervelli”.

Capita talvolta, nel nostro lavoro, di sentirsi chiedere se lo studio sia in una zona tranquilla e “appartata”, che si scorga nel paziente il dubbio di poter incontrare, in sala d’aspetto, chi si conosce.
È umano e comprensibile, questo tipo di atteggiamento, ma un poco spiace.
E mi permetto qualche osservazione.

Questi timori riflettono ancora oggi un pregiudizio antico, che più o meno fa così: “Se chi mi circonda sa che mi rivolgo a uno specialista di quel tipo crederà che sto proprio male, magari inizierà a supporre che io non sia affidabile e capace. Come si fa a dar credito a uno che non riesce neanche a risolvere le proprie paure? Sono proprio debole, di questo si convinceranno. E hanno ragione: c’è gente che affronta brillantemente prove immense e io annaspo nei miei giorni. Che delusione, sarei! Poi magari iniziano a evitarmi, immaginandosi che chissà che personaggio instabile io sia. No, non lo devono scoprire. Sarebbe proprio meglio non andarci”.

Magari ho utilizzato un tono un poco drammatizzato, ma ipotizzo che il nocciolo della questione sia questo e, in verità, che al di sotto di queste critiche ci sia non solo lo spauracchio del giudizio altrui, ma anche il proprio pre-giudizio, severo spesso più di quello di chi ci è vicino.

Il disagio mentale è un’esperienza che a diversi livelli e con varia intensità si sperimenta lungo l’esistenza. Delle volte non è per forza un quadro clinico grave. Può essere la stessa fatica di sopravvivere al caos del quotidiano, allo stress, ai doveri.

È inevitabile, talvolta, “stare male dentro”.

Non sempre siamo necessari noi, il nostro intervento – per fortuna.
Ma in quei casi in cui lo è, fa riflettere che dei pre-giudizi e degli atteggiamenti così ostici verso se stessi possano cancellare l’opportunità di intraprendere un viaggio terapeutico.

Avere delle fragilità non è reato o vergogna, ma il segno della nostra umanità, delicata sì, ma prode nel suo tentare di rialzarsi. Il tentennamento, la stanchezza, la sofferenza non ci trasformano in persone meno valide, capaci, competenti – anzi.
L’iter per trovare uno spiraglio ci rende sovente più consci e attenti.

La sofferenza psichica non ha meno dignità del dolore fisico, e c’è, inutile negarla o farne una mera astrazione.
“Posso stare male e non ho da svilirmi per questo. Il mio malessere merita considerazione e cura”.
Un atteggiamento gentile verso se stessi può essere un prezioso primo passo.
Certo, non possiamo pretendere di modificare la forma mentis di tutti – ci sarà sempre chi ha questi preconcetti circa il paziente dello psicologo.

Ma si può lavorare su di sé per non avere un giudizio così crudo verso la propria persona – questo è in nostro potere.
Non ha senso accanirsi su altrui punti di vista granitici, ma conta concentrarsi sul proprio vissuto, su di noi.
Non sempre c’è da varcare la soglia dello psicologo, abbiamo detto – ci mancherebbe, sarebbe un mondo ben contorto.
Ma quando può servire è utile socchiudere quella porta, avere il coraggio di lasciarsi alle spalle sussurri e ombre, e andare incontro a un processo di accudimento di noi stessi.

È un dovere – è un diritto.
Oltre questo terreno impervio potremmo scoprire che ci attende un essere umano placato e luminoso.