Autore: Dott.ssa Maria Frandina

 

Il viaggio non soltanto allarga la mente: le dà forma. Bruce Chatwin, Anatomia dell’irrequietezza, 1997

A chi mi domanda ragione dei miei viaggi, solitamente rispondo che so bene quel che fuggo, ma non quello che cerco. Michel de Montaigne, Saggi, 1580/95

 

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi. Marcel Proust, Alla ricerca del tempo perduto, 1913/27

 

L’atto del viaggiare è da sempre stato legato allo scoprire: nuove terre, antichi tesori, popoli sconosciuti, modi diversi di esprimersi, mangiare, abbigliarsi, affrontare la vita, la morte. L’uomo ha sempre sentito  il bisogno, irrefrenabile, di partire? Che cosa li spinge ad abbandonare le abitudini e le sicurezze della propria casa, per andare alla scoperta del mondo? “I cieli girano attorno di continuo, il sole sorge e tramonta, stelle e pianeti mantengono costanti i loro moti, l’aria è in perpetua agitata dai venti, le acque crescono e calano… per insegnarci che dovremmo essere sempre in movimento.” (Robert Burton, 1951). Inevitabilmente il viaggio ci porta ad affrontare i vissuti legati alla separazione dal proprio nido, dal posto sicuro per andare verso qualcosa che non conosciamo ancora, per porci poi di fronte alla scelta del ritorno, che necessariamente impone nuove separazioni e l’integrazione col nuovo. Non possiamo mai ritornare come eravamo e, se questo è vero nella quotidianità, diventa inevitabile quando ritorniamo da un viaggio. Il viaggio ci apre all’insolito, al cambiamento, all’inatteso. Certo, questo vuol dire lasciare la condizione rassicurante del solito, dell’appartenenza che spesso ci fornisce un senso di identità, dell’atteso che con il suo ripetersi quotidiano, con la sua tendenza ad essere mono-tono scandisce un ritmo consolatorio che spesso con-fondiamo con il senso della vita.

I motivi che ci spingono  a viaggiare si intrecciano e non sempre sono chiari neppure per chi parte. C’è l’irrequietezza, l’insoddisfazione, la curiosità verso il mondo, il bisogno di conoscenza, la voglia di scoprire ed imparare come scrive Antoine de Saint-Exupérie ne Il piccolo principe: “Ecco perché il Piccolo Principe aveva dovuto lasciare la sua stella e la sua rosa. Per prendere a poco a poco conoscenza.”

Perché viaggiare ci apre alla conoscenza? “Quelle cose per conoscere le quali ci mettiamo in cammino e attraversiamo il mare, se sono poste sotto i nostri occhi non ce ne curiamo.” (Plinio il Giovane) Forse perché viaggiare ci pone di fronte alla diversità e solo vedendo il diverso da noi, possiamo vedere noi stessi. È attraverso l’altro che scopriamo noi stessi. Viaggiare ci permette di scoprire alternative inimmaginate, di svincolarsi dai lacci dei sistemi sociali, basati sulla fissità della persona, sulla sua continuità ed immutabilità: il sistema sociale rafforza la massificazione, ma l’identità umana è mutevole e molteplice. Lo scarto tra l’immagine che gli altri hanno di una persona e quella che lei ha di se stessa, tra quello che è nella realtà e quello che vorrebbe essere, è lo spazio in cui prende vita il desiderio del viaggio. Per trovare la libertà, bisogna uscire dalla struttura di un unico sistema e conoscere il diverso: è la possibilità di scegliere i modi in cui dare senso alla propria vita che permette di essere liberi. Libertà non è non avere regole o non avere un sistema di riferimento, ma sentire di poter scegliere tra le diverse opportunità che ci offre la vita. Paradossalmente la libertà di scegliere tra diverse possibilità ci mette in crisi, mentre il “già dato”, il conosciuto ci rassicura. Il viaggio implica la messa in discussione con noi stessi.

La difficoltà di affrontare l’inaspettato ci porta a scegliere spesso dei viaggi già tutti organizzati in cui ci viene assicurata la continuità minima tra il nostro stile di vita e il nuovo paese. Ciò nonostante essere in viaggio implica, comunque, un movimento, un cambiamento di ambiente, nuovi incontri. Diventa, quindi, inevitabile arricchirsi.  Scegliere la meta del nostro viaggio e il come raggiungerla è già parte integrante delle dinamiche che si innescano quando iniziamo a pensare ad un viaggio. Un viaggio inizia quando iniziamo a sognarlo. Il processo decisionale viene ad assumere una rilevanza unica ed importante in una situazione ricca di incertezze come può essere quella turistica, dove l’individuo è chiamato a decidere in situazioni che, spesso, sono per lui nuove e sconosciute. Ogni scelta viene messa in atto in un particolare “ambiente di decisione” costituito da tutto un insieme di informazioni, alternative e preferenze disponibili nel momento della scelta. Dietro la scelta di intraprendere un viaggio vi è un lungo processo costituito da una sequenza di valutazioni sui vari aspetti del viaggio (ad esempio decidere se partire o no, dove andare, quanto spendere, quando partire, dove alloggiare, ecc.).

Il viaggio favorisce anche la regressione riportandoci ai desideri  e alle pulsioni infantili che spesso reprimiamo nella nostra quotidianità.

Fra gli sviluppi e le teorizzazioni più recenti, un punto di vista importante e sintetico è stato proposto da Mannell e Iso-Ahola (1987) che, occupandosi del comportamento ricreativo, quindi anche quello turistico, hanno affermato come esso sia vincolato a due tipi di forze che agiscono contemporaneamente:

  • la fuga dall’ambiente e dalla routine quotidiana, che spinge ad evadere e ad allontanarsi dai problemi e dallo stress quotidiano;
  • la ricerca di ricompense psicologiche, che spinge alla ricerca di gratifiche sia a livello individuale che sociale.

Questa teoria bi-dimensionale riconosce la possibilità di un interscambio fra le dimensioni, l’una non esclude l’altra. Ancor più recente e’ la posizione di Dall’Ara (1990), secondo cui le motivazioni al turismo possono raggrupparsi in tre distinte aree: il Sé, l’altro da Sé  e il dentro di Sé. Le motivazioni che riguardano il portano a viaggi mirati a ridarci energia fisica e mentale. Le motivazioni riguardanti l’altro da Sé comprendono i viaggi in cui vi è la ricerca della trasgressione e dell’alterità. Infine, le motivazioni riguardanti il dentro di Sé portano a viaggi che hanno l’obiettivo di riscoprire il senso della vita e l’interiorità. Queste tre motivazioni non sempre sono così chiare, spesso si sovrappongono spingendoci ad andare. Dove? Se lo sapessimo forse non vorremmo più andarci.

Il viaggio interiore, un viaggio all’interno di noi stessi

C’è un solo viaggio possibile: quello che facciamo nel nostro mondo interiore. Non credo che si possa viaggiare di più nel nostro pianeta. Così come non credo che si viaggi per tornare. L’uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato. Da sé stessi non si può fuggire. (Andrej Arsen’evič Tarkovskij, Tempo di viaggio, 1983)

Non sempre il viaggiare implica necessariamente uno spostamento fisico e geografico. Possiamo viaggiare con la fantasia, con la mente, con l’anima. Un percorso terapeutico altro non è che un viaggio all’interno di noi stessi. Mentre i viaggi di emigrazione, di conquista, di scoperta, di avventura sono reali percorsi nello spazio, il viaggio di conoscenza di sé e del mondo, è un percorso interiore, una riflessione su se stessi, una ricerca di conoscenza sulla propria identità, su ciò che realmente si è stati, si sente e si è.

Così come nei viaggi reali, anche quando iniziamo un percorso terapeutico, il processo di cambiamento inizia ancor prima di iniziare il percorso. La spinta motivazionale, il porsi un obiettivo, la scelta di quale strumento utilizzare (sono diversi gli approcci psicologici ed c’è una vasta gamma di specialisti), la scelta del terapeuta, che ci accompagnerà nel nostro viaggio proprio come una guida, sono tutti aspetti antecedenti al percorso, che durante il percorso possono essere confermati oppure no. È importante sottolineare che questa introspezione non prescinde dal mondo in cui viviamo. Non è possibile conoscere se stessi se non in relazione alla realtà in cui viviamo, in quanto il nostro essere, è strettamente intrecciato con il mondo circostante. Solo se comprendiamo quest’ultimo siamo in grado di capire come vi collochiamo noi stessi. È questo il motivo per cui affrontare dei viaggi mentre si sta seguendo un percorso terapeutico può aiutarci  nel nostro viaggio interiore e favorire dei processi di cambiamento.

Il viaggio all’interno di noi stessi può spaventarci o incuriosirci, possiamo trovarci di fronte all’inatteso e scoprire nuovi aspetti del Sé prima sconosciuti. È un viaggio infinito, in cui noi siamo i protagonisti, il popolo da conquistare, il tesoro da scoprire.

Il viaggio a piedi

Nel viaggio a piedi, più che in qualsiasi altro viaggio, siamo noi i veri protagonisti, con il nostro ritmo, il nostro cammino, il nostro essere corpo. “Viandante, il sentiero non è altro che le orme dei tuoi passi, viandante, non c’è sentiero, il sentiero si apre camminando” scrive  Machado. Un viaggio a piedi ci riporta alla scoperta di noi stessi e del mondo passo dopo passo, i chilometri non vengono divorati, ma assaporati, vissuti. La meta diventa secondaria al percorso.

Un viaggio a piedi significa confrontarsi con le proprie risorse ed i propri limiti, col proprio essere corpo. Un viaggio a piedi significa ricordarsi per quanti secoli gli uomini hanno coperto le distanze così, un passo dietro l’altro. Camminando reinventiamo il tempo e lo spazio secondo il nostro ritmo. Ritorniamo ai nostri bisogni primari, al nostro essere uomo, familiarizziamo con la nostra ombra che ci accompagna lungo il cammino. Camminando si è costantemente in relazione con una doppia dimensione. La dimensione  interiore richiede l’essere consapevoli di Sé stessi, dei propri bisogni, dei propri limiti delle proprie risorse, ma anche la concentrazione richiesta dallo sforzo fisico. La dimensione esteriore ci porta al contatto col mondo esterno, dal nostro contatto a terra, con il mondo, con le persone che incontriamo. I nostri sensi si risvegliano e con essi parti di noi che nella quotidianità tendiamo a reprimere.

Camminare significa aprirsi al mondo. L’atto del camminare riporta l’uomo alla coscienza felice della propria esistenza, immerge in una forma attiva di meditazione che sollecita la piena partecipazione di tutti i sensi (…) Spesso camminare è un espediente per riprendere contatto con noi stessi! […] Prevede uno stato d’animo, una lieta umiltà davanti al mondo, un’indifferenza alla tecnica e ai moderni mezzi di trasporto o, quantomeno, un senso di relatività delle cose; Fa nascere l’amore per la semplicità, per la lenta fruizione del tempo. […] Camminare riduce l’immensità del mondo alle dimensioni del corpo. […] Camminare è un metodo per calarsi nel mondo, per compenetrarsi della natura, per mettersi in contatto con un universo che rimane inaccessibile alle normali modalità di conoscenza e di percezione. Con il proseguire del cammino, il viaggiatore allarga lo sguardo sul mondo, immerge il suo corpo in una nuova condizione. […]  Spesso si intraprende una marcia per ritrovare un senso di gravità dopo essere stati spodestati da se stessi. La strada che si percorre è un labirinto che crea scoramento e stanchezza, ma il cui sbocco, tutto interiore, è talvolta ricco di scoperte, con la sensazione e l’esultanza di avere rovesciato la prova a proprio favore. Spesso il percorso è un passaggio attraverso la sofferenza che porta lentamente a riconciliarsi col mondo. Nello smarrimento, la possibilità del viaggiatore è quella di continuare a fare corpo con la propria esistenza, di mantenere un contatto fisico con le cose. Ubriacandosi di stanchezza, ponendosi obiettivi minimi ma efficaci come arrivare in un posto piuttosto che in un altro, egli domina ancora il suo rapporto con il mondo. Nel suo disorientamento è in cerca di una soluzione, anche se per il momento la ignora. (…) immergendosi in un altro ritmo, in un nuovo rapporto con il tempo, con lo spazio, con gli altri, attraverso le scoperte che fa con il corpo, il soggetto ristabilisce il suo posto nel mondo, relativizza i suoi valori e riacquista fiducia nelle sue risorse. L’esperienza della marcia rivela l’uomo a se stesso, non attraverso una modalità narcisistica ma restituendogli il gusto di vivere e la connessione con gli altri.

  Le Breton, Il mondo a piedi

 

Cammino di Santiago

Tra i più famosi cammini a piedi c’è senz’altro il Cammino di Santiago di Compostela, il percorso che fin dal Medioevo i pellegrini intraprendono per giungere al santuario di Santiago di Compostela, presso cui sarebbe la tomba di Giacomo il Maggiore. Quando si parla del Cammino di Santiago ci si riferisce solitamente al Cammino francese o di San Giacomo. Esistono infatti altri 6 Cammini, quello Aragonese, del Nord, Inglese, del Sud Est,  Portoghese, la Fisterra Muxia e la rotta marittima. Il Cammino francese prende il via da Saint Jean pied de Port, un grazioso e antico paese francese sui Pirenei, a ridosso del confine con la Spagna, a 774 chilometri da Santiago de Compostela. Dappertutto sarà la concha amarilla, la conchiglia gialla a guidarvi lungo il percorso o, in alternativa, una freccia gialla.

Cosa c’è dietro la voglia di viaggiare?

(Psicologia del turismo – Crompton)

Aspetti psico-sociali (emotivi, sociali, cognitivi e motivazionali)

  • evasione dall’ambiente di vita quotidiano e abituale
  • esplorazione e valutazione di se stessi
  • rilassamento fisico e mentale
  • prestigio
  • regressione a forme di comportamento infantili o adolescenziali
  • miglioramento e rafforzamento delle relazioni familiari e di amicizia
  • facilitazione delle interazioni sociali

Perché viaggiare?

C’è solo una cosa peggiore del viaggiare, ed è il non viaggiare affatto.

Oscar Wilde

  • Per staccare dalla propria quotidianità. Viaggiare ti aiuta a liberare la mente dagli stress, facendo emergere la soluzione ai problemi, e a scaricare l’energia negativa accumulata in mesi di lavoro.
  • Per aumentare la capacità di problem solving. Ritrovarsi di fronte a difficoltà pratica aiuta l’emergere della risoluzione dei problemi.
  • Per scoprirsi. Entrare in contatto con nuove culture, nuovi ambienti ci aiuta a scoprire aspetti di noi stessi che prima non conoscevamo.
  • Per nutrire il nostro bambino interiore. Ritrovarsi in posti nuovi ci mette in contatto con le nostre emozioni più profonde: la paura del diverso, l’entusiasmo di un bambino che vede per la prima volta la neve.
  • Per aumentare la nostra elasticità. In un viaggio gli imprevisti sono all’ordine del giorno. Perdersi, dover ritornare indietro, trovarsi di fronte ad una realtà diversa da come l’avevamo immaginata sono imprevisti che spesso hanno qualcosa da insegnarci.
  • Per sviluppare lo spirito di adattamento. Lasciare le proprie comodità, il proprio nido sicuro e ritrovarsi in luoghi diversi ci aiuta a distinguere il superfluo dal necessario e perché no può farci apprezzare esperienze che non avremmo mai immaginato di vivere.
  • Per riappropriarsi del proprio ritmo e dei propri bisogni. Viaggiare ci riporta ai nostri bisogni primari senza la fretta delle “cose da fare”.