Autore: Dott. Fabrizio Ioppolo

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L’uomo è orientato a trovare nella sua vita un significato ed a realizzarlo, essere-uomo vuol dire andare verso qualcosa al di là di se stesso, verso qualcosa o qualcuno, un significato da realizzare o qualcuno da incontrare. Per fare questo l’uomo deve superare la paura di conoscere se stesso: le proprie emozioni, i propri impulsi, capacità e potenzialità. Incontriamo quindi nell’uomo un fenomeno fondamentalmente antropologico: l’auto-trascendenza dell’esistenza umana. La volontà di significato è la motivazione primaria dell’uomo (Maslow), giungere cioè ad una visione del mondo e della realtà partendo dalla quale la vita risulti significativa.

Se la psicoanalisi vede l’esistenza umana come dominata da una “volontà di piacere”, e la psicologia individuale la vede come determinata da una “volontà di potenza”, l’analisi esistenziale da parte sua la vede come determinata da una volontà di significato. La sua concezione di volontà di significato nasce dalla persuasione che i concetti di potenza e di piacere, introdotti rispettivamente da Adler e da Freud, siano insufficienti per spiegare la complessità dell’essere umano.

Sempre più spesso nel nostro contesto socio-culturale si pone l’interrogativo di un esistenza dominata dalla solitudine  e dal vuoto. Contrariamente all’uomo di ieri, l’uomo di oggi non ha più tradizioni che gli indichino ciò che dovrebbe fare, non sa ciò che in fondo vuole (sentimento di insignificanza), annaspa nel vuoto alla ricerca di sé stesso e della propria libertà, soffre per mancanza di senso della vita, lamenta tra il bisogno e la noia una sensazione di mancanza di significato. Ogni epoca all’infuori della nostra ha avuto un proprio modello, un proprio ideale; la nostra cultura li ha scartati tutti. L’uomo contemporaneo è avulso dai legami primari della famiglia, della cooperazione, della religione, vi è un progressivo allontanamento dalla natura, il costituirsi di una frattura non solo dell’uomo col mondo ma anche dell’uomo con se stesso. Soprattutto nei giovani la volontà di significato è frustrata (la vita come una passione inutile – Sartre). Oggi i giovani vivono nel vuoto esistenziale (vuoto interiore) e tale vuoto esistenziale si manifesta in uno stato di noia, un senso di radicale insignificanza della vita, anche se hanno a portata di mano tutto.

Queste sono le patologie esistenziali del nostro tempo: la superficialità, l’insignificanza, la dissipazione, la dispersione, l’abbandonarsi a una vita anonima e insignificante banalizzando e disperdendo le possibilità, il gettarsi nella vita così come viene, l’incapacità di coordinarla, l’incapacità di possedersi (l’io inadeguato e il suo vano lottare).   L’analisi esistenziale consiste nel ritrovare alcune opportunità di soddisfazione e realizzazione che il paziente-cliente , spesso ha realmente perduto.

La filosofia dell’esistenza ha una storia di almeno cent’anni, essa ha avuto inizio con l’ultimo Shelling con Kierkegaard, ha trovato con Nietsche uno sviluppo impensabile, sino a raggiungere nella germania del dopoguerra, con Scheler, Heidegger, e Jaspers, una consapevolezza finora insuperata. Max Scheler, il fondatore dell’antropologia filosofica, applicò l’indagine fenomenologica al mondo dei valori, dal livello più basso dei valori sensibili (il gradevole e lo sgradevole) a quello supremo dei valori religiosi ( il sacro, la beatitudine, l’amore ecc.). Notevole eco hanno avuto le sue critiche all’utilitarismo della civiltà moderna, giudicata incapace di elaborare e di coltivare i valori “nobili”, senza i quali l’umanità resta pericolosamente sbilanciata e monca. Heiddegger trovò un importante alleato dopo Jaspers, nell’ultimo Scheler, in un seminario su l’uomo e la terra tenutosi nell’aprile del 1927 a Darmstadt alla “scuola della saggezza” del conte Hermann Van Keyserling, dove tra gli altri era intervenuto Carl Gustav Jung, Scheler aveva affascinato l’auditorio con la conferenza la posizione dell’uomo nel cosmo, la questione del modo d’essere dell’uomo era centrale. Una comprensione originaria della vita umana, i cui caratteri specifici sono pratico-morali (l’essenza dell’agire). L’analisi dell’esistenza è un tentativo di rispondere alla domanda “che cos’è l’uomo”? Come ridare un senso alla realtà umana, ricerca di una risposta alla svalutazione dei valori tradizionali. Considerare le cose non solo per il loro valore d’uso, ma anche per la loro bellezza, e tutte le azioni non solo per la loro funzionalità rispetto ad un fine, ma anche per la loro esecuzione. La moralità di una azione, non nasce tanto dall’osservazione di principi e norme, quanto dall’atteggiamento di fondo dell’uomo nei confronti dell’essere.

L’analisi esistenziale   detta antropoanalisi – orientamento contemporaneo che deriva i suoi concetti sia dalla psicoanalisi freudiana sia dalla filosofia esistenzialista di M. Heidegger. Più precisamente l’esistenzialismo si inscrive nella filosofia fenomenologica di Husserl e Heidegger, matrice comune ai diversi esistenzialismi, utilizza i concetti della antropologia filosofica. Il pensiero di Heidegger viene sviluppato negli studi di Psicologia esistenziale di Ludwig Binswanger. L’esistenzialismo copre così tutta una serie di momenti del sapere che vanno dalla psicologia alla connessa sociologia e, in senso largo, all’antropologia. Si tratta di scienze umane che colgono la natura emotiva, sociale, politica e storica dell’uomo, nonché del suo mondo di bisogni, di angosce, di disperazioni.

Il termine Esistenzialismo coniato intorno al 1930, indica quel complesso di filosofie e di riflessioni contemporanee (anche letterarie F. Dostoevskij – F. Kafka, e pittoriche), che assumono la concreta esistenza individuale (i fatti della vita) come caratteristica fondamentale dell’uomo. In poesia affine all’esistenzialismo fu l’Ermetismo (E. Montale e G. Ungaretti) per la sua insistenza su temi della solitudine, della desolazione e della precarietà della vita. L’esistenzialismo fu soprattutto una riflessione critica sul vuoto di certezze, sulla crisi dei valori tradizionali, sull’insistenza sui temi dell’angoscia della disperazione, dell’inevitabilità della morte, della finitezza e dei limiti dell’essere umano, tanto che il movimento fu etichettato come filosofia della crisi. In realtà le conseguenze dell’esistenzialismo sulla cultura del novecento sono tanto vaste da non poter essere specificate con esattezza.

Il tema fondamentale è quello dell’orizzonte nel quale si incontrano l’esistenza e la trascendenza, (il ritorno al problema dell’uomo e del suo posto nel mondo). Il punto principale è che l’essere è coesistenza, la soggettività è intersoggettività. Tutto l’esistenzialismo è forse un “diario metafisico”, che coinvolge il negativo e il positivo della nostra epoca. L’accento cade sulla funzione pratico-vitale dei processi conoscitivi, i quali sono risposte all’insicurezza esistenziale e si traducono in progetti mirati a rendere l’esperienza meno instabile e precaria. Il ritorno alla soggettività trascendentale consente la possibilità di dare un senso e un fine alle nostre operazioni concrete; consente cioè di non “perdersi nel mondo” come soggetti anonimi, condizionati dalla società della tecnica e dei consumi, ma di recuperare il significato autentico dell’intersoggettività umana, comprendere le concrete operazioni dei soggetti e il loro originario senso umano.  L’analisi esistenziale e la terapia esistenziale tenta non solo di recuperare le opportunità di soddisfacimento delle motivazioni e degli interessi che l’individuo credeva perduti, ma aiutano il cliente anche nella ricerca del significato della vita e della propria esistenza (Binswanger, Frankl, May, ecc.), in questo gruppo si può includere anche la terapia praticata dagli psicologi umanisti (Goldstein, Rogers, Maslow, ecc.). L’analisi esistenziale è centrata nel presente, si svolge dando un’enfasi ai conflitti dei clienti che riguardano la vita concreta quotidiana, essere nel tempo e nell’attuale realtà, cioè tutto ciò che coinvolge l’individuo a livello di vissuto personale. L’analisi esistenziale ha centrato l’esperienza dell’uomo non più sul sapere astratto ma sulla percezione diretta del mondo, propone non una spiegazione ma una comprensione dell’uomo. Punto di partenza dell’analisi fenomenologica è la presenza umana (DASEIN) nel suo originario essere-nel-mondo, l’indissolubile unità di vissuto e di realtà. Senza distinzione tra sano e malato, tra normalità e follia, il sintomo perde allora la sua etichetta di deviazione morbosa per assumere il senso Heideggeriano di fallimento esistenziale, di mancata realizzazione della possibilità di libertà che caratterizza ogni vita umana. Solo lo spazio, il tempo, il linguaggio e l’incontro ci permettono di essere contemporaneamente dentro e fuori di noi senza smarrirci nella derealizzazione del delirio.  Nella terapia esistenziale il cliente alla fine dovrà sviluppare le proprie reali abilità latenti, cogliere e affrontare l’angoscia esistenziale sottesa a molte problematiche psicologiche, che deve essere riconosciuta e accettata. La struttura dell’uomo è essenzialmente libertà, libertà che non è indifferenza, che è presenza alla sua profonda intimità, alla sua individualità propria. Sottrarsi alla quieta disperazione è possibile solo con una scelta (atto decisionale) che decida la fedeltà dell’uomo a se stesso e alle sue potenzialità, per diventare più coraggioso, più libero e più convinto di poter raggiungere la felicità, quel tipo di felicità che include la felicità di altre persone (l’amore per la vita è la vera natura dell’uomo). Se si riesce  ad aver fiducia nel significato della vita, a credere nel proprio e altrui valore fondamentale, a credere che l’universo ha un significato che ci permette di superare la nostra insicurezza, allora potremmo fare esperienza di quell’abbandono (fiducia) e di quel coraggio di cui abbiamo bisogno per vivere (fiducia e coraggio sono interdipendenti). E’ il problema del trovare un senso nella propria esistenza e, in ultima analisi nella vita stessa (chiarificazione), ciò di cui abbiamo bisogno per vivere. L’esperienza della chiarificazione produce un senso di libertà che non ha eguali, solo in questa esperienza possiamo trovare noi stessi i nostri simili, e il nostro posto nell’universo. Essere nel mondo significa essere nel mondo con i miei simili, essere insieme con altre presenze. Impiegare a nostra guida e modello, l’essere umano che pienamente sviluppa se stesso e realizza se stesso, quello nel quale tutte le potenzialità giungono alla totale pienezza, quello la cui natura interiore si esprime liberamente, anziché venire deformata repressa o negata. L’esistenza è in tal modo l’intelligenza concreta che l’uomo ha della sua natura originaria. Scommettere sulla propria vita è credere nel processo totale della vita (affermare sé stessi la società e l’universo). In  sostanza si richiama  ciò che è interiore e profondo in noi stessi, è il ritorno di noi stessi a noi stessi ci impegna nella fedeltà alla nostra natura originaria.

La tensione che sta alla base della vita stessa (problematicità della vita stessa) rimane, ma la chiarificazione, la consapevolezza di questa tendenza produce proprio l’equilibrio più creativo delle nostre tensioni interne, che stanno alla base del nostro vivere, questo perché a maggior chiarificazione corrisponde una maggior comprensione dell’imperfezione della condizione umana ( il coraggio di non essere perfetti). L’individuo sano è disposto a camminare sul filo del rasoio dell’insicurezza ed affermare la verità e la bontà, anche se verità e bontà non si realizzano mai in maniera perfetta. Siamo chiamati a questo compito sovrano di cercare individuare, ascoltare, nominare, selezionare e realizzare nel rapporto con noi stessi, le altre persone e il mondo, le potenzialità supreme del sacro che sono un tutt’uno con noi stessi, tenere insieme in armonica tensione, non più tragica, libertà e amore, amore per padre e madre, cielo e terra, lontananza e vicinanza, intimità e discrezione, dolore e gioia, morte e vita, essere e nulla.

La terapia esistenziale divenne popolare negli anni sessanta con il lavoro di Rollo May e di R.D. Laing. Secondo Laing la malattia mentale è indotta dalla vita familiare e sociale, considerando l’individuo alienato da sé stesso, dalla famiglia o dalla società, si cerca di aiutarlo a raggiungere un senso di responsabilità ( abilità a reagire M. Buber ). Fondamentale nella terapia esistenziale è la amichevole relazione tra terapeuta e paziente che serve ad entrambi per sostituire eventuali mancanze nella vita quotidiana. La metafora centrale di Laing era politica, come ogni altro aspetto della vita contemporanea è necessario cambiare le dinamiche politiche esistenti tra governanti e governati (tra paziente e terapeuta, chi ha il potere e chi non ne ha). Il terapeuta langhiano partecipa attivamente al processo terapeutico effettuando egli stesso il “viaggio” dentro e fuori la pazzia. Il terapeuta si impegna a interpretare ruoli insieme al paziente, agendo all’interno di una relazione responsabile (abilità nel rispondere), mira alla definizione della responsabilità personale, al dialogo e al radicamento nel presente. Tutta la terapia basata soprattutto sull’interazione verbale tra analista e paziente, si basa sul qui-ed-ora che è divenuta la base della terapia gestaltica. Il fine è quello di consentire ai pazienti di instaurare autentiche relazioni sociali e assumersi maggiore responsabilità al fine di risolvere il problema esistenziale. Come si può notare la sua concezione di malattia mentale è intesa come socialmente determinata quindi poca attenzione è prestata alle componenti biologiche, psicologiche e psicopatologiche. Mentre la psicanalisi propone una precisa tecnica di intervento, l’antropoanalisi diffida ogni tentativo di modificazione ritenendolo manipolatorio, a favore della pura “comprensione” dell’altro, rischiando così di ridurre l’aiuto offerto alla sofferenza mentale a mera “contemplazione”.

La terapia esistenziale con l’attenzione alla esperienza soggettiva e reale dei pazienti ha preparato il campo alla terapia della Gestalt.

Nella psicologia occidentale, la fenomenologia e l’umanesimo confluirono nel lavoro di Carl Rogers (il movimento del potenziale umano). Secondo Rogers l’uomo possiede un Sé nucleare fondamentalmente integro, e nella sua visione, l’inconscio non è più il principale interesse psicologico. Il terapeuta Rogersiano è come uno specchio che riflette ciò che il paziente proietta su di lui. Il lavoro di Rogers ha trovato favore anche in Giappone una delle poche correnti di psicoterapia che hanno preso piede in questo paese,  influenzato  dal pensiero zen. Ai giapponesi piace il metodo di Rogers (tranne la sua concezione del Sé individuale internamente coerente), perché non è invadente e dà al cliente una notevole libertà. La vera importanza riguardo alla terapia di consultazione, attribuita dai giapponesi alle tecniche Rogersiane è che esse aiutano il cliente a essere nello stato di essere completamente solo, poiché essi credono che il vero salto o la vera crescita di un individuo ha luogo quando egli è totalmente solo, (lo zen è più interessato a vuotare che riempire). Un terapeuta occidentale non è eccessivamente entusiasta sulle virtù terapeutiche delle condizioni di solitudine o di vuoto, tuttavia queste sono della massima importanza in Giappone, e rappresentano l’unica verità di un individuo. “Per quanto riguarda la terapia di consultazione, la vera importanza delle tecniche Rogersiane è che esse aiutano il paziente a essere nello stato di essere completamente solo” (Tomoda– maggior traduttore di Rogers in Giappone). Nel Buddismo questo particolare tipo di “essere solo” è altamente apprezzato, è un tipo di solitudine in cui non ci si attacca ad “affari in sospeso”, in cui non si vive nella speranza o nel desiderio, né si aspetta che la vita cominci. Questo tipo di solitudine implica lasciare andare gli “oggetti interiorizzati” e accetta la vita così com’è, come viene.

L’idea umanistica ha i suoi punti deboli oltre ai suoi punti forti. Nella letteratura centrata sulla Persona, si è scritto molto poco sulla morte, la malattia, la perdita, la colpa, la tragedia e gli altri problemi esistenziali fondamentali che ci assillano. Lo spirito ottimistico prevale su tutto, tuttavia gli individui non sono onnipotenti.

Il merito di Rogers è di aver dato spazio alle potenzialità umane, necessario antidoto contro le spiegazioni meccanicistiche  e le tentazioni tecnologiche, e di aver liberato dalle ristrette idee meccanicistiche la psicologia “scientifica”.