Autore: Dott.ssa Emanuela De Bellis

 

Recensione del libro “Bebè a costo zero” di Giorgia Cozza

Il libro, scritto da una giornalista che tratta argomenti legati alla gravidanza, si presenta come  una panoramica sulle possibilità di una gravidanza sostenibile. Quante volte sentiamo dire (o diciamo) “Non posso permettermi di avere figli”?

La possibilità di mettere al mondo un figlio porta con se’ l’immagine di un raddoppio delle spese, di una riduzione drastica delle possibilità, unita alla grande responsabilità di doversi prendere cura della nuova creatura; il desiderio di essere un buon genitore, e di voler offrire il meglio al proprio bambino, può trasformarsi rapidamente in un’angoscia economica che deforma la realtà, e le possibilità di azione.

Figli di una generazione che ha procreato durante una crescita economica, in seguito a grosse trasformazioni sociali, tecnologiche e mediche, il modello di riferimento che abbiamo è difficilmente sostenibile; le conquiste e le ricerche portano ogni giorno grandi quantità di prodotti nuovi per l’infanzia, che vengono presentati come aiuti necessari, salvifici, della genitorialità odierna, sospesa tra lavoro e famiglia.

Ma quanti di questi prodotti servono realmente al bambino? Quanti sono progettati per garantire una possibilità d’ essere genitore? Quanti servono a rassicurare la mamma e il papà che, se loro non sono in grado, c’è qualcosa che li può sorreggere, supportare, sostituire nelle funzioni?

E quanti, di questi acquisti, possono risultare nocivi per i bambini?

Giorgia Cozza offre una panoramica di tutti questi prodotti, andando a stanare la loro effettiva funzionalità, suggerendo spunti di riflessione e alternative pratiche per ognuno di loro (si salva solo il seggiolino da auto, l’unico ritenuto indispensabile); seggiolone, carrozzina, culla, box, fasciatoio, vengono ridefiniti nelle loro peculiarità, in funzione di un’educazione più attenta ai bisogni del bambino e alla sua crescita. Persino omogeneizzati e pannolini vengono eliminati, con alternative sicuramente economiche, sicuramente più sane, forse con qualche dispendio di energia in più.

Ma la riflessione della Cozza non si ferma all’aspetto economico, né tantomeno a quello, strettamente legato, del versante ecologico (meno pannolini=meno rifiuti); l’eliminazione di una serie di oggetti coincide con l’eliminazione di tanti surrogati, fino a lasciare la relazione genitoriale nella sua naturalità. Il ciuccio, il biberon, la culla, non sono altro che alternative alle braccia materne, al seno, a un contatto fisico che media la relazione, soprattutto nei primi mesi di vita. Abbracciare e confortare un bambino quando piange, invece che dargli il ciuccio per farlo smettere, è un atto comunicativo molto più forte, un «io ci sono» che determina il genitore come figura di accudimento. Il libro della Cozza propone un modello educativo che sorpassa le teorie «moderne», proponendo un ritorno a vecchie abitudini, non in virtù del «si stava meglio quando si stava peggio», quanto piuttosto del «riprendiamoci ciò che è nostro».

L’analisi dell’infanzia di chi oggi è genitore riporta a un’educatività che saliva sempre più verso il tecnologico: il latte in polvere, i giocattoli eletteronici, le bambole che parlavano, mangiavano, facevano la pipì, addirittura crescevano mentre ci giocavi, il seggiolino vibrante, la pedaliera- scrivania  multi-interattiva per una iperstimolazione costante, le luci da notte, i pupazzi carillon, le api da lettino… I nostri genitori, di fronte a una quantità di oggetti nuovi, mai visti prima, che loro stessi non avevano avuto, si disorientavano, appoggiandosi alle nuove teorie che sostenevano l’innovazione nell’educazione: oggi, noi bambini cresciuti in quella babele di consumi, non abbiamo mai visto allattare al seno, cucire una bambola, giocare a «batti batti le manine»; guardiamo indignati i bambini di oggi perché stanno sempre davanti al computer, e non giocano più a nascondino, quando la verità è che a nascondino non ci abbiamo mai giocato neppure noi.

Ma il nascondino serve? Abbiamo fatto tanto per abbattere vecchie abitudini, per poi trovarci a rimpiangerle?

In realtà la visione della Cozzi non evoca il passato per promuoverne un ritorno, ma per guardare il presente da una prospettiva diversa, più lontana, non strozzata dalla frenetica ricerca di risposte e soluzioni tipica della nostra epoca.  Qual è il gioco migliore per un bambino? Più o meno tutti possiamo rispondere «Quello che lo fa crescere meglio». Ovvero quello che promuove: la comunicazione, lo sviluppo di risposte, la creatività. Noi sappiamo cosa serve loro: serviamo noi. Noi che parliamo con loro, che facciamo il gioco del cucù, che li abbracciamo quando piangono. Che stiamo accanto a loro mentre giocano per terra, così non li dobbiamo chiudere in un box; che organizziamo una cesta con dentro oggetti di varia forma e materiale, così possono esplorarli; che li portiamo addosso, in una fascia, per camminare insieme già dai primi mesi, invece che farli sdraiare in un una carrozzina dalla quale non ossono vederci; che riequilibriamo la nostra alimentazione, per adattarla alla loro, invece di comprare prodotti diversi (e, spesso, chimici).

Questo non vuol dire, però, colpevolizzarsi per il ritorno al lavoro e per ogni spazio che ci si prende per se’ stessi; vuol dire che la possibilità di riorganizzarsi, di partecipare creativamente alla vita di nostro figlio, e di far partecipare lui alla nostra, fa già parte di noi: e nessun oggetto potrà mai sostituirla.

E la riflessione, a questo punto, può continuare: quanti degli oggetti che abbiamo ci servono realmente? Quanta della spesa che facciamo ogni giorno al supermercato andrà buttata? Quali vestiti, tra quelli raccolti nell’armadio, metteremo ancora? Quanto spazio possiamo liberare, nelle case e nelle vite? Quanti soldi possiamo risparmiare senza sentirci privati? Scrivete la vostra opinione o la vostra storia!