Autore: Dott.ssa Claudia Belloni

 

Il care-giver è colui che si occupa di accudire una persona malata. Nella mia esperienza mi sono occupata spesso di familiari di persone malate di Alzheimer e attualmente di portatori di handicap.

L’handicap viene definito dalla Legge-quadro 104/1992 per l’assistenza , l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate come:

“E’ persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che è causa di difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione

Dobbiamo ricordare però che non riguarda solo una minoranza, ma può essere sperimentato da tutti in particolari momenti della nostra vita o situazioni.

Lavorare con portatori di handicap implica un lavoro complesso anche con le famiglie di questi ragazzi(i care-giver appunto), poiché entrano in gioco meccanismi di difesa che a volte impediscono una collaborazione serena  tra il sistema famiglia e il sistema dei centri socio-riabilitativi nei quali sono spesso ospitati.

I meccanismi di difesa più comuni in questi casi, da parte delle famiglie, sono la negazione, il diniego, nonché l’ iperprotezione nei confronti  del congiunto  e la difficoltà ad accettare la diagnosi.

Lo psicologo ha il compito di far prendere consapevolezza dei naturali impulsi di difesa messi in atto e favorire l’elaborazione del lutto del genitore che ha dato alla luce un figlio visto come “imperfetto”.

Lo stress e il disagio che spesso sperimentano questi genitori è giustificato dal fatto che il termine handicappato è spesso associato a una connotazione negativa. Nella nostra società viene sostituito da “idiota”, “ritardato”, “imbecille”, ecc….

In realtà il termine handicap ha un’accezione per niente negativa: etimologicamente deriva dall’inglese “hand in cap”  e cioè “mano nel cappello”.

Indica il sorteggio della posizione dei cavalli allo starter nelle corse al trotto e la relativa penalizzazione onde impedire privilegi e favoritismi.

Così da uno svantaggio nella corsa al trotto è passato metaforicamente a designare uno svantaggio nella corsa della vita.

Il compito della società è quello di insegnare a ribaltare questa accezione negativa e tramutarla in quello che invece è più vicino alla realtà del portatore di handicap; queste persone sono sicuramente diverse dalla media, ma  presentano in molti casi  abilità simili a quelle dei normodotati.

E’ importante evidenziare che il portatore di handicap ha difficoltà in diversi ambiti, ma, a differenza di quanto la maggior parte delle persone pensa, il ritardo non è generalizzato a tutte le diverse sfere( motorie, logiche,deduttive,emotive, relazionali, ecc..);spesso le capacità di tali persone possono essere uguali a quelle dei normodotati in alcuni ambiti e carenti in altri. Per questo è necessario aiutarlo a mantenere o migliorare le abilità che già possiede, favorirne lo sviluppo e il mantenimento delle autonomie        .

Il nostro compito è quello di spingere i familiari a cercare di superare il disagio iniziale, provocato anche dalla nuova situazione di essere genitore di un bambino diverso, dalla paura di non essere all’altezza o di non riuscire ad accettare la nuova condizione.

Inoltre è bene rendere consapevole il care-giver che i sentimenti negativi che prova sono normali e tipici della condizione umana,  che non deve colpevolizzarsi di ciò che prova. La persona deve essere aiutata a capire che è necessario imparare a gestire al meglio la situazione concedendosi spazi personali e piacevoli per poter mantenere il proprio benessere psico-fisico. Il benessere del care-giver si riflette positivamente sul benessere del malato.

La socializzazione delle paure attraverso la condivisione del proprio stato d’animo è un ottimo metodo per confrontarsi con genitori che si trovano nella stessa condizione con l’obiettivo di riorganizzare al meglio la vita familiare e sociale.