Autore: Dott.ssa Ada Moscarella
vedi Sito Internet dell’Autore www.ampsico.it
I tennisti professionisti, anche i grandi campioni come Federer o Nadal, durante la stagione tornano dal maestro a ripetere i fondamentali. In pratica imparano daccapo diritto e rovescio, come se non avessero mai impugnato una racchetta. Perché fanno questo? Il tennis è uno sport che richiede una estrema coordinazione e concentrazione e soprattutto una rapidità di decisione che non consente di ripensare ogni volta come va impugnata la racchetta o come vanno sistemati i piedi e le spalle. Sono gesti che diventano automatici. C’è un interessante fenomeno che caratterizza le azioni e le conoscenze che ci sono più familiari. All’aumentare della familiarità, aumenta l’automatismo e quindi, incredibilmente, diminuisce la consapevolezza. Un fenomeno quotidiano che subisce questa condizione è la comunicazione. Definirla è difficile, eppure la utilizziamo con naturalezza (ossia automatismo) tutti i giorni. Una definizione che può esserci utile adesso è: la comunicazione è il passaggio di informazione da un soggetto ad un altro, tramite un canale. Paul Watzlawick, uno dei principali esponenti della Scuola di Palo Alto, ha studiato a fondo la comunicazione umana, soprattutto per quanto riguarda i suoi aspetti pragmatici, ossia gli effetti che la comunicazione ha sul comportamento e nell’ambito dei suoi studi ha individuato 5 assiomi della comunicazione umana. Assiomi che in quanto tali agiscono spesso come automatismi. E’ invece utile, come i tennisti, ripassare qualche fondamentale…
I Assioma: Non si può non comunicare.
Secondo Watzlawick la comunicazione è un comportamento, e il comportamento non ha un suo opposto, ossia: non possiamo non comportarci. Ne consegue, quindi, che non possiamo non comunicare e ogni nostro comportamento trasmette all’altro un messaggio che ne influenza il comportamento. Ciò non toglie, però, che ostinatamente l’essere umano tenti di sottrarsi dalla comunicazione. Siete seduti in aereo, cinture allacciate, fase di decollo. Accanto a voi siede un giovane dalle mani sudate che parla velocemente ad alta voce nel tentativo di contenere la sua ansia. Siete lì, legati alla sedia, non potete andarvene. E per il I assioma non potete non comunicare. Quali sono allora i possibili scenari?
Il Rifiuto: con assertività che talvolta può rasentare un certo disprezzo per le buone maniere, fate capire al passeggero che vi siede accanto che non avete proprio voglia di conversare. Ma non crediate di averla fatta del tutto franca, per rifiutare, dovrete comunque comunicare il vostro rifiuto…
L’Accettazione: semplicemente vi arrendete. E iniziate a parlare con il giovane agitato.
La Squalifica: è l’arte gentile del “non dire nulla dicendo qualcosa”. Voi, che non volete avere davvero a che fare con il giovane dalle mani sudate, vi abbandonate a una sorta di comunicazione non sense, inconcludente, cambiando argomento, fraintendendo, contraddicendovi.
Il Sintomo: dite, ad esempio, di avere mal di testa. Ossia utilizzate il sintomo per nascondere la vostra volontà di non volervi impegnare nella conversazione e comunicate all’altro che per voi non è possibile conversare non per vostra volontà, ma per colpa del mal di testa.
II assioma: Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, in modo che il secondo classifica il primo, ed è quindi meta comunicazione.
Un marito si rivolge alla moglie dicendole: – Questa minestra è orrenda! – Come reagirà la moglie? Potrebbe scoppiare in lacrime, perché addolorata. Potrebbe arrabbiarsi e lanciare piatti, perché offesa. Potrebbe ridacchiare e promettere che la prossima volta si impegnerà a far peggio, perché divertita. Quale sarà l’elemento che determinerà la reazione? E’ la relazione. In ogni comunicazione infatti, abbiamo una componente di informazione (l’aspetto di notizia, ossia: la minestra è orrenda! ) e una componente di comando, che si riferisce alla relazione. Quest’ultimo aspetto rientra negli “automatismi” di cui si parlava all’inizio, e spesso vive sullo sfondo della comunicazione tra le persone. L’aspetto di relazione ci dice, in pratica, come trattare l’informazione, esso rappresenta quindi un’informazione SULL’informazione, ed è quindi metacomunicazione. Riprendiamo la nostra coppia a tavola, con il piatto di minestra. Lui pronuncia la sua frase e ridacchia. Lei si arrabbia, lancia piatti, inizia ad urlare al marito che è un ingrato. Inizia così una lunga e trascinante discussione su quanto lei si impegni nelle faccende di casa e quanto lui poco la apprezzi per questo. Cosa è accaduto? Mentre i due poveri coniugi si rincorrono a fare l’elenco delle faccende di casa e dei ringraziamenti ricevuti, si affannano, cioè, a tentare di dipanare un conflitto sul livello di contenuto, quello che non sanno è che il loro disaccordo riguarda la definizione della lororelazione. I due livelli sono strettamente intrecciati, in modo che una modifica a livello del contenuto influirà sulla relazione e viceversa. Ogni volta che ci troviamo all’interno di un’interazione definiamo la relazione e anche l’altro, è come se dicessimo: – Tu per me sei così – . Come può reagire l’altro di fronte a questa definizione? Confermando: ossia il rispondente conferma all’emittente che la versione che ha dato di sé è valida e ci si riconosce. Questo aiuta, naturalmente, a consolidare l’immagine che ciascuno ha di sé. Emittente: – Tu per me sei così – Rispondente: – Sono d’accordo con te, io sono così – Rifiutando: il rispondente rifiuta la definizione proposta dall’emittente. Rifiutare una definizione implica che io ho riconosciuto la comunicazione e chi la emessa, semplicemente sono in disaccordo. Emittente: – Tu per me sei così – Rispondente: – Non sono d’accordo con quello che tu dici, io non sono così – Disconfermando: in questo caso il problema non è più confermare o rifiutare ciò che viene detto, ma negare che una definizione, giusta o sbagliata che sia, sia mai stata prodotta dall’emittente. Quello che viene cancellato è l’emittente stesso, indipendentemente dalla definizione che questi ci ha dato.
III Assioma: La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti.
In un tipico esperimento di condizionamento, lo sperimentatore dice: – Ci sono riuscito! Ho insegnato al topolino a premere la leva per ottenere il cibo! – Generalmente, però, non ci chiediamo come veda la faccenda il topolino…E’ molto probabile che la pensi così: – Ci sono riuscito! Ho insegnato allo sperimentatore a darmi del cibo ogni volta che premo la leva! – Se il topolino potesse parlare con lo sperimentatore, i due si troverebbero in conflitto rispetto alla punteggiatura della loro interazione, in quanto ciascuno interpreta lo scambio in modo tale da vedere il proprio comportamento come causato dal comportamento dell’altro e come causa della reazione dell’altro e viceversa. I conflitti sulla punteggiatura sono alla base delle “profezie che si auto-avverano”, in quanto il soggetto crede di subire dagli altri comportamenti che invece è egli stesso a provocare. Per questa ragione, i conflitti sulla punteggiatura non sono risolvibili sul livello del contenuto, ma solo sul livello della metacomunicazione.
IV Assioma: gli esseri umani comunicano sia con il modulo numerico che con quello analogico.
Il linguaggio numerico ha una sintassi logica complessa ma efficace. Manca, però, una semantica adeguata al settore della relazione, mentre il linguaggio analogico ha la semantica ma non una sintassi adeguata per definire in un modo che non sia ambiguo la natura delle relazioni. Il linguaggio numerico è, semplificando al massimo e con qualche lieve imprecisione, il linguaggio verbale.
Il linguaggio analogico riguarda invece la comunicazione non verbale, come la postura, il tono della voce, le espressioni del viso, ecc… Con il primo ci si scambia informazioni circa gli oggetti e le conoscenze. Con il secondo ci si scambia informazioni circa la relazione. Da questo deriva una importante conseguenza: se il problema è la relazione, il linguaggio numerico non ha alcuna forza per risolvere il conflitto.
V Assioma: Tutti gli scambi di comunicazione sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull’uguaglianza o sulla differenza.
Nella interazione simmetrica A tende a rispecchiare il comportamento di B. Nella interazione complementare A assume una posizione one-up, superiore, mentre B ne assume una inferiore, detta one-down. Queste configurazioni non vanno connotate positivamente o negativamente, o come posizioni di forza o debolezza, in quanto, ad esempio, l’assunzione dell’una o l’altra posizione può essere determinata da mere variabili culturali (ad esempio: insegnante/alunno, medico/paziente). In una relazione sana i due tipi di configurazione sono presenti entrambe, alternativamente. Ma cosa accade quando un tipo di interazione diventa prevalente? Nell’interazione simmetrica è sempre insito il rischio della competitività, per cui i due comunicanti non arretrano mai di fronte all’altro, ma cercano di aver a tutti i costi “l’ultima parola” sul contenuto, mentre sul piano della relazione quello che accade è che ciascuno rifiuta fermamente la definizione che gli arriva dall’altro. Quando l’interazione complementare diventa rigida, ossia non c’è possibilità di alternarsi nelle due posizioni up e down, viene a mancare il riconoscimento dell’altro come emittente, ossia solo uno dei due avrà il diritto di parlare dell’altro, mentre i commenti di quest’ultimo, semmai ne facesse, non verrebbero presi in considerazione.
Per approfondire
Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D., Pragmatica della comunicazione umana, Astrolabio Editore, Roma, 1997.
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