Autore: Dott.ssa Morena Romano

 

La parola mito equivale a favola, e significa narrazione favolosa delle qualità e delle gesta di esseri ideati come divini, o più che umani: di dei o di eroi ed il primo ad usare questo vocabolo fu Platone. La mitologia dunque è la scienza delle antiche favole proprie d’una etnia o di una nazione. Le raccoglie, le collega, cerca di interpretarle e di capire, nello studio delle loro origini,dei loro significati e dei loro sviluppi, l’animo degli uomini  che le immaginarono.

Jung si è avvicinato allo studio della mitologia in modo sistematico: nel 1911 in “La Psicologia dell’inconscio” porta a termine il suo studio della mitologia in riferimento alla malattia mentale, in particolare la schizofrenia.. La teoria del mito apre la strada alla teoria junghiana della libido, alla teoria dell’inconscio collettivo, alla teoria dell’energetica psichica.

Jung: sostiene che nei miti affondano le radici della personalità e che essi invitano l’umanità a contemplare la realtà spirituale insita nella nostra natura. La mitologia sarebbe alla base dell’interpretazione dei sogni e delle immagini simboliche dell’uomo moderno.  Jung nella sua ricerca parla di archetipo , e di immagini archetipiche. E’ nell’inconscio collettivo che si trovano gli archetipi e le immagini archetipiche da essi modellate. Gli archetipi per Jung sono di per sé irrapresentabili, i loro effetti si ripercuotono nella coscienza come immagini archetipiche consistenti in schemi o temi dominanti universali, che originano dall’inconscio collettivo e costituiscono i contenuti fondamentali delle religioni, dei miti, delle leggende e delle favole.  Il mito non è l’archetipo in sé, ma ha origine da questo, è il prodotto del suo operare. Nell’opera  “Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia” Jung sostenne che la degradazione di intensità della coscienza e del livello di attenzione corrisponde allo stato di coscienza primitivo in cui dobbiamo cercare la fonte di formazione dei miti. E’ probabile che gli archetipi mitologici siano sorti in maniera simile  a quella in cui oggi si producono le manifestazioni archetipiche nei sogni, nelle fantasie psicotiche. Per l’uomo primitivo, coscienza e inconscio si sovrappongono, e i fenomeni naturali mitizzati, non sono allegorie di quegli avvenimenti oggettivi, ma piuttosto espressioni simboliche dell’intenso e inconscio dramma dell’anima  il quale diventa accessibile alla coscienza umana per mezzo della proiezione sui fenomeni naturali. E questo processo di proiezione è visibile nella schizofrenia dove i contenuti inconsci varcano la soglia della coscienza , e assumono un carattere arcaico mitologico e quindi una “luminosità. La numinosità, dice Jung, è sottratta alla volontà cosciente, perché traspone il soggetto in uno stato di emotività, cioè di abbandono privo di volontà.

I miti sono inestricabilmente  legati alle sensazioni , ai comportamenti, ai sogni , se compaiono delle forme mitiche, in uno di questi ambiti, ne veniamo attratti e affascinati, per il potere che hanno sulla coscienza e di fronte a queste immagini dobbiamo fermarci e capire. Esercitando un po’ più di consapevolezza e apprendendo come funzionano  i miti, possiamo aiutarci ad avere senso per noi stessi. Le nostre vite individuali, anche se si svolgono in un eterno presente , sono collegate a quelle degli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi.

Attraverso la mitologia Jung, ha letto il vissuto della schizofrenia, e non solo, ha meglio decifrato l’accadere psichico dell’essere umano. Il mito non è solo legato agli stati psicotici, ma è presente nell’accadere psichico di ognuno. Nel caso in cui ci sia una coscienza più vigile, un Io saldo, i contenuti depongono la loro corteccia mitologica , si personalizzano e, entrando nel processo di adattamento che si verifica nella coscienza , si razionalizzano, tanto che diventa possibile un confronto dialettico. Se i contenuti mitologici provengono da archetipi collettivi, è “importante  riuscire a distaccare i contenuti mitologici della psiche collettiva dagli oggetti della coscienza e consolidarli come realtà psichiche al di fuori della psiche individuale “ come afferma Jung, in “Psicologia dell’inconscio”. Distinguere, differenziare è il compito della coscienza, il passo successivo è quello del prudente rispetto  verso le immagini e le potenze sconosciute che sono emerse, e non è detto che la coscienza, quella coscienza, sia in grado di sostenere l’irruzione dell’inconscio nella sua portata mitologica. Nel consentire agli elementi inconsci di divenire coscienti, risiede il processo di trasformazione verso una modificazione della personalità. Naturalmente , da parte del terapeuta il materiale mitologico va maneggiato con cura , in quanto il rischio di fascinazione e di inflazione del paziente è elevato.

Per comprendere l’importanza del mito nella psicologia umana, è importante capire la teoria di Jung riguardo al complesso, all’archetipo, al simbolo.

Jung parla di complesso a tonalità affettiva che si manifesta attraverso rappresentazioni, come fattori specifici di disturbo del normale decorso psichico. I disturbi sono di natura intrapsichica e provengono da una sfera che si trova al di fuori del controllo oggettivo della coscienza e si manifestano quando è abbassata la soglia dell’attenzione. In “ tipi psicologici” , Jung dice :” Alcuni complessi sono staccati dalla coscienza perché questa preferì liberarsene rimuovendoli. Ma ci sono altri complessi i quali non sono mai stati nella coscienza , e che perciò non hanno mai potuto essere rimossi  arbitrariamente. Essi scaturiscono dall’inconscio collettivo e inondano la coscienza  con le loro strane e incrollabili convinzioni ed impulsi. Nell’opera “ Gli archetipi e l’inconscio collettivo” Jung  specifica che l’inconscio collettivo corrisponde alla parte più profonda del mondo psichico e non è di natura individuale ma universale , in quanto si esprimerebbe con comportamenti che “ cum grano salis” sono gli stessi dappertutto e per tutti gli individui”. Ciò che Jung definisce come “ archetipo”.  I complessi a tonalità affettiva fanno parte dell’inconscio personale, mentre gli “archetipi” fanno parte dell’inconscio collettivo.

L’attività simbolica dell’archetipo, Jung la scopre nello studio delle culture antiche, nel pensiero primitivo, nel mito, nelle fiabe, nelle leggende. Jung trovò conferma di certi parallelismi con il pensiero primitivo quando osservò gli usi e costumi degli Elioni, durante un periodo passato con una missione antropologica in Kenia.  Nell’individuo l’espressione tipica dell’archetipo la si scopre nei sogni e nelle visioni individuali.

Dall’analisi di questi contenuti dell’inconscio e del grande materiale mitologico a sua disposizione Jung arrivò anche alla definizione del concetto di simbolo come mediatore, come ciò che unificava gli opposti della coscienza e dell’inconscio. Il simbolo era un’immagine che, da una parte, costituiva una manifestazione dello sfondo psichico primordiale non ancora plasmato razionalmente e, dall’altra, era partecipe della realtà cosciente. Jung vide il simbolo come un’espressione paradossale che tendeva a unificare il “Sì” e il “No”, comprendendoli entrambi.

Scrive Jung in “Psicologia e alchimia”: “Il simbolo non è né astratto né concreto, né razionale né irrazionale, né reale né irreale. Esso è sempre l’uno e l’altro”.

In definitiva potremmo ritenere che il mito e la sua simbologia, sia esemplificativo dell’accadere umano e dei tumulti dell’anima, per tale motivo il suo utilizzo nella psicoterapia analitica si configura non solo in termini esplicativi della sofferenza ma anche nella possibilità di fungere da faro nella navigazione del percorso terapeutico o almeno di quella psicologia del profondo che mira a raggiungere ed esplorare le cause prime del disagio emotivo al fine di addivenire a quello che Jung definiva processo di individuazione ossia: divenire ciò che si è.

E a tal proposito aggiungerei inoltre che in questo risiede il fine ultimo della crisi, intesa come turbamento, sisma emotivo: ossia farci cambiare rotta…farci divenire quello che siamo.

Bibliografia:

  • Gli archetipi e l’inconscio collettivo C.G. Jung  ed. Bollati Boringhieri, 1936
  • La psicologia dell’inconscio  C.G. Jung  ed. Newton, 1911
  • L’uomo e i suoi simboli C. G. Jung ed Tea, 1967
  • Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia  C.G. Jung e K.Kerènyi ed.Universali Bollati Boringhieri, 1942
  • Psicologia e alchimia C. G. Jung ed Bollati Boringhieri, 1944
  • Tipi psicologici C.G. Jung ed. Newton,1921