Autore: Dott.ssa Francesca Broccoli

 

Crisi

Termine quanto mai inflazionato di questi tempi. Non passa giorno in cui i giornali, le televisioni, le trasmissioni, i politici, le istituzioni e gli stessi cittadini “comuni” non pronuncino almeno una frase che contenga la parola crisi. Sembra che tutto sia in crisi: la società, l’economia, la famiglia, i giovani, gli uomini (ma anche le donne!), il lavoro, la morale, la religione…e sembra che tutto ciò che è in crisi sia in sfacelo, sull’orlo di un crollo difficilmente recuperabile. E’ davvero così? Proviamo ad ampliare un po’ l’orizzonte dello sguardo che adottiamo quando pensiamo al tema della crisi.

Il termine crisi trova le sue origini nella lingua greca (Krino) e significa separare, dividere, cernere e anche scegliere, valutare, giudicare. Dunque l’attribuzione di significato socialmente condivisa che conferisce alla parola crisi una connotazione esclusivamente negativa appare riduttiva e incompleta.

Ma cosa sono le crisi? La psicologia si è ripetutamente occupata di crisi e molti autori le hanno analizzate, approfondendone aspetti diversi. Racamier (in “La crisi necessaria. Il lavoro incerto”, di Racamier e Taccani, 2010) propone una definizione interessante: “crisi è un processo specifico e globale di cambiamento consecutivo ad una rottura di un equilibro anteriore e con un risultato più o meno aleatorio”.

Di cosa ci informa la definizione di Racamier? Innanzi tutto le crisi sono definibili come processi, cioè avvengono nel tempo, hanno un loro svolgimento che contempla un inizio, uno sviluppo e un termine. Possiedono una dinamicità. Non sono situazioni immutabili, statiche, rigide e uguali a se stesse. Tale dinamicità da una parte le rende non prevedibili, non ben “maneggiabili”, non inquadrabili in modo definitivo, quindi forse più angoscianti e minacciose, ma da un’altra le sgrava dalla pesantezza dell’idea che siano tunnel senza fondo, immodificabili, irrisolvibili e da quel senso di “trappola senza via d’uscita” che possiamo percepire mentre attraversiamo una crisi importante.

Inoltre, ci dice Racamier (ma anche, in parte, la nostra personale esperienza probabilmente), abbiamo a che fare con il cambiamento, con la rottura di un equilibrio e il tentativo di trovarne un altro.

Quale tipo di cambiamento può aver luogo durante un processo di crisi? Dipenderà certamente da che tipo di crisi stiamo attraversando, dalla fase del ciclo di vita in cui ci troviamo, dalla capacità che abbiamo di fra fronte e reagire ai fenomeni stressanti e da molti altri fattori, ma di certo non sempre si tratta di un cambiamento visibile, come non sempre le trasformazioni ci conducono ad un cambiamento interno.

Esistono crisi “prevedibili” legate a passaggi tradizionalmente e socialmente attesi (l’inizio della scuola dell’obbligo, l’ingresso nel mondo del lavoro, il matrimonio, la nascita di un bambino, il pensionamento, la morte di un genitore, ecc.), cosiddette “normative”, le crisi completamente inaspettate e dirompenti (come un grave incidente che ci rende invalidi, un licenziamento inatteso, una malattia cronica diagnosticata ad un nostro caro e così via) che producono un vero e proprio stato di shock. Esistono poi anche crisi legate alla vita di interi gruppi, famiglie, comunità (le crisi socio-economiche appunto, ma anche episodi di violenza, terrorismo, guerre).

Al di là di come si possono definire e classificare tipi diversi di crisi, ciò che le caratterizza trasversalmente è che:

  • non si può sapere come il processo si evolverà e questo aspetto rende ragione del tormento e della fatica che si percepiscono;
  • da una crisi (cioè da un reale processo di crisi e non da uno stato di urgenza o da uno scompenso momentaneo) non si torna indietro, non si torna esattamente come prima, perché necessariamente la crisi conduce a una organizzazione diversa;
  • l’organismo (individuale o sociale) che va in crisi ed è in grado di affrontarla ha delle risorse, dispone di un certo bagaglio che viene sì messo in discussione, ma è anche la piattaforma su cui il soggetto potrà lavorare per trovare un nuovo funzionamento.

Dovremmo tutti, e a giusto titolo, poterci ritenere “esperti” in fatto di crisi, quanto meno per quanto riguarda le nostre crisi. Tutti, infatti, abbiamo attraversato almeno qualche crisi di vita, qualche passaggio particolarmente critico e trasformativo, qualche fase di impegnativa revisione e messa in discussione di qualche nostro progetto, aspettativa, modalità relazionale e/o cognitiva. Eppure nessuno si sente esperto in fatto di crisi, nessuno si sente competente e preparato,anche se potrebbe aver appreso qualcosa di molto arricchente dalle esperienze vissute. Non necessariamente aver appreso qualcosa significa aver trovato delle soluzioni universalmente utili, quelle non esistono, ma può voler dire aver imparato a conoscersi in un tempo di incertezza, aver trovato un modo per stare in contatto con sè in un periodo di attesa, di ansia, di paura e aver cercato che cosa in quel periodo ci ha aiutato, che cosa ci ha fatto bene e che cosa no. Quali luoghi ci hanno fatti sentire accolti, quali suoni, quali parole, quali persone, quali strategie, quali movimenti ci hanno fatto rilassare e quali innervosire.

E’ possibile che non abbiamo ricavato nessuna conoscenza in più su noi stessi? E’ possibile perché spesso si è così concentrati a cancellare che non riserviamo nessuna energia ad analizzare, sperimentare e, infine, a “rendere grazie” in qualche modo a ciò che quella fase ci ha lasciato.

Si tende ad archiviare il più velocemente possibile qualsiasi forma di esperienza critica, senza soffermarsi nemmeno un attimo a vagliarne il lascito e a raccoglierne l’eredità. Tendenza che non riguarda solo gli individui, ma la società nel suo complesso e anche le scienze. In parte è assolutamente comprensibile voler prendere le distanze da ciò che ci fa soffrire e ci tormenta, ma ci dovrebbe essere sempre la capacità di integrare le ambivalenze nei nostri percorsi di vita.

In linea generale, cosa può aiutarci durante una crisi?

  • il tempo perché, come dice Racamier, nel tempo il nostro Io lavora;
  • la tolleranza al cambiamento e la messa in discussione della propria identità;
  • la capacità di separarci da qualcosa per investire su qualcos’altro, la capacità di elaborare una perdita e un lutto perché in ogni crisi c’è qualcosa che si perde prima di conoscere che cosa si trova;
  • chiedere aiuto: il solo fatto di vedere riconosciuto il proprio dolore e la propria fatica è terapeutico, inoltre veder restituito un senso e un significato a ciò che si sta vivendo e che sembra privo di direzione e possibilità è certamente importante.

Le crisi dunque rappresentano delle svolte cruciali nelle nostre esistenze, snodi essenziali della nostra vita psichica. Quando nuovi compiti di sviluppo o nuove necessità psichiche si affacciano, ecco che i nostri consolidati meccanismi di funzionamento vacillano ed è necessario identificare e mettere in gioco modalità di adattamento più funzionali, più creative, adeguate alle richieste attuali. Ecco allora che prende avvio un processo di crisi in cui non siamo solo vittime o disarmati spettatori, ma possiamo, dopo il disorientamento e la sensazione di non farcela, esplorare le nostre risorse e vivere un tempo che è sì incerto, ma anche potenzialmente innovativo e maturativo.