Autore: Barbara Bellini

in Figure Emergenti – Rivista della Scuola Gestalt di Torino Num. I, 2 Aprile 2013 (http://www.scuolagestaltditorino.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/08/Figure-Emergenti_aprile20131.pdf)

 

Poiché l’aggressività sessuale è già stata tematizzata nell’articolo precedente, ora riprendiamo questa chiave di lettura aperta da Mariano Pizzimenti e ci concentriamo sulle forme e funzioni dell’aggressività orale, osservando quando si presenta come una modalità funzionale di interazione con l’ambiente e quando invece blocca la crescita, implica una rigidità del corpo, soffoca l’autonomia dei singoli e priva la coppia di aggressività sessuale.

Partiamo dalla bocca e vediamo a cosa ci serve nelle nostre relazioni col mondo.Quando abbiamo un momento di perplessità, automaticamente ci portiamo un dito o un oggetto, di solito la penna, alla bocca: sono momenti di pausa rispetto al flusso di ciò che accade in cui lasciamo emergere il bisogno di un sentire che ci orienti. Giusto o meno, il sentire è un primo movimento nell’ambiente, necessario per identificare e alienare ciò che vogliamo. Nell’innamoramento, ad esempio, il bacio rappresenta la prima manifestazione di affetto, poiché con esso riproponiamo la nostra primitiva modalità di relazionarci all’altro. Solo finchè si prova amore, scrive Lowen, si può baciare: quando il sentimento viene meno, quest’atto non è più possibile, anzi, genera disgusto. Dunque la bocca ci serve da un lato per esplorare e orientarci nell’ambiente e dall’altro per nutrirci fisicamente ed emotivamente. L’intenzionalità di contatto dell’aggressività orale è raggiungere un contatto immediato per poter rilassare dei bisogni e sentimenti profondi, legati alla “fame”. Il tipo di relazione che attiva si incentra sul mio bisogno dell’altro, sulle modalità Es del campo e sulle regolazioni implicite e corporee. Infatti, è vero che io posso verbalizzare esplicitamente una “pretesa”, ma è il linguaggio del mio corpo a renderla l’unica forma possibile per l’altro. L’aggressività dentale e anale, invece, presuppongono una maggiore differenziazione degli individui e le funzioni Io del contatto: l’attivazione delle funzioni io sostiene la capacità di trasformare l’ambiente e i nostri bisogni per scoprirci parte di una gestalt più evoluta. Forse i nostri bisogni orali di un contatto immediato che ci rilassi non saranno soddisfatti, ma certamente la percezione del nostro corpo, dopo la lotta, la contrattazione e il reciproco riconoscimento (parziale o totale) sarà quella di un corpo più grande in grado di prendersi cura di sè. Un corpo che ha avuto il coraggio di allargare i confini di contatto per portare pienamente se stesso, con dignità e integrità, senza perdere l’altro. Vuol dire stare con la percezione dell’altrui diversità, che ci parla di noi, del nostro rapporto con l’ignoto, della nostra solitudine, di temi come l’incomprensibilità, la separazione e la morte. Accettare la fame significa entrare in contatto con queste esperienze profonde, come già teorizzava Melanie Klein rispetto al bambino nei primi mesi di vita.L’aggressività orale ha un legame molto stretto con l’energia creativa, ma da sola non basta: per realizzare dei progetti abbiamo bisogno di altre forme di aggressività oltre a quella orale (respiratoria, dentale, anale, sessuale, vedi articolo sopra) oltre che di ambienti (coppie, aziende, famiglie..) che ci sostengano a sviluppare e soprattutto a mantenere nel tempo delle direzioni di vita.

Soprattutto in questa generazione in cui il sentire è più “liquido”, abbiamo bisogno di ambienti “oikos” (setting terapeutici, l’abbraccio di un amico, la presenza della famiglia, la condivisione con il partner) in cui possiamo respirare, rilassarci ed entrare in contatto con le nostre sensazioni per poter dire “chi siamo e cosa vogliamo dall’altro”. La fame si definisce meglio, diventa richiesta chiara, contrattabile e quindi occasione di crescita. Può aprire percorsi esistenziali e reti relazionali nutrienti.

L’aggressività orale in una coppia può essere un sostegno per il suo sviluppo nelle fasi iniziali del suo ciclo vitale, per i temi profondi dell’intimità, conoscenza, bisogno, nutrimento, oppure in momenti particolari, quando prevale la corporeità o, come dice Stern, il bisogno di intersoggettività. Gli sguardi e i gesti che colpiscono il cuore sono spesso carichi, oltre che di aggressività sessuale, anche di aggressività orale, perché sono movimenti attraverso cui chiamiamo l’altro ad un contatto intersoggettivo profondo.

La bocca implica una relazione con l’altro molto intima, sul piano fisico ed emotivo, per il suo collegamento con la fame (il senso di aver “bisogno”). Le labbra, ad esempio, sono legate alla seduttività, che è una forma di potere con cui attiriamo l’altro per vari scopi (non necessariamente manipolatori): per incontrarlo nell’anima, per ricavare piacere, in generale per ottenere qualcosa di cui abbiamo bisogno. L’aggressività orale è molto viva quando sperimento l’impazienza di vedere la persona amata, o quando vivo una passione per qualcosa che “mi divora”, quando l’amore per un figlio e per la sua bellezza è così intenso che gli diciamo: “Ti mangerei!”. Lo sfondo da cui nasce l’aggressività orale è un “eccesso di amore”, col segno più (passione cieca) o col segno meno (deprivazione).

Anche nella sessualità la bocca ha una funzione molto importante nel dare e ricevere godimento e nel creare l’intimità: ha una relazione strettissima con l’aggressività sessuale che può inizialmente essere creata grazie a forme orali di contatto con l’ambiente, ma presto si spegne o si trasforma in dipendenza se non esistono altri tipi di movimento e di aggressività nella coppia. Non sempre il piacere sessuale è sinonimo di intimità.

Dunque, l’aggressività orale è una forma di orientamento (mi porto la mano alla bocca: che succede?), di esplorazione (conoscenza intima), di potere (bacio l’uomo che amo e lo voglio chiamare a me). Blocca l’aggressività sessuale quando è l’unica modalità di funzionamento del campo e impedisce la differenziazione necessaria per crescere. Se il desiderio di intimità nasce unicamente dalla fame e dal bisogno e non da un’esistenza piena, allora difficilmente si creeranno le condizioni per uno scambio libero.

Ciò accade quando la fame richiama nei partner angosce specifiche, ad esempio, legate per un partner alla solitudine, all’abbandono, alla mancanza, al bisogno di trovare se stessi, ecc. e per l’altro, magari, legate all’essere fagocitato o soffocato. Sono le nostre paure più antiche. Ma se la coppia, con le sue risorse, riesce a trovare il sostegno per conoscerle, amarle e condividerle il senso della “morte” si trasforma in rinascita. La fame è una benedizione per la creatività della coppia, ma se non crea condivisione può anche far crescere isolamento ed estraneità.

L’aggressività orale è uno dei modi in cui teniamo legato l’altro ad un nostro indefinito bisogno negandogli il diritto di libertà e rinunciando al contempo al nostro stesso valore: questo ci serve per evitare la percezione dolorosa della nostra più intima solitudine. Pretendere, lamentarmi, arrabbiarmi o aspettarmi che il partner faccia come voglio diventa un modo per evitare di sentire il vuoto. A quel punto è indifferente il cibo che mangio, in primo piano c’è la necessità di “prendere e riempire”. Non ho più libertà perché dipendo dall’altro per i miei bisogni.

Prevale la paura, viene meno il coraggio necessario per esercitare un’aggressività orientata allo scambio. In queste situazioni d’ansia usiamo la bocca per tranquillizzarci anche se questa aggressività orale inibisce altre possibili forme di contatto con l’ambiente: è il caso di chi mangia molto e voracemente, fuma una sigaretta dietro l’altra, non può fare a meno delle caramelle, impara a memoria la spiegazione e vuole impossessarsi delle idee, valori o atteggiamenti altrui senza la capacità di differenziarsi per autoconoscersi. Nei casi estremi entriamo nell’area degli eccessi e delle dipendenze (alcol, droghe, promiscuità, fitness, disciplina, spiritualità e macrobiotica, ecc.). Nell’esistenza dell’individuo, se la fame non si trasforma in progetto di vita che alimenta la nostra anima, allora gli eccessi sono un modo per sentire vivo il corpo e provare un sollievo, o una qualche sensazione, qualsiasi sia.

Nelle relazioni, la funzione io è compromessa, la persona fa in modo che sia l’ambiente a venire verso di lei e soddisfare i suoi bisogni senza un’azione diretta su di esso. La persona non chiederà all’altro affetto, ma cercherà di ottenerlo attraverso forme più manipolatorie. Oppure attiverà una richiesta di amore che in realtà è ambivalente in quanto non ammette che un’unica forma di risposta. È una domanda falsa, che nasconde la pretesa che l’altro sia come non è, può essere nella coppia una forma di violenza e di negazione della libertà molto forte.

L’altro, infatti, ha il diritto di regolare le distanze e rifiutare le nostre richieste, pur stando nella relazione. Le persone cambiano nel tempo e hanno bisogno di momenti di riflessione. Questo, per la coppia, significa acquisire una difficile competenza nello stare insieme nei momenti di crisi.

Queste difficoltà relazionali emergono, ad esempio, quando si passa dalla fase dell’innamoramento a quella della familiarità. Ora il compito è quello di accettare la “bruttezza” o il limite del partner (o della vita) che altro non sono se non lo specchio delle nostre paure. Quando la paura del corpo dell’altro viene riconosciuta e condivisa aumenta l’intimità, torna il potere e si risveglia l’eros.

Eros e morte sono legati. Con “morte” intendo l’esperienza del “sentirsi” dinanzi all’inaffrontabile, al più forte di noi, come può essere la morte di un nostro caro, il venir meno di un legame profondo, o più semplicemente in quei piccoli momenti quotidiani in cui sperimentiamo l’esperienza di un’ingiustizia, dell’umiliazione, dell’essere invasi, della perdita del nostro valore, o la paura della solitudine. Quando queste emozioni entrano nella coppia possono assumere molte sembianze, ad esempio un disturbo nella sfera sessuale (impotenza, frigidità, eiaculazione precoce, ecc.). L’esperienza di questi “momenti estremi”, quando si trasforma in condivisione, può essere un’occasione per l’intimità della coppia. Sapere che la “morte” nella relazione con l’altro tiene sempre in incubazione nuova vita e nuove possibilità, anche quando la propria esistenza è arrivata all’osso, vuol dire poter rilassare il confine di contatto. La morte rappresenta un rischio reale, ma anche il teatro delle nostre ferite e paure (di essere manipolati, invasi, soffocati, umiliati, svalorizzati, di rimanere soli, ecc). Vedere e amare le reciproche ferite è un balsamo per la vergogna, vuol dire uscire da un clima di pretesa, dipendenza, dal senso di essere vittime di una situazione ingiusta, di certo diversa da quello che ci aspettavamo nell’innamoramento e riacquistare il proprio senso di ground e di potere: il campo si riempie improvvisamente di rinnovata eccitazione e aggressività sessuale.

Senza la pazienza di attendere che le differenze si mescolino creando prospettive nuove, senza la fluidità dei ruoli in cui ci possiamo permettere di essere in certi momenti piccoli e bisognosi e in altri grandi e accudenti, l’ambiente diventa un latte caldo che non necessita masticazione. Per nutrirci è sufficiente che lo mandiamo giù così com’è, anche tutto d’un fiato, al limite senza neanche guardare; basta ciucciare per colmare un bisogno di nutrimento che può essere molto grande, ma di certo è poco differenziato e quindi rischia di inaridire profondamente la relazione, privarla della sua linfa vitale e creativa, oltre che far del male a noi stessi.

In sintesi, l’aggressività orale può essere un’ottima forma di relazione con l’altro che ci consente di conoscerlo da vicino, di costruire l’intimità, di orientarci quando le situazioni non sono chiare, di avere una conoscenza più rapida e talvolta semplificata del campo, di entrare in contatto con la creatività, di creare piacere e sviluppare l’eccitazione. La fame si può trasformare in talento per i singoli e in benedizione per l’intimità delle coppia.

Tutto ciò è una risorsa per lo sviluppo dell’aggressività sessuale dove in primo piano non sono gli individui, come nell’aggressività orale, ma il sé; i bisogni non appartengono più solo ai singoli perchè sono generati dal loro contatto, nel contatto si mescolano e trasformano le persone: è il cosidetto “modo medio” (vedi Teoria del Sé, Spagnuolo Lobb, 2011). Quando l’aggressività orale diventa l’unica nostra modalità di relazione, allora smettiamo di vedere l’altro, di rischiare l’incontro, di sentire il gusto di ciò che mangiamo e la carica erotica del contatto.

Il sostegno che ci serve sta nello sfondo. Uno sfondo ricco e nutriente, infatti, ci consente di essere autonomi e quindi affrontare la paura e il rischio di perdere l’altro quando la coppia si avventura nella polis (torneremo a casa? di quali contatti ci nutriremo? Quanto ci allontaneremo? Come cambieremo? ci riconosceremo?). Però tutto ciò accresce anche l’eccitazione e mantiene viva la coppia. Autonomia e intimità sono le gambe su cui si regge la coppia (Salonia, 2004). Mentre inizia un nuovo giorno e sulla porta di casa ti saluto posso sentire il peso, il desiderio, l’eccitazione di tutto ciò che ci separa e poi, forse, ci riunirà.E allora faccio a me stessa la domanda più difficile: sono pronta oggi per amare la separazione e la morte che di ogni momento della vita e delle relazioni è sempre l’ombra?

BIBLIOGRAFIA

  • Salonia G., Sulla felicità e dintorni. Tra corpo, tempo e parola, Argo Edizioni, 2004, Ragusa.
  • Spagnuolo Lobb M., Il now for next in psicoterapia, Franco Angeli, 2011, Milano.