Autore: Monica Prato

in Figure Emergenti – Rivista della Scuola Gestalt di Torino Num. I, 2 Aprile 2013 (http://www.scuolagestaltditorino.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/08/Figure-Emergenti_aprile20131.pdf)

 

La co-conduzione di una seduta di coppia comporta una maggiore complessità nella struttura del setting rispetto a quanto avviene in un colloquio terapeutico tra due persone.

Se nella terapia individuale le dinamiche transferali si risolvono all’interno di un binomio (pazienteterapeuta), nel lavoro condotto da una coppia di terapeuti con una coppia di persone, le stesse si moltiplicano in articolati intrecci disposti su livelli relazionali diversi.

Volendo farsi aiutare da un calcolo matematico potremmo dire che all’interno della stanza di terapia saranno presenti almeno quattro IO, quattro TU e dodici NOI, per un totale di circa venti livelli relazionali diversi. Ovviamente questa è una semplificazione che però ci permette di vedere la molteplicità delle interazioni presenti nel campo.

Cosa succede poi quando la coppia di terapeuti è una coppia anche nella vita?Se è vero che come coppia di terapeuti occorre trovare un modo per lavorare insieme rispettando bisogni e tempi di ciascuno mantenendo saldi ruoli e specificità individuali, quali sono i rischi/pericoli ma forse anche i vantaggi da tenere in considerazione?

L’annoso problema della gestione del confine tra il personale e il professionale diventa in una situazione come questa particolarmente evidente: il rischio di inquinamento è altissimo, ancora di più in un approccio come il nostro che struttura parte del lavoro partendo dai vissuti controtransferali del terapaueta.

Come può per esempio la coppia di terapeuti condurre una seduta, se sta affrontando un conflitto nella propria vita privata? E’ possibile portare quest’esperienza all’interno del lavoro, in un approccio in cui il terapeuta non sta dietro le quinte, ma alla ribalta a tu per tu con il paziente oppure è meglio tenere fuori dal setting l’eventuale ostilità in atto?Ma anche scegliendo la non condivisione, come gestire umori e sentimenti rivolti al proprio partner che all’interno dell’incontro terapeutico veste i panni di co-conduttore?

Durante lo spazio mensile di intervisione di gruppo abbiamo cercato, partendo da un caso clinico, di delineare alcuni aspetti del lavoro di co-conduzione in terapia con le coppie, ponendo le questioni sopra emerse a due colleghi uniti nel lavoro ma anche nella vita, sperimentando nel qui e ora del nostro incontro la delicatezza e la complessità dell’argomento.

Il punto di partenza da cui si è sviluppato il primo confronto è stata la questione del ritmo e della sintonizzazione della coppia terapeutica.Se non c’è armonia nello scambio di conduzione, non è possibile sostenere le persone nel percorso di crescita che hanno intrapreso. I due terapeuti si alternano nella conduzione della seduta intervallando momenti in cui chi porta avanti in prima linea il lavoro è sostenuto dal co-conduttore che rimane sullo sfondo e presta attenzione alle dinamiche in gioco in quel momento il quale a sua volta può emergere e riprendere le redini del lavoro partendo da ciò che ha osservato e permettendo al primo di andare sullo sfondo.

Questo duplice incastro, che vede l’alternarsi di due persone diverse, favorisce la costruzione continua di una “posizione figura” e una “posizione sfondo” che intrecciandosi creano la trama dell’incontro. Per permettere la fluidità di questo scambio il terapeuta deve aver imparato ad affidare all’altro il proprio lavoro, fidandosi del fatto che qualunque strada il collega sceglierà di intraprendere sarà quella giusta per quella seduta e per quel momento.

“Perché ci sia un contatto, è necessario che una figura si stacchi dallo sfondo organismo/ambiente. Questa figura costituisce la dominanza – momentanea – del campo e attinge i suoi poteri energizzanti sia dal bisogno sia dall’energia dell’organismo come possibilità e risorse dell’ambiente” (Jean –Marie Robine, Il rivelarsi di Sé nel contatto, Franco Angeli).

La dominanza della figura è momentanea cioè temporanea e provvisoria.E’ una fase del processo, che lascia presto il posto a una nuova figura e un nuovo sfondo.Lasciare il controllo, la dominanza e fidarsi dell’altro non è un lavoro da poco però, soprattutto se consideriamo l’ambiente in cui lo scambio avviene.“L’esperienza si svolge in un campo, piuttosto simile a un campo elettrico, carico di sollecitazioni: ovvero volontà, bisogni, preferenze, brame, desideri, giudizi e altre espressioni o manifestazioni dell’essere” (F. Perls, R.F. Hefferline, P. Goodman, Teoria e pratica della Terapia della Gestalt, 1997, Astrolabio).

In una dimensione così eccitante, le spinte che ne derivano possono portare la coppia di conduttori a perdere solidità e a irrigidirsi su proprie e personali posizioni. La conduzione può trasformarsi così in un gioco di potere, in cui la sfida e la competitività prendono il sopravvento sull’euritmia dello scambio fatta di sguardi e di ascolto. Nella sterilità di questo spazio possono ancora di più intervenire vecchie dinamiche presenti nella coppia di conduzione soprattutto se ci sono sospesi nati al di fuori del setting.

Il noi della conduzione può quindi frammentarsi portando alla ribalta le individualità senza possibilità di scambio e di incontro. “Il momento del lavoro è un momento in cui ti riconnetti come coppia. Sei obbligato a guardarti, ascoltarti, ri-sintonizzarti. Il lavoro con le coppie è parallelo al lavoro che noi facciamo con noi. E’ uno dei motivi per stare insieme, è uno spazio per noi, il lavoro è un momento del noi. Un momento creativo, non ripetitivo”.

La testimonianza dei due colleghi presenti all’intervisione, ci permette di indagare ulteriormente la complessità del tema. La costruzione di un ponte comunicativo è nel campo. La coppia di terapeuti con la sua esperienza fa da specchio alla coppia di pazienti. La ricerca di un contatto, di un motivo per stare insieme, di un nuovo e rinnovato “noi”, permette di abbandonare posizioni individualiste e di andare verso l’altro per ritornare a se accresciuti, ricchi, ampliati di nuove esperienze.

“Senza l’intervento dell’altro, la situazione è senza uscita; senza la generosità di quest’altro, senza il suo dono, un indispensabile che deve divenire presto “dispensabile”, l’impasse resta. Tale è la presenza dello psicoterapeuta. Tale è il divenire dell’incontro terapeutico” (Jean –Marie Robine, Il rivelarsi di Sé nel contatto, 2006, FrancoAngeli).

Allo stesso modo nella co-conduzione l’altro è visto come un dono dispensabile, di cui si può fare a meno ma che in quel momento diventa necessario.