Autore: Maria Grazia Fiorini

in Figure Emergenti – Rivista della Scuola Gestalt di Torino Num. III – Aprile 2012 (http://www.scuolagestaltditorino.it/wordpress/wp-content/uploads/2011/08/Newsletter-MOD23.pdf)

 

Il tema del convegno di quest’anno mi è particolarmente caro. Da anni, nel mio lavoro come psicoterapeuta, vedo I corpi “urlare” richieste di aiuto, che le persone non sanno sentire.

Dall’esterno può apparire tutto chiaro, spesso non è necessaria alcuna lettura interpretativa tanto è evidente il senso del sintomo che la persona marra….ma la tendenza più diffusa è mettere a tacere il corpo. Mal di testa sopiti con analgesici, dermatiti curate topicamente, …per ogni sintomo una medicina.

La soluzione si fa più complessa quando i sintomi abbracciano la sfera sessuale, perché può risultare difficile trovare la giusta pillola da assumere, ma ancora una volta è difficile, rilevo, accettare che il corpo non sia la causa ma il mezzo comunicatore di un disagio.

La complessa interazione tra la chimica del nostro corpo ed i vissuti è un concetto troppo astratto per essere in figura. Noi “ascoltiamo” i pensieri- e gli introietti spesso la fanno da padroni- ma quando si tratta di ascoltarci più globalmente, quando per comprendere il nostro disagio dobbiamo passare dall’ascoltare al “sentire” accade qualcosa.

Mi sono molto interrogata su cosa accada realmente. Perché sia così difficile legittimarci nell’ascolto integrato delle nostre diverse parti.

La prima risposta che mi sono data puntava il dito sull’educazione: quanto educhiamo i nostri bambini all’ascolto del corpo? L’atro giorno al parco ho visto una bambina di circa sei anni, che piangeva e diceva alla mamma:

“Non so perché sto piangendo…ma mi viene tanto da piangere….”

La mamma: “Ti sei fatta male?”

Bambina: “No, altrimenti saprei perché piango….”

Mamma: “Allora smettila di piangere…vai a divertirti…non hai niente!”

Come può imparare a riconoscere cosa le accade se, giacché il fatto che non ci sia nulla di fisico, implica il fatto che non ci sia niente da piangere?

Certamente l’educazione media non sostiene l’apprendimento dell’ascolto corporeo e l’integrazione. Ma questa sola risposta non mi soddisfa, perché anche persone che per scelta hanno approfondito tematiche legate all’ascolto di sé possono apparire “sorde” alle urla del corpo.

E quindi?

Una seconda risposta addita la cultura: la nostro cultura occidentale opera una scissione tra mente e corpo per cui è difficile, ed automaticamente negato, vedere la connessione tra ciò che ha a che fare con la sfera emotiva e ciò che si trova nel corpo.

Anche questa ipotesi ha degli elementi di realtà perché sia i percorsi formativi che le specializzazioni vedono i “professionisti del corpo” scissi dai “professionisti della mente”. Così se ho un dolore al petto penserò ad un problema cardiaco e farò fatica ad accogliere la diagnosi di disturbo d’ansia, perché come mi ripete sempre una mia paziente: “…io il dolore ce l’ho davvero, mica me lo immagino!”

Tuttavia l’aspetto culturale, ancora non giustifica tutta la parte di “sordi”, e sono un gran numero, che ha scelto strade culturali che superano la dicotomia mente-corpo.

E allora?

E allora sono arrivata ad un’ultima ipotesi, che non nega le precedenti, ma completa il quadro: se noi riconosciamo al corpo la capacità di dirci come stiamo anche psicologicamente, non abbiamo più la possibilità di ignorarci. Mi spiego meglio.

Da un punto di vista psicologico, le resistenze ad accogliere una evidenza di sofferenza, ci sostengono nel mantenere quella sofferenza in una condizione di “gestibilità”. Il miglior adattamento creativo, se non sono in grado di assumermi la responsabilità del mio soffrire, può essere convincermi di non soffrire.

Quando la sofferenza è tale da manifestarsi anche con sintomi corporei, possiamo immaginare:

  • che il nostro organismo scelga la manifestazione corporea perché sa che verrà ignorata (manifestazione di resistenza)
  • che il nostro organismo stia cercando di farla emergere in ogni modo (manifestazione di necessità di superare la resistenza).

Una mia paziente un giorno mi ha detto:

“Se io credessi alle ipotesi che facciamo, ovvero che il mio vaginismo sia frutto del mio rifiutare con tutte le mie forze mio marito, non avrei scelta: dovrei lasciarlo. Ma se io continuo a credere che il mio problema sia muscolare…o che abbia a che fare con il mio passato…posso non lasciarlo…non andarmene”.

Al di là della lucidità sconvolgente di questa riflessione, la cosa che più mi ha colpita è stata l’idea che se riconosco che il corpo sta parlando, non posso più ignorarlo. E quindi non ascoltare il corpo, non ascoltarne il messaggio, è ciò che può servire a non cambiare.

Siamo abituati a “fare qualcosa” con i pensieri, con le idee, anche con le emozioni, ma quando tutti i tentativi di ignorare il problema falliscono, inizia a parlare il corpo…ed il corpo -se gli riconosciamo la capacità di parlare- non può non essere ascoltato.

La mia ultima ipotesi sulla sordità nei confronti del corpo si fonda su questo: per questioni biologiche e culturali sappiamo che il corpo è importante. Non siamo in grado, facilmente, di ignorarne i sintomi, tanto più se riconosciamo loro una valenza fondamentale per il nostro benessere complessivo. Abbiamo imparato a gestire i dialoghi interni …ma non abbiamo trovato ancora una buona strategia per confrontarci con il prepotente messaggio corporeo…se non il non crederlo un messaggio.