Autore: Dott. Stefano Virgili

 

Non facciamo gli ipocriti: tutti abbiamo PAURA DI PERDERE.

D’altronde “vincere non è tutto, è l’unica cosa che conta”. Questa è la grande convinzione occidentale grazie alla quale gli Allenatori ritengono che perdere equivalga a “fallire”: un dramma da evitare a qualsiasi costo.

Per molti atleti la sconfitta rappresenta un’esperienza così traumatica da indurli a non impegnarsi con costanza o addirittura abbandonare l’attività sportiva. I giocatori vengono venduti e/o comprati, gli Allenatori esonerati tramite un sms, gli atleti costretti a rimanere in panchina o esclusi da una gara semplicemente a causa di un errore, di un risultato mediocre, di un traguardo mancato, di una sconfitta.

Questa mentalità è spesso responsabile dei fallimenti degli atleti, a qualunque livello competano. Considerare l’insuccesso alla stregua di una vergogna crea ansia, tensioni e dolori che non avrebbero motivo di esistere.

Ma il fallimento non si può evitare. Anche i fuoriclasse di qualsiasi sport hanno commesso errori divenuti di dominio pubblico grazie alla potenza mediatica della società in cui viviamo.

Inevitabilmente tutti noi saremo protagonisti di vari errori e clamorose battute a vuoto durante l’arco della nostra vita sportiva e non.

“La freccia che colpisce il centro è il risultato di cento fallimenti” recita un noto proverbio orientale.

Ci si perfeziona mediante le avversità e le sconfitte. Interpretare l’insuccesso come una lezione dalla quale trarre un insegnamento: se consideriamo la sconfitta come un’opportunità per migliorarsi, diventerà più tollerabile e potremo scoprire il modo per superare l’attuale livello delle prestazioni sportive.

Quante volte dopo una sconfitta (in senso lato) abbiamo pensato: “Sono un buono a nulla! Non fa per me! Che senso ha ad insistere ancora?”

Talvolta le sconfitte hanno così danneggiato la nostra autostima a tal punto da considerare che non valeva la pena di riprovare.

I fallimenti sono lezioni per migliorare se stessi.

Sono l’unica strada a nostra disposizione per progredire nello sport (e nella vita).

Proviamo a vedere le cose così come sono, ad accettare la realtà.

Perché combattere il fallimento?

A volte siamo in buona forma psico-fisica, altre volte no: entrambi gli stati sono perfettamente naturali.

Credo che tutti noi abbiamo provato quella piacevole sensazione della vittoria in una gara sportiva, piuttosto che in un contesto aziendale o scolastico nel quale motivazione, stress, necessità di prestazione, risultati, giudizio degli altri caratterizzavano fortemente i nostri pensieri e le nostre azioni.

Finché, seppur debolmente, risuona ancora l’applauso, allora siamo OK.

Ma il vortice della competizione non si ferma mai e ci richiama ad un ennesimo processo in cui siamo costretti a metterci in gioco.

Siamo pronti ad affrontare la nuova sfida? Abbiamo la necessaria serenità per valutare le situazioni? Se perdiamo, cosa accade? Lo status creato con fatica e in parte consolidato sarà messo in discussione? Quanti Allenatori stimati, competenti (e vincenti) sono stati cacciati per aver perso tre partite consecutive? Toccherà anche a me?

Gestire le pressioni allora diventa intollerabile, ci irrigidiamo nelle posizioni che crediamo ancora vincenti, non diamo peso alle novità, non abbiamo il coraggio di percorrere una nuova strada perché riteniamo di non avere il tempo per sperimentare.

Allora sì che perderemo!

E quando succede, ciò può essere devastante poiché abbiamo investito tutto sulla quantità e sui numeri e non sull’aspetto qualitativo/innovativo.

Perciò penso che i nostri pensieri debbano essere focalizzati sul fatto che “non siamo così tanto bravi quando vinciamo e neanche così tanto scarsi quando perdiamo”. Sono due aspetti apparentemente banali che difficilmente, però, abitano nella nostra mente.

Se non raggiungiamo un traguardo, spesso siamo critici e severi verso noi stessi.

Ma è impossibile essere competenti su tutto e, comunque, avere costantemente successo; l’insuccesso fa parte della vita.

Nella maggior parte dei compiti, la pazienza e la costanza sono le chiavi per passare dall’insuccesso al successo.

Aspettarsi qualcosa da un risultato è l’anticamera del fallimento. Piuttosto cerchiamo ciò che davvero vogliamo fare e poi mettiamo dentro le nostre capacità per realizzarlo.

Obiettivi reali, stimolanti, realizzabili nel breve-medio periodo.

Quando usciamo vincenti da una qualsiasi competizione, qualcosa senz’altro è andato storto: bisogna comunque riflettere e ancora migliorare!

Quando, viceversa, ne usciamo sconfitti, sicuramente abbiamo fatto diverse cose positive: ricominciamo da queste!

Certo che non è semplice!

Ma dentro di noi abbiamo tutto quello che ci serve per farcela, per gestire questa affascinante compagna di viaggio: la paura di perdere.

Perdere cosa? Perdere chi?

Forse perdiamo proprio una parte di noi stessi e non siamo in grado di apprezzare il nostro effettivo splendore.

Ne vale la pena?