lettura teatrale a cura di Paolo Biribò e Marco Toloni

 

Notre vie est un voyage

Dans l’hiver e dans la Nuit,

Nous cherchons notre passage

Dans le ciel où rien ne luit.

(Chanson des Gardes Suisses, 1793)

“La nostra vita non è che un viaggio, nell’inverno e nella Notte e noi crchiamo un passaggio in un cielo senza luce” (Canzone delle Guardie Svizzere, 1793).

A – primo personaggio

B – secondo personaggio

C – terzo personaggio

A – Un fischio, tremendo, continuo, lacerante nell’orecchio destro. Poi più niente. L’ultimo rumore. Poi, due occhi profondi, intensi, penetranti hanno cominciato a fissarmi. E questa è l’immagine, ferma, che ho nella memoria. Per adesso, altro non riesco a ricordare. Eppure, quello sguardo, lo sentivo antico. Presente da sempre anche se mai visto. Dentro di me. Poi i volti si confondono, mischiati a questo fischio assurdo, che non mi abbandona. non lo voglio! è fastidioso. Ma cosa è successo? Dove sono? Perchè questo dolore continuo? perchè dentro di me questa continua voglia di piangere? Soffoco nel tentativo di ricacciare indietro questa marea calda di non consapevolezza che mi sovrasta, enorme. E non c’è niente che io possa fare. Sono bloccata, tra le lamiere delle stelle sbriciolate, che prima vedevo in cielo e che ora sono tutte intorno a me. Con quello che resta del mio tatto cerco il mio corpo. Ma non sento niente. Oddio! Cosa è successo! Dove sono! Qualcuno mi parli, perfavore! Chiunque sappia chi sono, cosa sono, cosa mi è accaduto, parli. Adesso!

Il suono muto, nella testa, aumenta. Ora stride tutto l’universo intorno a me, sommerso da questa polvere di cielo. Che strana sensazione, però, adesso. Come di un abbandono. Come di una partenza. Ecco, sto partendo, lo sento. O meglio, non sento più niente. Cerco inutilmente l’assoluzione dentro a quello sguardo che mi sento nelle viscere. E non la trovo. Ma adesso sono stanca. Tanto stanca. Troppo stanca. Devo riposarmi. Devo piangere. Devo lasciarmi andare, solo un attimo, nell’acqua chiara, trasparente che adesso vedo davanti a me. che bello questo mare.

B – Che strani rumori qua fuori. Anche prima li sentivo, ma più ovattati. Adesso, invece, sono quasi stridenti a volte. Non so, di preciso, dove mi trovo. Non riesco ancora a muovermi, o per meglio dire, non riesco a comandare i miei movimenti. Probabilmente è normale. Sono stata ferma per così tanto tempo. O forse non mi sono mai mossa. Magari se resto calma e aspetto, fra un po’ tutto tornerà alla normalità. Ma quale normalità troverò? Quale periodo del mio tempo mi accoglierà? ma io avrò mai avuto un tempo?

Conil movimento di qualcosa che sento essere me, provo ad assaggiare il vuoto intorno. E ancora aspetto. Calma. Spero. Intanto colgo con piacere tutte le carezze che mi arrivano. Anzi, a volte le chiamo. Io non so che tipo di rumore possa uscire da me, questo mio me che non capisco da dove parte, dove continua, dove finisce. Questo mio me che esiste. A prescindere. Ma mi accorgo che comunque funziona. Attira l’attenzione sempre di qualcuno. E questo per ora, mi basta.

C – Sono stata selezionata. Sarò trasferita sul pianeta Tetragon I° con il prossimo volo. Devo dire che sono fiera di tutto questo. Il risultato del mio test, qui, al centro intergalattico della Federazione è stato sopra alla media. E non ho neanche studiato molto. Ho soltanto usato la mia razionalità mischiata alla fantasia. Il corso che ho seguito questa estate è stato molto utile. si trattava di un campo estivo sulla Terza Luna di Orione. Diciamo che più che latro si trattava di sopravvivere alla noia assoluta delle pianure grigie senza fine, di cui la Luna è ricoperta. E allora studiavo. senza distrazioni. Seguivo ogni corso che ci fosse. Mi iscrivevo ad ogni aggiornamento che il Campo organizzasse. Partecipavo a tutti i convegni che la Fondazione culturale della federazione programmava. la mente doveva essere libera per sviluppare nuovi mondi. Adesso sono nel mio cubicolo. Appena sveglia. Silenzio assoluto. Non deve esserci molta gente sveglia, a quest’ora sulla Terra. Per la verità, non c’è rimasto nessuno sulla Terra. Circa trent’anni fa, all’incirca nel 3014, un virus ha sterminato 14 miliardi di persone e, in quell’anno, la popolazione terrestre era di 15 miliardi. Diciamo che un era è finita. Adesso siamo nell’era nascosta, ovvero viviamo in orbita, su varie stazioni stellari che girano intorno a quel che rimane del nostro pianeta madre. Ogni tanto scendiamo sulla nostra vecchia Luna, che adesso è completamente ricoperta di costruzioni. Un’unica città che contiene tutti i vecchi continenti del mondo. La nostra tecnologia avanzata ci ha permesso di far diventare il nostro vecchio satellite abitabile. Miscele di atomi riversate nel nucleo hanno cambiato la morfologia di questa piccola sfera, che adesso, dal finestrino accanto al mio letto, sembra una piccola perla verde. L’unico problema è la forza di gravità . è troppo piccola. La guardo e ascolto il silenzio della mia nuova terra.

A – No! Ferma! Non devo scivolare! Non devo! sarebbe tutto molto più facile. molto più facile. lo so! Tutta questa stanchezza finirebbe. Tutto questo dolore avrebbe fine. tutte queste luci, adesso. Perchè? Dentro me soltanto voglia di buio. Sonno. Riposo. Ma no! Non adesso, almeno! Non devo cadere nell’inganno dell’eterno inconscio che diventa reale, tangibile, raggiungibile. Devo tenermi stretta questa mancanza di conoscenza che mi devasta. Devo attaccarmi al mio panico che mi sta divorando. Da dentro. Devo vivere tutto questo per non cadere nel mare. Devo! Ecco! Basta!

Non riesco a spiegarmelo, ma ho questa presenza continua che mi osserva e non posso deluderla. Ma il corpo non riesce. Non riesce a reggere il dolore, intenso. Un incubo. Allora lo lascio. Per poco. Un attimo. Per un attimo cerco i miei sogni vissuti tante volte, prima che tutto questo accadesse. Frazioni di vita, spiragli che si sono aperti tanto tempo fa e che neanche ricordavo, spersi nella normalità. Tepore. Come di un bagno nell’acqua calda di una fonte termale. Me le ricordo bene le terme. Ogni anno ci vado. Anche adesso nel sogno ne sento il bisogno. Ogni volta ne esco sempre dilavata. Depurata. Ossigenata. Insomma, mi piace. Parecchio. Ho sempre pensato che fosse come un dono della terra che rendeva un po’ di stessa a noi, poveri umani, che sopra la sua crosta viviamo inconsapevoli delle ricchezze a cui non potremo mai avere accesso. Che ne sappiamo noi, delle grandi, immense profondità della natura, del cielo, dell’universo, dei mondi, che non conosciamo. Ecco, le terme io le ho sempre vissute come un sottile, tenue passaggio fra il nostro mondo e quello dell’inconoscibile, dell’inarrivabile.

L’inconscio dell’eterno che si fa reale, tangibile, raggiungibile. Placebo involontaria per il nostro male continuo di vivere. Una frazione di sogno, appunto. Un piccolo treno di montagna, con il fresco frizzante che passa dal finestrino. Una sdraio all’ombra di un albero, in mezzo al niente. La carezza del padre, la sera, prima di dormire, con l’odore del suo lavoro misto a tabacco. Ecco, Devo ricordare. Ancora di più. Di più! No! Non devo perdermi. Adesso No! Restare nel dolore per non perdere la voglia di piangere. Eppure, questa sensazione di abbandono, non mi lascia ancora completamente.

B –  Che bello! Adesso, improvvisa, la sensazione di un grande spazio blu incontaminato davanti a me. E ancora provo a muovermi ma non controllo niente di me. Eppure quando sono arrivata qui, nel luogo dove adesso mi trovo, ricordo tutto il mio essere. Comandavo ogni più piccolo movimento. Ogni sensazione che provavo aveva sempre una risposta. Ogni domanda aveva la sua soluzione. Era più una sensazione, ma esisteva. Ma adesso no. Adesso indifesa, aspetto. Posso far rumore. Posso emettere qualche rumore. Ma niente di più. Anche lo sguardo è appannato. Come se improvvisamente vedessi attraverso un liquido. Opaco. Sfuocato. Stranamente, però, tutto mi sembra normale. Deve esser così? Tutto già predisposto? Nessuna angoscia. Niente panico. Per forza deve esser così? E dentro me sento che lentamente la consapevolezza comincia a svanire. Parlo fra me e me e sempre più sto perdendo il significato di ciò che dico. Sempre più sento forte un unico desiderio. Ma ancora non capisco qual’è. Forse sto sognando. Probabilmente è così. Come potrei, altrimenti, non aver paura?

C – Comunicazione urgente!!! Improvvisamente sono stata chiamata nella sala riunione. Ci imbarchiamo subito!!! Perchè? Cosa succede? Non ci viene detto. Siamo una decina.Tutti dello stesso corso. La navicella spaziale è pronta!!! Così urgente? Smetto di farmi domande e mi preparo per partire. Anche questo l’ho imparato sulla terza Luna di Orione. Essere pronta. A qualsiasi evenienza. In fondo la mia specializzazione è questa. Le emergenze catastrofi naturali. La nostra civiltà ha colonizzato vari pianeti nuovi in nuovi universi. Ma tutto è stato fatto così, diciamo, velocemente, che non tutti i nuovi mondi sono conosciuti in maniera approfondita. Quando ero all’inizio del mio corso alla Fondazione ci fu un terremoto su Hyperion 5° che non fu possibile classificare perchè non confrontabilea niente di quello che succedeva sulla Terra (forse 100 volte al massimo grado della nostra vecchia Ritcher). Ricordo che, ancora, le squadre d’emergenza erano agli inizi e non fu possibile nessun intervento per salvare quel che rimaneva della colonia che abitava quel pianeta. In anni seguenti sono state inviate delle spedizioni soltanto per poter vedere gli effetti della catastrofe. Purtroppo, ad oggi, abbiamo soltanto il contegio dei morti. Tuttora nessuno ha capito veramente quello che è successo. Perciò, adesso, questa partenza improvvisa mi allarma. Ma non ho il permesso di farmi troppe domande. mentre preparo l’attrezzatura ripasso mentalmente tutte le procedure. Io lo so! Sarà dura!

A – E’ stato unattimo. Uno dei tanti. Come succede migliaia, milioni di volte nel mondo. Paesaggio che si confonde alle ferite. Pelle che striscia sull’asfalto. Mani e braccia che si dibattono, senza appiglio. Un precipizio sconosciuto che si avvicina sempre più. E poi il cielo che non è più al suo posto! No! Maledetto! Perchè sei sotto di me? Perchè il corpo si rifiuta di riconoscermi? Quest’attimo senza fine. Questa fine che rasenta neanche minimamente il dolore della perdita. Ecco! Questo pensiero! Devo agganciarmi a questo pensiero! Sono in un bar, seduta a un tavolino. Intorno tanta gente. Nessuno che io conosca. Allora nella calma improvvisa che mi assale mi metto ad osservare la barista. Piccolina. Morettina. Coda di cavallo. Occhi neri. Pelle chiara. Si muove agile. Caffè! Due. Uno macchiato l’altro in tazza grande. Grazie. Ecco. No lo zucchero di canna è li. Si ecco il suo pezzo dolce. Ancora? Ah no, cappuccino. La vedo distintamente. Che guarda intorno continuamente, spersa nella marea della mattina in un bar, ma non persa. Ecco. Adesso rivolge lo sguardo al collega anzi al suo capo. Eccolo lì. L’ho visto. Quello sguardo di sfida che si rivolge in silenzio a qualcuno che ci è superiore di grado ma che non sentiamo, comunque più bravo di noi. La guardo e vedo la domanda. Perchè lui e non io. Forse è arrivato prima. Forse anche lui ha passato tutto questo? No, Che io sappia no. Forse perchè è un uomo. Ok, ok, ecco il caffè d’orzo. Tutto li? Beh, io saprei fare di meglio. Di meglio! Devo fare di meglio che stare qui a ricordare. Forza! Cercali ancora quegli attimi! Non smettere! vai! Aggrappati alla portiera, mentre l’auto rotola su se stessa. Non perderti fra le ombre. Resta nella luce! Forza!

B – Adesso sto nuotando sottacqua. Sono molto brava. Nella profondità di questa realtà in cui mi trovo sto spingendo per tornare a galla. Dolcemente fluida. Tutta me confusa al tutto. Ripensandoci, deve essere stato proprio un bel tutffo. Bello. Preciso. Dritto. Sono entrata in questo liquido senza fare uno schizzo. E, adesso, soddisfatta, sto lentamente tornando su. In superficie. Per i meritati applausi.

C – L’archivio della fondazione è l’insieme di tutto quello che il genere umano è riuscito a salvare dalla catastrofe che ha reso la Terra inabitabile. Ci puoi trovare di tutto. Film, documenti, libri musica. Millenni di conoscenza. E’ un posto molto piccolo, nonostante la quantità di materiale che ci si può trovare. La miniaturizzaziuone virtuale del materiale audio/visivo ha raggiunto vette inimmaginabili soltanto pochi anni fa. Il posto, sulle stazioni orbitanti, non è molto e tutto deve essere ottimizzato al massimo. Il genere umano, nell’emergenza, riesce sempre a essere molto creativo. Durante il corso ci ho passato molto tempo. E’ vero che, pensandoci bene, è un posto che può mettere malinconia, ma è vero che ho potuto, così, sfogare la mia passione per il cinema. Sono riuscita addirittura a vedere film che neanche sapevo esistessero ancora ma di cui avevo sentito parlare, da piccola, dai miei genitori, dai miei nonni. Adesso, seduta nella mia poltroncina stabilizzata, sulla mia navicella, pronta a partire, mi infilo i miei occhiali-archivio, li accendo e le lenti, improvvisamente si oscurano. E davanti a me lo schermo si anima e parte uno dei miei film preferiti. Il viaggio sarà lungo. Ho anche dei libri da leggere. Delle foto da guardare. Ma adesso un bel film. Ancora non so di che genere. Di sicuro qualcosa di molto antico. Ecco. Un bel classico. Intanto che programmo i miei GlassTer (io li chiamo così i miei occhiali), per errore, premo comando Archivio e improvviso parte un Trailer: “Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione e ho visto i rati B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhàuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. E’ tempo di morire”. Blade runner. Un film che ha segnato il 20° secolo. o almeno così mi raccontava mio nonno.Beh in questo momento mi sembra adatto. Che cosa troverò al mio arrivo?

A – Poi, il pensiero si ferma. Probabilmente il ricordo di tutto il dopo è ancora ingombrante. Non mi entra nell’anima, al momento. Ora sento arrivare della musica. Un unico accordo. Anzi no. Sono tanti ma tutti sullo stesso tono. Sfuocati, come foto fatte al volto, senza prender la mira. Non è musica, allora!? Beh, non importa. Adesso, finalmente, riesco a . sopportare il dolore. Smetto anche di sentirmi. Il corpo c’è. Fa male. E’ vivo. Esco un attimo e torno subito. Prometto. Ho bisogno di un bagno. Solo un piccolo tuffo. Non vi lascio. Non ti lascio. Torno subito.

B – Ormai la superficie si avvicina. Che bello! Quanta luce! Chiara, profonda, calda. Il corpo si muove un po’ meglio, adesso. Ondeggio assieme alla corrente. Ed è piacevole. Rassicurante. Non ho il controllo. Ma non importa. lascio che la luce mi venga incontro. Anche se qualcosa di diverso sento che accadrà. Come una trasformazione. Un corpo. Ancora non so cosa voglia dire. Bene! Voglio provare a uscire per capire. Lo voglio!

C – Bene! Sono Pronta! Mi hanno appena avvisata. Stiamo per arrivare. Tetragon I° è in vista. Uscendo dallo spazio temporale in cui la navicella ha viaggiato per un intero giorno terrestre, ho sentito che qualcosa mi stava afferrando lo stomaco. Sarà ansia, ho pensato. Sarà l’emozione di questa nuova vita, ho sperato. Ma adesso tutto ciò a cui mi ero preparata non basta. La nostra navicella sta orbitando intorno al pianeta. Ma quello che mi aspettavo come un globo terracqueo, insomma una specie di Terra, non è più niente se non una palla di fuoco impazzita! Tetragon I° è diventato solo un enorme vulcano. Qua e la ci sono chiazze più chiare, dove ancora la Terra non si è aperta. E noi siamo arrivati per l’evacuazione e l’assistenza ai feriti. Sempre che qualcuno possa sopravvivere a quest’inferno! La nostra conoscenza ci ha portato a conoscere un po’ meglio le terre colonizzate (e a volte, come in questo caso, anche sapendo i rischi, ci siamo dovuti andare, per cer)care la nostra nuova Terra… era così simile…!!!), per questo su Tetragon  I° sono stati costruiti rifugi a prova di calore (che io sappia possono reggere fino a 3000 gradi centigradi), ed è li che andremo a cercare chi ha bisogno. Ma adesso sono pronta! All’atterraggio. Al caldo insopportabile. Allo scempio. Alla catastrofe! Per questo ho studiato. Adesso sono attrezzata, in tutti i sensi, per salvare i coloni. L’esplorazione costa vite umane. Ma è l’unico modo per progredire. Di nuovo. Dopo gli anni bui. Dopo la semplice e ossessiva sopravvivenza, adesso dobbiamo vivere. Per noi e per le generazioni a venire. Per tutto questo ho studiato. Per tutto questo ho scelto di mettere nella mia vita la vita degli altri. La vita di tutti. La vita anche di chi non conosco. E capire gli errori. E non rifarli. Perciò mi sento pronta. Perchè anche di questi tempi un’infermiera specializzata è molto, molto utile!

A – Ogni volta che vado in aereo mi chiedo perchè le ali stiano ferme. Perchè non fanno come quelle degli uccelli? Perchè non battono l’aria? Perchè, anche ora, l’aria non si muove? Tutto cristallizzato. Sospeso. In attesa. Basta fuggire. Basta rimandare. Basta rifiutare. Il dolore c’è e lo sento bene. Devo tenerlo ancora più stretto che mai. devo riuscire a soffocarlo, strangolarlo, immobilizzarlo, neutralizzarlo. Combattere per non morire! Ecco! L’ho detto finalmente. Alla fine ho lasciato che la mente raggiungesse il cuore e lo ascoltasse parlargli. Ho lasciato che la realtà sopraffacesse l’eterno sospiro del sonno senza senso. Del sonno senza sonno. Del sogno senza sonno. Eccomi devo uscirne. Velocemente. Dalla nebbia. Devo tornare a casa!

B – Sopra di me una lunga ferita lunga e stretta fatta di luce. Tanta luce. la luce che vedevo. O forse no. Non importa. Ho trovato l’uscita. E gli vado incontro. Scivolo via dalla mia conoscenza. Senza forzare. Con dolcezza. Con amore. Sto arrivando.

C – Eccomi! Sono dentro. Penombra. ai lati, nel centro una grande, grossa, accecante luce. Le sale chirurgiche sono tutte uguali. Il tempo ha cambiato tante cose ma non questi luoghi. E non parlo delle attrezzature. Parlo delle sensazioni. La vita o la morte. Nell’aria il coraggio della terza di Beethoven (anche questa salvata dall’archivio della Fondazione). Talento passato per il coraggio del presente. Sapevo di questa musica, dell’uso che i chirurghi ne fanno, nei momenti più critici, in sala operatoria. Quando decisi di specializzarmi il nonno mi raccontava dei suoi vecchi interventi. Di come fosse importante la musica giusta nel momento esatto. Di come le sue mani tagliassero, asportassero, sostituissero, ricucissero seguendo l’andamento della musica giusta. E ognuno aveva la sua. Adesso, dopo tanti studi, esistono selezioni musicali, a seconda della gravità dell’intervento. Durante la specializzazione le ho studiate tutte. La Terza veniva sempre classificata per i casi gravi. E adesso, improvvisamente, eccola. E io ci sono dentro. Ancora pochi passi. Mi affaccio piano. Chi sta così male? Chi è così importante? chi sta aspettando il proprio Angelo? Eccola! Una donna. madre! Una semplice donna che non vuol morire per non portare con se la vita che ancora deve nascere. Oddio! Tremendo ciò che vedo. Ustioni dappertutto. L’hanno trovata in uno degli ultimi rifugi in cui la squadra d’emergenza è potuta entrare. Incredibile fosse ancora viva! per questo è così importante. Perchè lei ha resistito in condizioni in cui niente poteva sopravvivere. E anche il suo frutto è ancora vivo! Un miracolo. E nessuno vuole rovinarlo! per un attimo soltanto provo a guardarla senza pensare a quello che sono e la vedo! Eccola li! Sta lottando! Con i fantasmi. Con il dolore. Come tutti gli altri, ma lei li ha addosso tutti assieme e tutti nello stesso momento! Io non so se gli altri la vedono, ma io si! Lei sta lottando!

A – Occhi aperti. Intorno? Silenzio. No! Ancora la musica. E’ la stessa di prima? Non riesco a capire. Che bello, però! Adesso il corpo esiste. Anche il dolore. Oddio! Lancinante! Una scheggia d’anima si stacca. Una particella di vita che diventa indipendente. Da me. Dal mio amore. Dal mio corpo!

B – Sto per arrivare. Nuova linfa. Nuovo sangue. Nuovo cuore. Questa luce. Così forte. Così pregnante. Luce che commuove. Raggio sparato nell’universo. Sole che annienta la penombra. E nient’altro. Soltanto una grande voglia di piangere. Eppure non sono triste. Eppure…io sto arrivando…vorrei dirlo a tutti…ma più mi avvicino e meno riesco…a pensare…a parlare…a dire…a spiegare…Amore…Piccola…ascolto…sospiro…aria…non più acqua?!…sospiro…ancora…respiro…no…non ce la faccio…Amore…Piccola…Dai…mi viene da piangere…non respiro…nell’ultimo barlume…di me…ecco…Amore…Piccola…Dai…ci provo…un po’ meglio…aria…dentro…ecco!…adesso…liquido…che sce…da me…aria…ancorapiù aria…aria…ancora…aria! Lacrime mai scese cominciano a solcare questa mia nuova anima che ancora non sa cosa sarà. Piango e poi più nulla… tanta aria… Amore! Piccola! Eccoti!

C – E’ stati faticoso. Stremante. Una lunga lotta fra antichi guerrieri. Bighe impazzite che sbandavano fra le dita di questa donna.E ohni volta la corsa riprendeva. Questa donna che tirava le redini. Per non perdere i cavalli. Ad ogni curva. E ogni volta un sospiro. Pieno, intriso, traboccante di dolore combattuto. Piaghe nelle mani che, però, non mollano. Fino al traguardo. Poi, improvviso, cambio di scena. Ho visto l’ultimo, estenuante attimo di lotta. Poi più niente. Io non so se gli altri lo hanno visto. Ma questa donna ha combattuto, correndo dietro al suo nemico intorno alle mura della città. E alla fine lo ha raggiunto. Lì, sul  tavolo operatorio non c’era più niente di spaventoso. Il volto tumefatto, segnato come una carta geografica dai graffi della lotta, ha nascosto a malapena una smorfia. Dalle labbra della donna. E a me è sembrato un sorriso. Ma non è possibile! Queste cose succedono soltanto nei film! O nei sogni? Improvviso! Un lampo di luce! Tremito forte! Perdo l’equilibrio! La navicella non è più stabile! No! Proprio ora! Ora no! Tutto intorno perde il suo contorno. Opaco. Liquido. Il mondo, adesso, sembra non stare più a fuoco. “Sveglia” Chi mi chiama? Uno scatto, quasi violento, mi scuote come una realtà distorta. Alzo la testa dal sonno. Oddio. Ma dove sono? “Svegliati. vai a riposarti. E’ stata dura ma ce l’avete fatta. La mamma è salva.” una collega mi stava parlando e io, confusa, accenno un si con la testa. Intorno niente più navicella, niente più stelle, niente più nuovi universi dal esplorare. Sono al Pronto Soccorso. Ho semplicemente sognato. Probabilmente stanca. Di tutto il mio sogno è rimasto il fatto che sono davvero un’infermiera. Che abbiamo salvato una mamma. Che ieri, prima di venire a lavoro, ho riguardato per l’ennesima volta Blade Runner. Che prima di addormentarmi nel mio letto, ho letto un paio di capitoli della trilogia della fondazione Asimov. Che mio nonno era un chirurgo. Che ogni sera, prima di dormire, mi affido ogni volta a tutta la mia immaginazione. E che spesso, ogni volta, prima di abbandonarmi, scivolo nel mio mondo parallelo, dove tutto quello che amo e che sono entra sempre. Prepotentemente. Alla fine apro gli occhi. Una tazza di caffè. Forte! grazie. Mi affaccio alla finestra. Che strana giornata. Così grigia. Così luminosa. Per un attimo sono contenta di non essere nel mio mondo parallelo. Qui ho da fare. Qui, adesso, ha senso che io sia sveglia.Oggi è un bel giorno. Per me. Per la mamma. Per la nuova vita.

A – Adesso che sono tornata il dolore è ancora forte. Adesso che sono qui, in questo letto d’ospedale, sono felice. Eppure il ricordo è insopportabile. Nel mio sogno non c’era sofferenza. Nella realtà, ancora, non so cosa troverò. Mancanze. domande. Risposte? Distesa riposo. Distesa ripenso. Distesa, ancora confusa. E questo nuovo respiro. Accanto a me. Nel mondo. Recupero il tempo che scorre, doloroso. Come acqua trooppo calda sulle ferite. Come prima la musica.

C – Buongiorno…sono venuta a cambiarle le medicazioni…posso?

A – Si…ecco…devo fare qualcosa?

C – No, lasci…non si deve sforzare…

A – …bene…ah!

C – Scusi… ma ha punti di sutura dappertutto…e un po’ di dolore lo sentirà (che miracolo!!! Questa donna!!! La sua bambina!!! Proprio un bel film!!!)…eco…ferma così…ci penso io…

A – …grazie…

C – (cos’è quello…”Viaggio al termine della notte”…bel titolo…chi l’ha scritto…?…Cèline…boh…chissà di cosa parla…) Ferma ora…mi raccomando…

A – Adesso? Posso muovermi?…sono un po’ scomoda così…

C – Ah si, scusi…ho finito…ecco…adesso la lascio in pace…

A – Grazie…ancora…

C – Ci vediamo domani…buonanotte.

A – Buonanotte…

B – Qui tutto è molto morbido. Accogliente. Io non parlo più. Respiro rilassata. Poi mangio. Poi bevo. Poi faccio la pipì. Poi faccio la…pupù. Io continuo a usare il mio me, che ora definitivamente si chiama corpo, per attirare le carezze, le attenzioni, gli sguardi. E ancora sembra funzionare. Ancora. Qui, dove tutto è molto, molto, morbido. Qui, dove tutti si fermano a guardarmi. Qui, dove ho tanto, tanto sonno.

A . Sono passati un po’ di giorni e adesso sono a casa. Quando sono stata un pò meglio ho affrontato tutte le schegge del mio dolore. Le ho sfilate piano, piano dalla mia memoria e le ho poggiate nella mia realtà. Poi, ancora ferita, ho cominciato a conoscere la mia salvezza. Vera. Reale. Tangibile. Adesso, ferma e cosciente, mi medico da sola. La mia cura. Due occhi profondi. Intensi. Penetranti. Dentro una culla. Buonanotte. Bacio, amore mio. Piccolo, piccolo. Come te.

C – Quando sono entrata in libreria non ricordavo più il titolo del libro. Ricordavo l’autore. Era così strano quel nome. Un po’, come dire, onomatopeico. Uno struscio veloce. Un soffio di vento da uno spiraglio di una finestra chiusa male. Come faceva? ah! Ecco. Celine. Il commesso non mi ha fatto neanche finire. Ha capito subito cosa volevo. pochi minuti ed ero già fuori. Con il mio sacchettino pieno di un nuovo film. O forse no. Che strano! Adesso, sulla mia poltrona, non cerco niente. Non cerco mondi paralleli. Almeno per un po’. Voglio soltanto assaggiare queste parole, scritte così fitte, in così tante pagine. Ma quanti film può aver visto questo Cèline?

“il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco, la sua forza, va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato…”

Oddio! Ne ha visti parecchi!

FINE