Autore: Dott.ssa Sonia Piana

 

La professione di psicologo oggi non è più solo volta alla cura di disturbi mentali specifici o all’analisi di problematiche esistenziali; essa è sempre più importante nell’ambito della riabilitazione, del recupero o mantenimento delle funzioni residue in varie tipologie di pazienti; si va da persone che hanno subito lesioni cerebrali per cause differenti, ad anziani con Alzheimer o altri soggetti con patologi degenerative (Corea di Huntington, ad esempio).

   Mazzucchi (1999) afferma che la riabilitazione cognitiva è “lo studio delle opportunità riorganizzative assunte dal cervello che è stato leso; essa parte dal presupposto che le capacità neuroplastiche del nostro cervello, presenti dopo la lesione, siano guidabili per ottimizzare il trattamento riabilitativo orientato al raggiungimento del massimo grado possibile di autonomia e di indipendenza attraverso il recupero e/o la compensazione delle abilità cognitive e comportamentali compromesse; tale provvedimento risulta essere finalizzato, pertanto al miglioramento della qualità della vita del paziente ed al reinserimento dell’individuo nel proprio ambiente”.

   Esistono molteplici professionisti volti alla riabilitazione e lo psicologo, che abbia una adeguata preparazione in tale materia, si ritrova a ricoprire un ruolo molto importante all’interno dell’equipe riabilitativa, insieme al logopedista, al fisioterapista e ad altre figure. Inoltre sono coinvolte in questo processo riabilitativo tutte le figure (in particolar modo i familiari), che interagiscono con il paziente, stimolandolo nella quotidianità.

   Riabilitazione cognitiva infatti non vuol dire solo svolgere esercizi specifici per la memoria, per la capacità verbale o visuo spaziale, ma anche riconoscere un profumo o una voce familiare, rievocare eventi passati, guardare una foto.

   Il primo passo verso la riabilitazione cognitiva è la comprensione complessiva dell’individuo e dell’ambiente in cui esso vive; in tal modo è possibile stabilire a priori i limiti e le potenzialità dell’intervento. E’ necessaria un’accurata valutazione neurologica, che definisca chiaramente la problematica, in modo da intervenire sulle cause; è possibile, infatti, che un sintomo sia causato da un problema neurologico, così come da uno psicologico e l’intervento è diverso nei due casi.

   Qualsiasi figura professionale che si occupi di riabilitazione deve tener conto di alcuni elementi imprescindibili per un buon lavoro. Prima di tutto vi è il rispetto e la valorizzazione del paziente e delle sue capacità. La riabilitazione cognitiva è nella maggior parte dei casi fatta di esercizi ripetuti costantemente, che possono risultare noiosi per chi li somministra, ma che talora sono di difficoltà estrema per chi li svolge. Non dimentichiamo che siamo di fronte a pazienti per i quali un’azione svolta oggi potrebbe non essere più svolgibile domani. Talora è molto più facile sostituirsi alla persona nel compimento delle azioni del quotidiano che incoraggiarla ed aiutarla solo se necessario, ma questo è un passo indispensabile affinché l’individuo si senta ancora in grado di “fare” e non resti frustrato.

   È necessario poi riconoscere la famiglia come “sistema” che sostiene e stimola il paziente. I principali problemi dei nuclei familiari, in cui vi sia qualcuno che necessita di riabilitazione cognitiva, sono, molto spesso, la non accettazione della situazione e la “fretta” nell’ottenere risultati. Il pensiero magico è che il proprio caro torni ad essere come prima. Compito dei professionisti (psicologo ed intera equipe) è proprio supportare empaticamente la famiglia in questo percorso di accettazione graduale della realtà, in modo da non far caricare il paziente di aspettative irraggiungibili.

   La riabilitazione cognitiva è fatta di esercizi mirati, di azione quotidiane ripetute, di test somministrati per valutare lo stato attuale ed i miglioramenti. È necessario però unire a tutto questo la creatività, che permette all’operatore di realizzare esercizi nuovi, diversi, adattabili al paziente e in base alle diverse circostanze. Un approccio di tal tipo non può prescindere non solo dall’instaurarsi di una buona relazione empatica fra paziente e psicologo (da cui il soggetto non deve sentirsi giudicato per il suo operato, ma aiutato e sostenuto anche negli sbagli), ma neanche dal divertimento, dalla curiosità e dall’interesse a lavorare. Un paziente adeguatamente stimolato (pur sempre nel rispetto dei suoi tempi e del suo modo di essere) sarà maggiormente ben disposto alla relazione ed a mettersi in gioco.

   Ecco che quindi riabilitazione cognitiva, nella accezione più ampia del termine, è anche attività di intrattenimento (feste, giochi, gite, uscite, ascolto musicale, canto, lettura), attività occupazionali (attività quotidiane, cucina, attività manuali), attività motorie (ginnastica, cyclette, mobilizzazione passiva; riconoscimento e denominazione parti del corpo), attività di stimolazione cognitiva (stimolazione area cognitiva e sensoriale: percezione, attenzione, analisi, vocabolario, associazione, sintesi, ragionamento astratto, rievocazione, calcolo).

   I principali obiettivi della riabilitazione cognitiva sono:

  • permettere alla persona di esprimere al meglio le proprie capacità, in un contesto no giudicante;
  • aiutarlo in ciò che non riesce a compiere autonomamente, nel rispetto delle sue reali abilità e dei suoi tempi;
  • tentare di contrastare il deterioramento della malattia o recuperare le funzioni neurologiche residue;
  • agevolare i processi di comunicazione e stimolare i contatti sociali, sempre utili per fornire stimoli;
  • ridurre lo stress dell’ospite (quindi anche del suo sistema familiare), offrendogli al contempo un modo piacevole per trascorrere il tempo senza isolarsi.

   Gli approcci e le teorie per la riabilitazione cognitiva sono numerosi e sempre in fase di aggiornamento; i più importanti restano quello restituivo (il cui obiettivo è ricostruire le funzioni cognitive compromesse) e quello sostitutivo o compensativo (il cui obiettivo è portare le funzioni integre a compensare quella carente). Al di là della scelta dell’approccio teorico alla base di tutto vi è l’instaurarsi di una buona relazione fra paziente e psicologo, basata sulla fiducia, sul rispetto e sulla comprensione delle possibilità e dei bisogni altrui.