Autore: Dott.ssa Simona Saggiomo

 

Secondo i dati Istat “a dicembre il tasso di disoccupazione raggiunge l’8,5%, facendo registrare un +0,2% rispetto a novembre e un +1,5% nel confronto con lo stesso mese del 2008.
Il numero delle persone in cerca di occupazione risulta pari a 2 milioni 138 mila unità, in crescita del 2,7% (+57 mila unità) rispetto al mese precedente e del 22,4% (+392 mila unità) rispetto a dicembre 2008” (da www.italialavoro.it) e questo non è un dato sociologico confortante.

Purtroppo di questi dati ne sono pieni i giornali e le cronache anche nazionali, perché comportano la discussione su quale futuro avranno i lavoratori con enorme preoccupazione verso le famiglie e la futura generazione. Non possiamo purtroppo agire direttamente su questi dati: troppo lontana la distanza tra necessità governative e necessità lavorative dei singoli, che altro non possono che protestare davanti alle sedi, fare sit-in , scioperi e alzare la voce contro chi non ascolta i reali bisogni di chi lavorava e ha sempre lavorato e ora si trova in cassa integrazione o peggio senza lavoro.

A tal proposito conosciamo molto bene anche dalla televisione e dai programmi divulgativi quanta difficoltà economica ci sia dietro tutto questo: un aumento dell’aiuto da parte delle famiglie di origine, magari in pensione, che si trovano a dover gestire nuove spese di mantenimento, e per i meno fortunati c’è lo sfratto per morosità.

Tutti questi elementi fanno pensare quanta sofferenza fisica e mentale ci sia dietro a chi perde il lavoro o non ne trova un altro, a chi cerca altro e non trova nulla, a chi ha una qualifica utilizzata da anni e non può più usarla perché troppo specifica. Cosa dire a costoro?

Credo che una riflessione valga la pena di essere fatta per aiutare chi sia in preda allo “stress  non-lavorativo”, di coloro cioè che pur avendo le capacità, l’esperienza, la voglia di lavorare non riescono a trovare un posto utile per andare avanti.

La flessibilità lavorativa e la globalizzazione sono stati molto veloci e non hanno permesso alle persone di abituarsi ad iniziare a parlare dello spostamento del posto di lavoro per adempiere alle necessità aziendali, a nuove riqualificazioni soprattutto per adulti maggiori di 40 anni, ad abituarsi a cambiare lavoro frequentemente e spesso con mansioni diverse; questi elementi sono ciò che il mondo del lavoro ora chiede e che nessuno è pronto a effettuare, perché la velocità non ha permesso agli ex lavoratori di costruire quella flessibilità mentale utile per cambiare il modo di lavorare e il lavoro stesso. Non si può pretendere che un uomo con alle spalle 25 anni di lavoro in un’azienda impari a fare un’altra attività e in fretta perché c’è il mutuo da pagare e i figli da crescere; tra le aziende e i lavoratori c’è un abisso, una mancata attenzione ai bisogni e alle abitudini degli uomini che desta molto sconcerto. Mi chiedo pertanto che cosa si discute negli uffici delle Risorse Umane quando si parla di questi argomenti: di stress lavorativo? Di benessere psicologico? Di aiuto e sostegno ai lavoratori?

Quale spazio mentale ci siamo dati per pensare a come aiutare queste persone una volta licenziate o in boun out perché demotivate da ciò che ora fanno poco e male?

Lo psicologo credo che abbia un ruolo importante in questo passaggio: pensare a come aiutare i lavoratori a diventare flessibili prima ancora che col lavoro, con la mente: a provare cioè a pensarsi in un modo diverso, più vicino alle nuove esigenze che il mondo del lavoro impone senza chiedere “permesso”. Io credo che questo momento di stallo possa essere utilizzato per iniziare a pensare ad elaborare tutto questo, magari a scaricare la rabbia, la delusione, a sostenere eventuali disturbi da stress più profondi e permettere in seguito di lavorare per trovare qualche cosa di diverso.

Credo che qualcuno debba dare cogliere questi segni di malessere lavorativi che riguardano l’aspetto emotivo e non ridurre tutto al fatto di trovare un altro lavoro, perché purtroppo bisogna cambiare prospettiva per capire le nuove regole di mercato. Quando siamo abituati a svolgere sempre la stessa cosa non siamo soliti guardare oltre, a meno che ne siamo costretti a farlo per altre ragioni, magari non dipendenti da noi: invece ora la flessibilità richiesta è tale che dobbiamo imparare a farlo, ma nessuno ce lo ha insegnato e non lo si può pretendere prima di pagare il mutuo a fine mese.

La fretta è cattiva consigliera e il tempo alle volte è troppo veloce: è quindi importante sapere che per poter trovare un nuovo lavoro bisogna imparare (G.Blandino, 1996) con la mente ad essere flessibili, a capire dove siano i nostri punti deboli e punti di forza, a comprendere gli errori più comuni e cercare delle strategie d’intervento mirate a risolvere una cosa alla volta.

Molti lavoratori lamentano infatti di non essere stati avvisati delle difficoltà aziendali così gravi da intraprendere la strada del licenziamento o della cassa-integrazione: questa fretta decisionale non ha quindi permesso alle persone di abituarsi a tali problematiche non solo in termini economici, ma anche emotivi. E’ dato di cronaca la morte di ex dipendenti che si suicidano o scappano da casa per la vergogna di non poter più aiutare la propria famiglia. Che risposte dare loro? Perché non si è cercato di aiutarli, di prepararli prima di tali eventi in modo da non trovarsi spiazzati ?

Ancora una volta la sensibilità verso il benessere psicologico è stato messo da parte a causa della fretta di decidere “altro” e su altri. Credo per questo che sia importante riportare in piena discussione le necessità dei lavoratori, tenendo conto anche delle problematiche di stress che la perdita del lavoro comporta, dando strumenti concreti da utilizzare per acquisire quella “flessibilità” anche mentale per potersi rimettere in gioco anche a 45 anni, perché è necessario far comprendere che perdere il lavoro è un aspetto anche emotivo della propria vita, importante e degno e  per questo deve essere preso in considerazione.

Imparare a fare altro ad un’età adulta è qualcosa di nuovo, alle volte anche difficile e per questo spesso sminuito o respinto: in realtà il mondo cambia e lo fa velocemente, tanto che nel frattempo magari proprio la nostra azienda sta cambiando e ce ne accorgiamo tardi per essere integrati di nuovo con nuove mansioni. Il film attuale di Clooney “ Tra le nuvole” parla in modo cinico della realtà americana dove i licenziamenti del personale sono fatti dal protagonista che pone come riflessione il fatto che ora, dopo la perdita del lavoro, finalmente l’ex dipendente potrà coronare il suo sogno facendo altro, oppure riprendere un’attività lasciata prima di questa assunzione  etc.

Il film è solo uno spunto di come sono state analizzate le caratteristiche del singolo lavoratore che non è stato lasciato solo dopo il licenziamento, ma gli sono state prospettate alternative su cui riflettere e servizi a cui rivolgersi per avere chiarimenti e aiuto. Forse un piccolo ragionamento e attenzione maggiore va fatta in questa direzione, con modalità diverse, in linea con la nostra cultura, ma sicuramente degne di attenzione soprattutto verso chi perde una certezza lavorativa e si trova davanti un mole di difficoltà anche emotive.

Bibliografia

www.italialavoro.it

Le capacità relazionali di G. Blandino – Utet Torino 1996