Autore: Prof. Marcello Buiatti

 

Sulla letteratura  sulla modificazione delle economie, in particolare negli ultimi dieci anni, e la loro “virtualizzazione” dovuta alla finanziarizzazione è stato scritto molto ormai all’estero, pochissimo in Italia, Paese in cui in gran parte dei saggi esistenti la discussione è interna alla economia stessa e fra economisti ma fondamentalmente descrittiva con pochi riferimenti agli effetti sulle vite umane reali della trasformazione da economia reale in virtuale.

Questo breve saggio cerca di discutere della evoluzione degli esseri umani dopo la loro comparsa sulla terra partendo da quello che Sebastiano Timpanaro, grande filosofo materialista purtroppo scomparso, chiamava “il piano di sotto” e cioè quello delle vite di carne e sangue, sempre più dimenticato e sostituito come vedremo da pensieri dominanti sempre più alienati e virtualizzati.

Cercherò per questo di inserire quanto avviene adesso nella relativamente breve storia evolutiva della nostra specie tenendo presente il fatto che Homo sapiens é la specie che in poco tempo è diventata il nodo fondamentale di tutte le vite del Pianeta in quanto portatrice di significative innovazioni rispetto al resto della Biosfera che mettono in pericolo non solo la nostra vita ma anche quelle degli altri abitanti del Pianeta. Incomincerò quindi da una breve discussione delle nostre peculiarità materiali che poi sono ovviamente alla base di quelle mentali e della loro evoluzione.

Non vi è nessun dubbio che gli esseri umani siano animali come gli altri anche se hanno acquisito caratteristiche che ci permettono di essere la specie più “generalista” del nostro Pianeta, dotata come è di capacità che non si trovano in nessun altro “luogo” della Biosfera né vi sono state prima. Come ben sappiamo la evoluzione di ogni specie si basa sulla utilizzazione di quattro tipi di strumenti produttori di diversità che permettono di cambiare adattandosi alle modificazioni del Pianeta tutto ed ai diversi luoghi in cui microrganismi, piante, animali ed esseri umani si vengono a trovare. Gli strumenti, come ha scritto Eva Jablonka alcuni anni fa sono la variabilità genetica che consiste nella diversità della struttura dei geni, quella epigenetica che ha a che fare con i livelli quantitativi e qualitativi della espressione di questi, quella comportamentale, e infine quella simbolica. I batteri, non hanno bisogno di cambiare per adattarsi al contesto durante le loro vite molto corte (una generazione dura solo dieci minuti) per cui utilizzano essenzialmente la variabilità genetica; le piante e gli animali tutti che hanno vite molto più lunghe devono invece sopravvivere modificando la espressione dei loro geni in funzione dei cambiamenti del contesto e usano quindi anche la variabilità genetica ma soprattutto quella epigenetica. In particolare gli animali, che hanno un sistema nervoso efficiente e si possono spostare nello spazio, utilizzano oltre alla variabilità genetica ed epigenetica quella che possiamo chiamare comportamentale. Infine, noi umani abbiamo pochissima variabilità genetica per cui usiamo quella epigenetica ma soprattutto cambiamo facilmente i nostri comportamenti “inventandone” continuamente di nuovi grazie alle eccezionali capacità innovative che possediamo. La nostra strategia evolutiva quindi non consiste nella selezione passiva dei geni più utili alla vita come avviene per gli altri esseri viventi ma è invece attiva nel senso che noi umani siamo in grado di “costruire” gli ambienti in cui viviamo con strumenti e progetti e cioè di non essere adattati ma di adattare il contesto alle nostre esigenze. Inoltre, e questa è una caratteristica che non si trova in nessun altro essere vivente, siamo capaci di scambiare con velocità e precisione una quantità incredibile di informazioni che si vanno accumulando durante la nostra storia e si connettono nelle nostre menti formando continuamente nuovi pensieri e concetti. E’ per tutto questo che il grande filosofo Hans Jonas, coerente con la visione post-moderna dei sistemi viventi, e cosciente del fatto che Homo sapiens è nettamente diverso dagli altri esseri viventi definisce la sua “differenza” con tre parole (concetti) chiave che indicano da sole il nostro comportamento assolutamente innovativo rispetto a quelli degli altri esseri viventi.

La prima di queste parole è la “immagine” e cioè la capacità di “immaginare” o meglio inventare nel nostro cervello pensieri e “cose” che non esistono nella realtà esterna. Ne sono prova ad esempio le pitture rupestri in cui animali ed umani non sono mai “fotografici” ma “estetici” e derivano cioè da una trasfigurazione dell’oggetto dipinto elaborata autonomamente dal cervello, capace, a differenza di quanto avviene negli altri animali, di ”umanizzare” l’oggetto osservato. La seconda parola che ci definisce secondo Hans Jonas è lo “strumento” e cioè la capacità umana di elaborare e proiettare sulla materia esterna sempre nuovi immagini di oggetti pensati per il miglioramento delle nostre vite. La terza parola infine è la “tomba” simbolo della estremizzazione della “immagine” e della invenzione di pensieri e processi costruiti nel cervello senza legami obiettivi con la realtà. Si tratta qui di quello che chiamiamo “pensiero trascendente”, simbolizzato dalla concezione di una vita dopo la morte, testimoniata dagli oggetti trovati nelle tombe costruite da tutti e quattro gli “ominini” (Neanderthal, Denisovianus, floresensis, sapiens) che hanno vissuto contemporaneamente sul nostro Pianeta. Come è noto anche altri animali sono in parte in grado di costruire oggetti, modificare l’ambiente a loro vantaggio e anche seppellire i loro morti. Tuttavia gli altri esseri viventi sulla Terra costruiscono oggetti in modo stereotipo e ripetitivo di generazione in generazione, non sono capaci di inventarne di nuovi e la loro pratica di seppellire i morti non ha niente a che fare con la trascendenza ma è semplicemente un modo di nascondere le proprie tracce ad un eventuale pericoloso nemico. Ora conosciamo anche con certezza le basi materiali della nostra unicità, costituite dalla modificazione rapidissima di alcuni geni ormai noti e studiati, che si esprimono tutti nei nostri cervelli e il cui cambiamento è stato rapidissimo a partire da cinque o sei milioni di anni fa. Per quanto si sa, la accelerazione del cambiamento è dovuta al vantaggio selettivo di uno o pochissimi geni che hanno poi “trascinato” il cambiamento di un gruppo di altri. Probabilmente i geni del primo tipo sono quelli che hanno modificato il rapporto, nel nostro cervello fra la “parte pensante” (la neo-corteccia) e il resto, rapporto che ora è oltre le otto volte (il delfino è l’animale che ci rassomiglia di più da questo punto di vista ed ha un rapporto di quattro). Probabilmente i primi geni ad essere cambiati hanno a che fare proprio con le relazioni fra le diverse parti del cervello che hanno contemporaneamente aumentato il numero di neuroni fino a cento miliardi e possono quindi essere collegati in un milione di miliardi di diverse connessioni, il che ci permette di “inventare” con facilità i nostri innumerevoli pensieri. Un altro gruppo di neuroni critico per le nostre capacità umane è quello che ci ha permesso di scambiare con incredibile facilità pensieri , concetti, progetti, sentimenti. Sono questi i geni, detti FoxP, che mancano ai delfini, agli altri Primati e anche ai tre ominini con cui abbiamo condiviso il Pianeta per lungo tempo. E’ infatti proprio la capacità di scambiare informazione che ci distingue nettamente ad esempio dagli chimpanzé come è stato dimostrato da esperimenti in cui si sono paragonate le capacità di bambini di due anni e mezzo e di chimpanzé di età equivalente. In questi esperimenti si è infatti dimostrato che i due “bambini” affrontavano in modo uguale una serie di test ma divergevano quando gli si chiedeva di scambiare informazione con i loro simili, esercizio questo in cui il giovane umano surclassava il suo lontano parente. E’ utilizzando queste qualità che i nostri antenati, che prima erano nomadi e, come altri animali,  si muovevano in cerca di ambienti favorevoli, raccoglievano cibo e cacciavano, verso diecimila anni fa si sono fermati diventando stanziali, hanno cominciato a costruire ripari invece di rifugiarsi in quelli naturali, hanno imparato ad accendere il fuoco e a costruire “strumenti” utili per le loro vite.

A questo punto l’evoluzione umana è diventata essenzialmente comportamentale e culturale e certo non genetica visto il bassissimo livello di variabilità della nostra specie. Per quanto ne sappiamo nel primo periodo della svolta stanziale l’economia era limitata allo scambio di oggetti utili per la caccia e la difesa dato che gli umani non avevano ancora sviluppato progetti e regole (“nomoi”: leggi) per il cambiamento dell’ambiente (“oikos”) in modo razionale e stabile. Le cose sono cambiate con la nascita della agricoltura, il primo tentativo di imporre la legge umana all’ambiente modificandolo e producendo cibo in quantità superiore al necessario.

Da qui l’inizio vero della economia, in cui si producevano beni (soprattutto cibo) ed utensili utili per le vite, che si scambiavano con altri oggetti di utilità più o meno uguale. Una descrizione di diverso tempo fa e però interessante della economia umana successiva a questo primo periodo, come importante processo, é quella di F.Giddings che nel 1909 ha scritto: “L’economia della vita delle piante è soltanto organica, quella degli animali è organica ed istintiva, quella umana organica, istintiva e razionale. Solo gli esseri umani cercano sistematicamente di migliorare la loro condizione e per questo si sono trasformati in lavoratori e hanno sviluppato una vera e propria economia che si è realizzata molto tardi con la industria moderna”. Quella di Giddins era quindi la prima economia in cui gli umani modificavano il contesto in cui vivevano, mirando al miglioramento e allungamento delle loro vite e allo stesso tempo sviluppavano le arti, i miti e le religioni dimostrando di essere capaci di godere dei loro stessi pensieri e della capacità di applicarli modificando la materia esterna anche per puro godimento differenziandosi in questo modo anche dagli animali più capaci di costruzioni e organizzazioni sociali. In seguito gli umani hanno cominciato a scambiare i prodotti delle prime industrie attribuendo ad essi valori diversi sulla base della loro utilità per le vite umane e per rendere più facili gli scambi hanno inventato le monete sempre mantenendo però il concetto di valore d’uso, intendendo con questo termine il livello di bene-essere e non di bene-avere (Vedi S.Bartolini, 2012) che gli oggetti scambiati permettevano. In questo periodo una famiglia veniva considerata ricca e potente se possedeva suolo, animali ,case ,ecc. ,tutti beni materiali necessari per combattere la fame e vivere in modo confortevole. E’ solo molto più tardi che l’industria è diventata un obiettivo da raggiungere in quanto tale e si è cominciato a considerare un “uomo ricco” colui che possedeva industrie, vendeva i suoi prodotti e accumulava denaro che veniva poi usato per aumentare ancora la produzione. Questo è avvenuto nel periodo in cui si affermava quella che chiamo la “Utopia prometeica”  e veniva costruito lo “Antropocene” (Crutzen), un Pianeta “moderno” costruito totalmente su progetti umani come se fosse una singola, enorme macchina. Hans Jonas  é stato uno dei primi filosofi che si sono accorti  dei pericoli che potevano derivare dalla “Utopia” e per questo ha proposto il suo “Imperativo di responsabilità” chiedendo agli umani di discutere non soltanto i problemi derivanti dagli effetti immediati delle modifiche imposte al Mondo, ma anche quelli non prevedibili derivati dalle interazioni di queste con la complessa rete dinamica del Pianeta. H.Jonas infatti scrive: “La moderna tecnologia e i suoi prodotti si spargono in tutto il Mondo e i loro effetti si accumulano diventando illimitati nelle future generazioni. Quello che facciamo qui e adesso, noi che pensiamo solo a noi stessi, é che le nostre azioni influiranno in modo massiccio  sulle vite di milioni di persone ovunque ora sulle future generazioni che non possono influire sulle nostre azioni. Noi distruggiamo le vite future per i guadagni e bisogni di ora… Forse potremmo evitare di comportarci solo in questo modo ma in questo caso dovremmo usare una cautela estrema in modo da operare con giustizia verso i nostri discendenti in modo da non compromettere fin dall’inizio la loro capacità di rimediare agli effetti negativi dei nostri atti.…. La categoria etica che deve essere messa in gioco è la responsabilità….. Questa visione globale unisce il bene-essere umano con la vita nel suo complesso  e garantisce i diretti della vita non-umana”. Purtroppo questo principio, molto più stringente del principio di precauzione che non tiene in conto gli effetti secondari dei nostri atti, non é stato seguito da Homo sapiens che invece continua ad agire in modo coerente con la utopia dominante nell’Era Moderna. In altre parole, nonostante che la scienza contemporanea abbia cambiato i modelli fondanti e i paradigmi della materia vivente e abbia chiarito le differenze fra questa e quella non vivente, l’obiettivo fondamentale degli umani é ancora la “umanizzazione” meccanica del Mondo tutto, dimenticando o almeno volendo dimenticare che le macchine inevitabilmente interagiscono anch’esse con le vite. Non è a caso inoltre, che poi il cambiamento degli obiettivi della nostra specie abbia modificato anche la scala di valori delle vite umane. Nella prima fase della evoluzione umana, il livello più alto di quella che Giddings chiamava “soddisfazione” era collegato strettamente con il bene-essere della vita e le persone che venivano considerate importanti ed onorate erano quelle che possedevano grandi fattorie con ampie estensioni di terreno coltivabile, case e tutti gli oggetti necessari per buone vite materiali e culturali.

[continua…]