Autore: Dott.ssa Maria Grazia Antinori

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La felicità, è una parola assoluta, invitante, ogni persona vorrebbe provarla e viverla  come l’esperienza centrale, ma è anche un termine abusato ed in un certo senso, usurato, una parola che necessita, per coglierne il senso, di  contestualizzazione.

La felicità dipende dai bisogni e dai desideri, è evidente che debbano essere prima soddisfatti i bisogni di base quali la salute, la sussistenza,  la sicurezza, e una volta assicurati questi, si sale nella scala dei desideri . Ad esempio per un malato, la felicità  è  la salute; per una persona che manca di mezzi di sussistenza, una vita dignitosa; per un lavoratore il successo professionale; per un atleta  i  risultati sportivi.

La qualità delle relazioni affettive, a prescindere dalle realizzazioni, è un aspetto fondamentale per definirsi  contenti, la felicità allora coincide con l’amare e l’essere amati, con l’amicizia, con l’empatia, con la condivisione  e la compassione.

Un’altra area importante per la soddisfazione personale,  è sicuramente la creatività, la possibilità di vivere una vita costruttiva e fertile, dare il proprio contribuito originale e valido.

La felicità, è quindi un termine che coincide con soddisfazione, riconoscimento, amore, condivisione, creatività, realizzazione, tutte esperienze che possono essere applicate ad ogni ambito della vita.

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Del resto, ogni  realizzazione, è definita  e circoscritta,  racchiusa entro un confine e quindi si fonda  su dei limiti, ad esempio si può essere molto ricchi ma non possedere tutte le ricchezze del mondo altrimenti non esisterebbe il mondo!

E’ questo un paradosso che illustra  bene i limiti della felicità, possiamo essere felici per aver incontrato l’amore ideale, ma da quel momento   dipendiamo  dalla presenza e dall’approvazione del nostro amore e quindi dipendiamo e siamo limitati dalla sua presenza.

La felicità è un vissuto relativo, che richiede la partecipazione del mondo esterno, possiamo essere soddisfatti  solo confrontando l’esperienza  alle aspettative, ai valori sociali,  al tempo e all’età che viviamo.

E’ proprio  la relatività  della felicità, che rende questa emozione così aleatoria ed impalpabile e contraddittoria, del resto possiamo essere appagati per aver raggiunto il successo professionale ma soffrire  per la solitudine affettiva.

Ammesso che siano soddisfatti i bisogni di base, a parità di condizione, due diverse persone  possono valutare in modo opposto la medesima condizione, tutto dipende da come osserviamo la situazione, dalla scala dei valori e dalle aspettative di partenza.

Il sentimento della felicità deve fare i conti con i limiti invalicabili quali il tempo, l’appartenenza ad una generazione, ad una particolare fisicità e cultura. Prerequisito è lo stare bene  ed in sintonia con sé stessi, con la fase della vita, con il mondo esterno, essere parte del divenire del flusso della vita.

E’ sicuramente una fonte di infelicità non riconoscere i limiti, avere aspettative irrealizzabili o comunque lontane dalle possibilità attuali, questo a prescindere da chi si è, e da quanto si possiede.

Molti pazienti in psicoterapia, a prescindere dalla diagnosi, sono infelici per eccesso di desiderio, per invidia verso il mondo, per l’incapacità di tollerare il trascorrere del tempo, per aspettative irrealizzabili ed irrealistiche. Spesso  sono chiusi in una gabbia narcisistica che  impedisce loro di nutrirsi del bello delle loro esperienze. La  patologia comune, è quella di non conoscersi e di non riconoscersi nel flusso della vita e di vivere in una dimensione atemporale ed autistica che porta a ripetere sempre gli stessi copioni disfunzionali che condanno ad una sicuro dolore.

L’analisi, l’incontro con l’analista, diventa allora una preziosa esperienza dove il paziente può sperimentare, forse per la prima volta,  un rispecchiamento narcisistico che gli restituisce l’identità, il  valore e senso del tempo condiviso con gli altri.