Autore: Dott.ssa Francesca Broccoli

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“Il bambino nasce dentro di noi molto prima del concepimento. Ci sono gravidanze che durano anni di speranza, eternità di disperazione”. 

Marina Ivanovna Cvetaeva

 

BUIO. SOLITUDINE. VERGOGNA. PAURA. RABBIA. VUOTO. PERDITA. ANSIA. TRISTEZZA. STALLO. INVIDIA.

Sono alcune delle sfumature del più vasto e caotico senso di dolore e di crisi che pervade chi vive l’esperienza di non poter avere un bambino naturalmente. Sono emozioni e sentimenti difficili, scomodi, in alcuni momenti terribilmente invasivi e sconcertanti.

La sterilità e l’infertilità (cioè il non poter concepire un bambino nel primo caso e il non riuscire a portare avanti la gravidanza nel secondo caso) costituiscono un problema in aumento nelle società occidentali e, secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), colpiscono circa il 15/20% delle coppie anche in Italia.

Una coppia viene definita sterile quando non riesce a concepire dopo un anno di rapporti sessuali non protetti mediamente frequenti. E’ chiaro che dal punto di vista medico tutti i parametri e i riferimenti vanno corretti e rivisti in base all’età dei soggetti e alla specifica situazione, ma in genere è così (cioè sterile) che viene definita una coppia che non riesce ad avere un bambino dopo 12 mesi di tentativi.

Per quanto sia percentualmente elevato il numero di coppie che si trova ad affrontare questo problema (1 su 5), quindi rilevante anche dal punto di vista economico, sociale e sanitario, e per quanto sia pesante il vissuto emotivo ad esso associato, non si evidenzia un’altrettanto rilevante attenzione agli aspetti psicologici connessi alla sterilità/infertilità.
A partire dal linguaggio.

“Infertile”. “Sterile”.

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Non sono parole neutre. Del resto nessuna parola può e deve esserlo.
Quando si parla con le persone è doveroso informare, è doveroso dare delle risposte, ma è anche doveroso prestare la massima attenzione alle parole che si scelgono per informare e per spiegare. Le parole devono servire per comunicare, per far comprendere, per aprire dialoghi, non per emettere sentenze, non per chiudere discorsi e percorsi, non per agire contro le persone. Soprattutto se si è in uno studio medico.
Se ci si sofferma per un momento a soppesare i termini che -tante volte con troppa leggerezza e brutalità- vengono usati con le persone e le coppie che chiedono aiuto ai medici perché un bambino (ancora) non arriva, ci rendiamo conto di quanto essi possano diventare etichette e definizioni utili ai tecnici, ma ben poco utili ai due individui protagonisti della vicenda: quell’aspirante papà e quell’aspirante mamma che stanno chiedendo aiuto e che, prima di essere aiutati a concepire un figlio, vanno aiutati a capire, a non arrendersi alla depressione e vanno sostenuti nel contenere quel senso di vuoto che li attanaglia e che non deve rischiare di estendersi a tutte le dimensioni del loro vivere.

Il desiderio di diventare genitori origina nell’infanzia, dunque porta con sè una lunga storia, e matura nella progettualità di coppia.
Il desiderio di maternità e paternità è il risultato di dinamiche complesse che riguardano aspetti biologici, istintuali, culturali, condizionamenti sociali, esperienze individuali, apprendimenti, fantasie e rappresentazioni.
Il passaggio dal desiderio alla ricerca vera e propria di un bambino, quindi alla genitorialità, rappresenta l’esito di un processo maturativo in cui i due individui costruiscono attivamente uno spazio mentale e affettivo per il figlio desiderato. Il figlio, che non c’è ancora fisicamente, è già molto presente nelle menti della donna e dell’uomo e nella relazione di coppia.

Quando tale spazio rimane vuoto perché il bambino non arriva, la coppia comincia a porsi delle domande ed entra nella fase delle indagini per individuare le ragioni mediche che possono spiegare la mancata gravidanza. Contemporaneamente attraversa una fase di incertezza, caratterizzata da timori e speranze.

Una diagnosi di infertilità, sterilità o ipofertilità (che sia femminile, maschile, di entrambi o inspiegabile) produce una forte sofferenza nella coppia. Si produce “una crisi di vita” che coinvolge sia l’individuo che la coppia.

Le reazioni maschili e femminili alla diagnosi possono seguire percorsi diversi.
Secondo alcune ricerche, riportate anche dall’Istituto Superiore di Sanità, non poter avere un figlio rappresenta per la donna un evento di vita così destabilizzante e critico da essere paragonato al ricevere una diagnosi di tumore oppure ad una grave perdita affettiva, per le conseguenze psicologiche che comporta.
Per molte donne non poter avere un bambino significa sentirsi deficitarie e deprezzate rispetto al mondo femminile fertile. Il senso di esclusione che percepiscono e la frustrazione sperimentata ogni volta che qualche amica/conoscente/collega rimane incinta con facilità, può condurre ad un sempre maggiore isolamento sociale. Ci si vergogna di sè e ci si vergogna dell’invidia che si scopre di provare per le altre donne.
I commenti degli altri, anche se fatti senza intenzioni negative, possono essere molto dolorosi e difficili da tollerare in momenti in cui è la donna la prima a sentirsi in colpa o a percepire la propria situazione di infertilità (o della coppia) come una sorta di punizione del destino.
Anche normali eventi di vita come gli incontri in famiglia o con gli amici possono diventare momenti difficili: l’invito ad una festa, ad un battesimo oppure ricorrenze come la Festa della Mamma, ecc., vengono percepiti come situazioni pesanti poiché sottolineano, rimarcano e festeggiano esattamente quella che è la ragione del senso di vuoto e tristezza.
Per quanto riguarda le reazioni maschili alla diagnosi di sterilità, si evidenziano vissuti in gran parte analoghi a quelli femminili, ma più “silenziosi”, meno espliciti.
Frequentemente la prima reazione è di incredulità e di scetticismo. La sofferenza che emerge poi inevitabilmente è legata, oltre che al senso di incertezza per il futuro e al desiderio irrealizzato della paternità, anche alla sensazione di perdita di controllo sulla propria vita e alla impossibilità di determinare autonomamente il proprio futuro.

In generale, quanto più è centrale il progetto procreativo per gli individui e la coppia, tanto più forte sarà il contraccolpo emotivo da essi sperimentato.

Quando la coppia si scopre incapace di avere un bambino, entra in una nuova fase del suo ciclo di vita.
Come già accennato, la coppia deve affrontare una crisi esistenziale che comporta la revisione dei progetti individuali e della coppia stessa, la ridefinizione degli obiettivi di vita, la messa in discussione dei tempi di realizzazione di una serie di programmi.
Ci si può trovare a sperimentare un senso di “congelamento” in cui tutto appare fermo e stordisce: i binari del tempo cambiano direzione. Il tempo passa, inesorabile, continuando a macinare giorni e mesi, portando vita agli altri ma non alla propria esistenza e rischiando di estendere quel senso di “sterilità” a tutti gli altri ambiti di vita della coppia.

Se gli individui della coppia riescono a trovare le risorse per elaborare il lutto che una diagnosi di sterilità/infertilità/ipofertilità comporta, affrontando la depressione, la rabbia e la paura che questo evento determina, possono reagire rinforzando il loro legame affettivo, sostenendosi nell’attraversamento di un periodo di incertezza difficile per entrambi.
Quando la coppia è in grado di riprendere in mano la propria vita, accettando consapevolmente la situazione di difficoltà procreativa che la caratterizza, potrà allora operare una vera forma di ristrutturazione della propria immagine di sè, cercando i percorsi possibili da intraprendere.
Sarà importante per l’uomo e la donna maturare l’idea che esistono e sono realizzabili diverse forme di genitorialità e percorsi alternativi per il raggiungimento della paternità e della maternità e che le loro esistenze possono prevedere nel presente e nel futuro altre modalità di espressione di sè e della propria generatività.

Alcune persone riescono a gestire l’ondata emotiva causata dalla impossibilità di avere un bambino da sole, riemergendo grazie all’attivazione delle proprie risorse e ristrutturando alcuni aspetti della propria vita e della concezione di sè.
Per altre è così doloroso e difficile attraversare la crisi da rischiare di far fallire il rapporto di coppia o altri progetti di vita importanti: in questi casi un percorso di aiuto psicologico può accompagnare gli individui e la coppia nel ritrovare la forza necessaria ad affrontare la situazione. Perché un futuro c’è ancora. Occorre poterlo vedere.