Autore: Dott.ssa Maria Grazia Antinori
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L’amore di un genitore verso un figlio è un valore indiscutibile e senz’altro positivo, ma questo assunto non è sempre confermato dall’osservazione clinica. Possono essere molte le ragioni che trasformano un’intenzione positiva e generosa, in un meccanismo deleterio, perché non sempre l’affetto è abbastanza rispettoso per l’identità separata dell’altro.
Riprendendo il titolo di un famoso libro dello psicanalista Bruno Bettlheim, ”l’amore non basta”; è infatti necessario che il sentimento di un genitore per essere positivo ed evolutivo per i figli, debba essere temprato e tollerante dei limiti e delle separazioni che inevitabilmente segnano il processo di crescita di un essere umano.
La storia di Teresa è un racconto drammatico, paradigma di tante altre situazioni di cui ricalca i meccanismi incestuali, così come li descrive lo psicanalista Racamier. L’incestualità è una modalità psichica e relazionale caratterizzata dalla confusione generazionale che porta a un’amalgama indistinta fino dall’uso inconsapevole dei figli come sostegno del narcisismo mancante dei genitori.
Vera ha iniziato da circa un anno e mezzo una psicoterapia psicodinamica, alle soglie dei trenta anni ha finalmente trovato il coraggio di affrontare i nodi che limitano la sua vita.
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Una difficile metamorfosi
Originaria di un paesino del sud, seconda di tre sorelle, brillante a scuola, è da sempre considerata la figlia intelligente destinata a raggiungere importanti risultati accademici e lavorativi. Fin da bambina, sviluppa un eloquio vivace che la porta a confrontarsi quasi alla pari, con gli adulti. Ma il menarca trasforma la ragazzina grassottella, spigliata e civettuola, in un adolescente in lotta con il corpo e la nuova sessualità, senza strumenti per mentalizzare la sua nuova condizione.
La vita in casa è segnata dalle vicende emotive di una coppia litigiosa che si lascia andare ad urli, abbandoni, ricorse reciproche che coinvolgono le figlie chiamate a schierarsi con uno o con l’altro dei contendenti. La complicità con la madre dura solo il tempo in cui il padre è assente, al suo rientro riprende il gioco della coppia e di nuovo le figlie vengono lasciate sullo sfondo. E’ la figura paterna, quella prevalente, è lui che decide l’educazione, stabilisce le severe regole che coinvolgono anche la moglie, trattata alla stregua delle figlie adolescenti .
Per frequentare le scuole superiori, le ragazze devono spostarsi in un centro vicino, e questa è l’unica uscita tollerata, per il resto sono limitate nel vestiario che deve essere modesto e casto, nelle frequentazioni e in qualsiasi acquisto compresi gli oggetti più personali e femminili.
Il padre in casa si lascia andare a manifestazioni di rabbia verbale, scatenate da ogni piccolo pretesto. Vera ricorda che per un lungo periodo, il suo più grande desiderio e preoccupazione è stata quella di rendere felice il papà, e rassicurarlo sul suo amore. Il padre del resto, si dedica completamente alla famiglia; tutto il suo lavoro e attenzione è per le figlie verso le quali manifesta affetto con venature ambigue, ad esempio mantiene l’abitudine del bacio sulle labbra fino all’adolescenza di Vera.
A parole, è un uomo che sostiene l’indipendenza e autonomia delle ragazze, non si rende conto di quanto sia poco rispettoso della privacy e dell’intimità altrui. Dal suo punto di vista, desidera solo il meglio per le ragazze, che vorrebbe tutte laureate.
Infatti, Vera terminato il liceo, si trasferisce in una grande città per la Facoltà di Medicina ma non riesce a tollerare la separazione dalla famiglia. Ha una grave crisi che si manifesta con sintomi psichiatrici, autoaggressioni e disordini alimentari oscillanti tra l’anoressia e la bulimia, al punto da rendere necessario un ricovero in una clinica specializzata nel trattamento di disturbi alimentari. Ha quello che gli psicoanalisti Egle e Moses Laufer, definiscono un crollo evolutivo, un breakdown nella tarda adolescenza, che è l’espressione del ripudio del corpo sessuato che segue un tentativo di integrazione dello sviluppo genitale. Anche in questa emergenza, è il padre a prendersi cura della ragazza a deciderne il destino. Dopo circa un anno Vera è di nuovo in grado di riprendere i suoi studi, abbandona medicina per biologia.
Alla ricerca del compromesso
Vera abita in un appartamento insieme ad altri studenti, si innamora di un ragazzo più giovane con cui condivide la stanza, la loro quotidianità è povera, ripetitiva. Trascorrono il tempo in casa, dividono lo spazio ma hanno pochi scambi tra di loro, è come se vivessero due vite parallele a stretto contatto ma senza una vera relazione, compresa quella sessuale, quasi come due fratellini orfani che si sostengono a vicenda, un po’ come accadeva con le sue sorelle che manifestano anche loro sintomi e problematiche psicologiche. Questo stato prosegue per anni, Vera sostiene qualche esame ma è sempre lontana dalla conclusione, ritorna regolarmente al paese per le vacanze e ogni volta è come un viaggio a ritroso nel tempo. Ha due vite separate, tiene segreta le sue vicende cittadine, si allinea alla pensante scissione e negazione familiare, l’unica meta ammessa è lo studio, non sono riconosciuti i bisogni ed i desideri affettivi e tanto meno sessuali. Autolimitandosi in tutti gli aspetti della vita, Vera cerca un compromesso tra le regole paterne e la spinta evolutiva verso la crescita e lo svincolo dalla famiglia. E’ una studentessa che non progredisce, concludere l’università la farebbe sentire completamente in balia ad un desiderio che sente esterno a sé, significherebbe arrendersi al desiderio paterno.
Questa situazione prosegue fino alla morte del padre sopraggiunta dopo una malattia durata qualche mese: tutte le donne della famiglia lo assistono fino alla fine, sono momenti struggenti e dolorosi.
E’ profondo il lutto per la perdita del genitore amato ed odiato, è proprio l’ambivalenza che rende complicato il lavoro del lutto, che è vissuto come una sorta di tradimento della memoria paterna. La paziente è combattuta tra esigenze diverse, la sera prima di addormentarsi parla a lungo con il papà evocato, ma allo stesso tempo la sua vita subisce un profondo cambiamento. Inizia ad uscire da sola, lavora, sostiene qualche esame e soprattutto si chiude la relazione con il fidanzato-fratello. Frequenta qualche ragazzo, inizialmente si avvicina ad uomini svalutanti ed aggressivi che cerca di sedurre e di controllare, ripetendo così un copione antico che la vede nelle vesti perdenti della donna fallica che cerca di dominare il maschio con cui ha una relazione sessuale che esclude la possibilità della tenerezza e di affetto.
Poi incontra un coetaneo con cui instaura un rapporto in cui non è lei a fare tutte le parti e a preoccuparsi continuamente di quello che l’altro pensa ed agisce Si lascia andare ad una relazione che garantisce uno scambio emotivo e sessuale. E’ un’esperienza nuova per Vera, le piace ma la spaventa, lei così abituata al negativo a quello che lo psicanalista Andree Green chiama “lavoro del negativo”, azione delle pulsione di distruzione.
Verso una femminilità positiva
La paziente fa fatica a pensarsi in un modo meno danneggiato e deprivato che lasci spazio ad un’immagine di sé non solo come oggetto incestuale che serve da specchio al narcisismo malato e perverso di una coppia di genitori inadeguati e a loro volta immaturi e bisognosi. Si tratta di scoprirsi finalmente come una persona in un corpo sessuato e definito. E’ una sfida difficile e complessa che rende burrascoso anche l’alleanza terapeutica che oscilla tra momenti di grande coinvolgimento, ad altri in cui la paziente si allontana improvvisamente, non si presenta alle sedute e rifiuta qualsiasi tipo di contatto, fino a lasciarsi andare a sintomi regressivi legati al disturbo alimentare.
In quelle fasi, la terapeuta non si arrende, mantiene vivo il filo con la bambina spaventata che aggredendo l’alleanza terapeutica, mina la sua stessa possibilità di cambiamento e di crescita. Proprio in quelle crisi, anactment in cui Vera è libera di esprimere il proprio mondo interiore, è rivissuto il crollo evolutivo, che le dà però la possibilità di una nuova evoluzione.
In questi momenti la paziente ha ancora più bisogno che la terapeuta creda nella possibilità della sua esistenza come persona con una propria identità e mantenga aperta la speranza del cambiamento, proprio quella speranza che è andata perduta durante il break down adolescenziale.
La paziente esprime nell’agito disordinato e conflittuale i suoi sentimenti ambivalenti, senza per questo essere abbandonata o punita, ma confrontata sul significato relazionale e transferale.
Vera può essere una persona diversa dalla madre passiva e manipolatrice, può appropriarsi di una femminilità forte e positiva senza per questo diventare fallica o vittima passiva
Bibliografia
B. Bettlheim (1960) L’amore non basta: trattamento psicoterapico di bambini che presentano disturbi affettivi Ferro, Milano , 1977.
A. Greene (2010) Illusioni e disillusioni del lavoro psicoanalitico. Raffaello Cortina Editore, 2012.
Racamier P.C. (1995) Incesto ed Incestuale. Franco Angeli Editore,1995.
Articolo pubblicato sulla rivista Mente e Cervello, giugno 2012.
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