Autore: Dott.ssa Francesca Broccoli
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“La carenza di saggezza sistemica è sempre punita.”
G. Bateson
Che cos’è la terapia sistemico-relazionale? A cosa si ispira e cosa la caratterizza? In cosa, soprattutto, si distingue dagli altri modelli terapeutici?
Brevemente si potrebbe definire uno dei tanti modelli presenti oggi sul mercato della clinica (come quello psicodinamico, cognitivo-comportamentale, rogersiano, ecc.), ma naturalmente sarebbe riduttivo e iper-semplicistico.
Per me non è solo uno dei tanti approcci esistenti, perché è il modello che ho scelto per formarmi per lavorare come psicoterapeuta.
Adottare la cornice di pensiero offerta dal modello sistemico consente al terapeuta di ampliare molto il suo orizzonte di osservazione e ricerca, di non fermarsi alla dimensione individuale del sintomo, di esplorare le valenze relazionali che quel sintomo ricopre e di approfondirne i diversi livelli di significato, di ripensare alle storie portate dai pazienti, di costruire connessioni tra passato, presente e futuro e di offrire all’interlocutore nuove opportunità, secondo l’imperativo etico di H. von Foerster: “Agisci in modo da aumentare le possibilità di scelta”.
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Ma quali sono le origini del modello sistemico?
Il modello a cui faccio riferimento nel mio lavoro e che ha costituito la mia esperienza formativa fondamentale è il cosiddetto Milan Approach, o scuola milanese, i cui esponenti fondamentali e fondatori sono stati G. Cecchin (1932-2004) e L.Boscolo.
Tale modello trova le sue origini prima nelle ricerche e negli studi del Mental Rsearch Institute (MRI) di Palo Alto e, in seguito, nell’approccio sistemico sviluppato dal team di Milano tra il 1975 e il 1986, che si componeva di M. Selvini Palazzaoni, G. Prata, L. Boscolo e G. Cecchin.
La svolta tra il lavoro ispirato al modello strategico dell’MRI e lo sviluppo dell’approccio milanese fu determinata dallo studio del pensiero elaborato da G.Bateson, i cui innovativi contributi aprirono le porte ad un modo di raccogliere, elaborare ed utilizzare le informazioni sui sistemi umani nuovo e più complesso. Tali studi furono poi tradotti in una teoria e tecnica clinica caratterizzate da concetti originali e puramente sistemici proprio dall’equipe di Milano.
Questo stesso modello ha poi subito ulteriori evoluzioni teoriche arricchendosi di contributi importanti come quelli forniti dalla cibernetica di II ordine, dal costruttivismo e della narrativa.
Su cosa lavora un terapeuta che utilizza questo approccio?
Il lavoro del terapeuta sistemico-relazionale è un lavoro sulla relazione. Fin da subito il terapeuta presta attenzione agli elementi del contesto. Il processo terapeutico è orientato a cercare un significato al di là del comportamento sintomatico e a lavorare sugli “effetti pragmatici che la diagnosi ha sulle dinamiche interpersonali del sistema relazionale in esame”(Malagoli Togliatti e Telfener, 1991).
Uno dei pensieri guida del modello sistemico è che il contesto è matrice di significati. Cosa significa? Che senza tener presente o analizzare in quale contesto, in quale ambiente, in che luogo e in che tempo, in quale cultura, avviene un comportamento non è possibile comprenderlo e attribuirgli un significato. Un comportamento preso isolatamente, al di fuori del suo contesto di riferimento, non può essere decodificato, può avere nessuno o centomila significati.
Il paziente non viene considerato un’isola di cui si studiano le caratteristiche come se fossero aspetti indipendenti dai legami in cui emergono ed assumono senso, ma viene visto come una persona che si costruisce a partire dalle matrici psicologiche del pensiero famigliare in cui è cresciuto e vive.
L’interesse è rivolto al cambiamento della visione del mondo del paziente, cioè al cambiamento delle sue premesse, accompagnandolo nella rilettura della storia che ci porta.
Lo psicoterapeuta sistemico lavora dunque indagando la storia delle relazioni famigliari sia che si tratti di terapia individuale che di coppia o della famiglia con l’obiettivo di comprendere come i sono costruite le mappe attuali, quali dinamiche, quali fattori, quali legami hanno contribuito all’emergere del sintomo o del problema. Inoltre esplora la funzione che il sintomo riveste per i membri del sistema in esame, infatti esso esiste, si consolida e si alimenta solo se svolge una funzione utile a tutti i componenti della famiglia, seppur in modo doloroso.
Considerate le importanti valenze e funzioni dei sintomi, il modello sistemico esprime un grande rispetto per quello che essi rappresentano e fanno: evidentemente quel sintomo è il modo migliore che quella persona o quel sistema hanno trovato, fino a quel momento, per risolvere un problema. Il terapeuta ha il compito di comprendere, insieme al paziente, quali significati e funzioni esprime quel sintomo e attraverso quali modi alternativi e meno dolorosi si possono rinnovare i legami, rinegoziare gli accordi e rivedere i propri modelli, senza patologizzare necessariamente le crisi, inserendole invece in una trama di senso.
Si potrebbe aggiungere molto altro, ma aggiungerò solo, prendendo in prestito le parole di Bateson (in Verso un’ecologia della mente, 1976) che “il fiume modella le sponde e le sponde guidano il fiume”: la miglior sintesi sistemica possibile di quel che avviene in natura e, in ugual modo, tra le persone e tra i sistemi umani (anche durante una terapia).
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