Autore: Dott.ssa Maria Grazia Antinori
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Le famiglie si allarmano per l’insufficiente profitto scolastico dei figli; l’andare male a scuola è un campanello d’allarme del disagio psichico del giovane impantanato nella crisi adolescenziale. Molti sono i fattori che contribuiscono ad abbassare la motivazione allo studio, quali la non perfetta organizzazione scolastica, la qualità dell’insegnamento , le dinamiche del gruppo classe, ecc.
In base alla nostra esperienza osserviamo come il disagio scolastico si manifesti prevalentemente in quei giovani che, per la loro sensibilità o condizione, risentono maggiormente dei difetti e limiti dell’organizzazione scolastica.
La scuola non sempre aiuta i ragazzi che, per qualche verso, si differenziano dalla media dei coetanei. Spesso la diversità, sia questa espressione di particolare sensibilità o di problematiche psicologiche e sociali, si trasforma in un fattore di disturbo, di handicap che può grandemente acuire iol senso di isolamento e di inadeguatezza del giovane che si vive, per un motivo o per l’altro, “diverso”.
In questo contesto, l’insufficiente rendimento scolastico può rappresentare un’ulteriore pesante conferma della già bassa autostima del ragazzo “diverso”, rinforzandone l’autosvalutazione: “non valgo niente, non capisco nulla” che può trasformarsi nel fatidico “nessuno mi capisce”.
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Come psicoterapeuti dell’equipe dell’ARPIT , un’associazione di psicologia di Roma, ci troviamo ad accogliere adolescenti che richiedono aiuto nell’affrontare la crisi scolastica. Per esempio Giovanni,16 anni, secondo anno di liceo, si presenta parlando solo del suo andare male a scuola, del comportamento ribelle, della collezione di note in condotta che gli fanno rischiare la seconda bocciatura consecutiva. E’ proprio la paura di ripetere nuovamente l’anno che lo spinge verso la psicoterapia.
Giovanni colpisce per il aspetto massiccio: è molto alto e robusto, si muove come se fosse un solo blocco, in maniera automatica e a scatti: nonostante la sua altezza indossa delle scarpe da ginnastica con un’alta zeppa che lo impacciano e limitano nei movimenti. I suoi tratti somatici ricordano quelli di un bambino, il viso privo di peluria è poco espressivo e mobile, lo sguardo seminascosto dal cappellino.
Parla con una voce sottile, il linguaggio è povero soprattutto se rapportato al livello culturale e sociale dei genitori. La descrizione di Giovanni ci sembra il modo più immediato per evidenziarne le difficoltà d’identità, il suo corpo disarmonico è l’esatta descrizione del suo mondo interno confuso e allo stesso tempo coartato e spaventato.
Nella fase diagnostica il ragazzo accetta di sottoporsi a una batteria di test (Figura umana, Wartegg, Rorchach).
Il disegno della figura umana colpisce per la povertà ,stereotipia, senso di vuoto e mancanza di vitalità
Senza dilungarsi sull’elaborazione del test, vorremmo evidenziare come dal Rorchach si riscontri un adeguato livello intellettivo: ciò che rende Giovanni incapace di affrontare i compiti scolastici non è la mancanza d’intelligenza ma le complesse dinamiche emotive e relazionali.
Questa valutazione è stata verbalizzata al giovane sottolineando come le prove diagnostiche misurassero un adeguato livello intellettivo. La terapeuta ne ha valorizzato le capacità, distinguendo il problema scolastico dall’identità complessiva: Giovanni non è semplicemente l’allievo incapace ma piuttosto una persona con sfaccettature complesse ed articolate.
Il basso rendimento scolastico e le sue “insufficienze” non possono svalutare la sua persona: nessun individuo può essere semplicemente identificato con il problema che presenta.
Il processo terapeutico ancora n corso, si è snodato per tappe successive e complesse cui avventeremo solo per dire che, pur partendo dall’urgente problema scolastico, l’intervento si è presto esteso all’intera personalità del paziente.
A mano a mano che gli argomenti venivano affrontati in un contesto terapeutico psicodinamico, sono migliorati sensibilmente anche il comportamento e il profitto scolastico.
Giovanni ha recuperato in quasi tutte le materie ma soprattutto è riuscito ad integrarsi meglio nella classe e quindi a ricorrere meno alla provocazione e alla ribellione.
Soprattutto ha smesso di fare il giullare della classe, atteggiamento che rappresentava il suo tentativo di conquistare un’identità, un ruolo, anche se negativo, comunque sento più accettabile dell’essere considerato come lo studente inadeguato e ripetente.
Piano, piano Giovanni si è avvicinato a quei compagni che giudicava più capaci e dai quali si aspettava d’essere rifiutato, incontrando invece un’accettazione inaspettata e rassicurante.
Sonia, 18 anni, viene a consultazione per la grande difficoltà che prova nella relazione con un professore che secondo la giovane sottolinea troppo gli errori usando modi ironici ed aggressivi. Sonia piange spesso durante le lezioni di filosofia, le lacrime sono il suo unico modo per esprimere il grande disagio e la tensione emotiva che prova in classe.
Anche il racconto di questo problema è accompagnato da un pianto sconsolato che si protrae per molte sedute.
Nella fase diagnostica i test evidenziano gravi problemi di personalità e sottolineano invece una buona dotazione intellettiva. Sonia è sensibile, graziosa nell’aspetto, anche se insicura della propria identità femminile: non ha avuto esperienze con i ragazzi e se prova un particolare interesse per un coetaneo tende a comportarsi con apparente indifferenza.
Dal lavoro terapeutico emerge il legame speciale tra Sonia ed il padre dal quale non si sente capita. La ragazza non solo percepisce il genitore incapace di esprimerle affetto ma lo avverte anche come aggressivo e polemico nei suoi confronti.
Sonia soffre molto per questo atteggiamento del padre ma non lo ha mai comunicato chiaramente. Il tutto è reso più difficile dalla gelosia di Sonia verso la sorella minore; la ragazza desidera fortemente essere accettata e riconosciuta come la “figlia prediletta”.
La terapeuta incentra il suo intervento sull’ipotesi che Sonia sia particolarmente sensibile ai modi ironici e aggressivi dell’insegnante proprio per la somiglianza con l comportamento paterno. Per la ragazza il professore è una sorta di rappresentazione della figura paterna vissuta come molto svalutante ed ambivalente.
Sonia, in un certo senso, non riuscendo ad esprimere direttamente al padre i suoi ambivalenti sentimenti, si concede di farlo proprio con il professore a scuola in un contesto “altro” da quello familiare, spostando così l’espressione dei complicati vissuti edipici dall’oggetto originario, il padre, all’oggetto sostitutivo, il professore.
L’interpretazione di tale dinamica ha aiutato la ragazza a differenziare la figura paterna dal professore, riconoscendo meglio le caratteristiche reali del suo insegnante, rendendola meno suscettibile e reattiva in classe.
Per Sonia la filosofia è sempre una materia ostica, ma è migliorato notevolmente il so profitto scolastico. Questi due esempi ci sembrano dimostrazioni del valore comunicativo del disagio scolastico, del mal di scuola.
E’ proprio una caratteristica degli adolescenti quella di utilizzare l’azione, l’agire per comunicare all’ambiente circostante un loro stato d’animo, un bisogno , un conflitto.
Gli adulti purtroppo non sanno sempre ascoltare questo malessere agito e non espresso con le parole. Questo dialogo impossibile può trasformare quello che è un aspetto della crisi adolescenziale in un tratto stabile di personalità, limitando così il pieno sviluppo e realizzazione personale e sociale.
Un altro aspetto che ci pare significativo è come il profitto scolastico sia stato recuperato brillantemente senza bisogno di agire direttamente sulla scuola o sul metodo di studio.
I due ragazzi entrambi intellettivamente in grado di affrontare i programmi scolastici, proponevano un problema emotivo e relazionale che, affrontato e chiarito, ha permesso loro di riconquistare in breve tempo, anche la competenza scolastica.
Questo ci sembra sottolineare la necessità di considerare il ragazzo nella sua personalità, di non fermarsi al solo malessere o sintomo, quale andare male a scuola.
Pubblicato sulla rivista BABELE, N. 15, 2000
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