Autore: Dott.ssa Antonietta Muccio

estratto tesi

Uno sviluppo adeguato della personalità del bambino richiede un atteggiamento di disponibilità da parte dei genitori, la capacità di comprendere e soddisfare le esigenze del figlio e la disponibilità a fornirgli modelli di identificazione validi; caratteristiche che potrebbero non essere presenti in quelle famiglie caratterizzate da alti livelli di conflitto genitoriale. Non dobbiamo cadere nell’errore di pensare che i litigi genitoriali non abbiano ricadute sui figli poiché riguardanti questioni tra adulti o semplicemente perché non avvengono in loro presenza: vivendo a stretto contatto con i genitori questi vivono di riflesso (oltre che direttamente quando assistono in prima persona ai litigi) tali situazioni percependo l’ostilità anche da piccoli gesti (i bambini sono degli ottimi osservatori non dimentichiamocene!!). Le ricadute che si avranno sul figlio dipenderanno in larga parte dal rapporto che questi ha precedentemente instaurato con i genitori e dallo sviluppo cognitivo raggiunto: i bambini molto piccoli, infatti, potrebbero non possedere un bagaglio cognitivo ed emotivo tale da permettergli di comprendere la situazione e affrontarla indenni, inoltre il loro pensiero magico può portarli a ritenere che anche i loro pensieri possano (per magia appunto!) far succedere le cose, attribuendosi così la responsabilità del litigio e immaginando conseguenze ancora più gravi della realtà.

Nella nostra esperienza sono poche le persone che possono affermare di non aver mai visto o sentito i propri genitori litigare: litigi e piccole discussioni fanno parte della vita quotidiana ma, nonostante ciò, non tutti abbiamo sviluppato pattern comportamentali disadattivi e non tutti i genitori in conflitto hanno optato per la separazione. Qualora poi i genitori arrivassero a tale decisione, potremmo comunque osservare uno sviluppo socio-emotivo armonioso del figlio (se da una parte, infatti, la separazione coniugale può comportare un ampliamento dei conflitti genitoriali, è anche vero che talvolta questa può porvi fine; altra situazione è quella in cui questa avviene in assenza di conflitti nella coppia che insorgono soltanto durante l’iter processuale) a conferma del fatto che gli esiti maladattivi osservati non siano da imputare in toto alla struttura familiare. Allora cos’è che incide sullo sviluppo psicologico dei bambini? Negli ultimi anni la ricerca ha messo a confronto bambini provenienti da famiglie caratterizzate da alti livelli di conflitto (sia unite che separate) osservandone le interazioni e arrivando così ad affermare che, ciò che risulta essere deleterio per lo sviluppo del bambino è la modalità attraverso la quale i genitori affrontano e gestiscono i propri conflitti. Per quei bambini provenienti da famiglie contraddistinte dalla presenza di una gestione costruttiva del conflitto caratterizzata da un’alta qualità della comunicazione di coppia essendo presente in entrambi i partner la capacità di rivelare se stessi all’altro e di riconoscere le reciproche opinioni ed emozioni, si possono osservare ricadute positive in quanto, proprio grazie all’esposizione può apprendere modalità di risoluzione e di gestione del conflitto (e delle emozioni) costruttive ampliando le proprie capacità di problem solving e sviluppando un senso di sicurezza nelle relazioni familiari. Esiti negativi si osservano, invece, in quei bambini i cui genitori mettono in atto una gestione dei propri conflitti distruttiva caratterizzata da una comunicazione povera, da scarse capacità di argomentazione e manifestazioni di aggressività che bloccano ogni tentativo di metacomunicazione e ampliano il conflitto (talvolta portandolo al di fuori delle motivazioni che l’hanno generato e facendo riemergere vecchi risentimenti).

Di fronte al conflitto genitoriale non tutti i bambini reagiscono nel solito modo: alcuni mettono in atto strategie per ridurre lo stress negativo e l’attivazione del sistema nervoso autonomo impegnandosi in attività (quali disegnare, ascoltare la musica, giocare, etc.) che gli permettano di tenere la mente vigile ma lontana dall’agente stressante (coping mirato all’emozione), altri cercano di porre fine al conflitto intervenendovi direttamente (coping mirato al problema) spinti dalla convinzione che questo sia da loro controllabile. L’intromissione nel conflitto genitoriale non è esente da esiti negativi: non solo sovraccarica il bambino di responsabilità ma può provocare un travaso (effetto spillover) dell’aggressività coniugale alla relazione genitore-bambino. Si può osservare una propensione a intervenire nei conflitti genitoriali che aumenta bruscamente nell’età prescolare e che persiste fino alla media adolescenza, momento nel quale decade.

Le credenze dei bambini circa le loro abilità di proteggere e ripristinare obiettivi per loro importanti sono basate sulla storia delle loro precedenti esposizioni al conflitto familiare: mentre in un primo momento le risposte del bambino possono essere molto diverse tra loro “sperimentando” le varie modalità con cui farvi fronte, con il passar del tempo struttura modalità di risposta fisse che, una volta apprese, saranno generalizzate ad altri contesti in cui il bambino (e l’adolescente poi) si verrà a trovare. Se con il passar del tempo si convince che cercando di dominare gli altri si può ottenere ciò che si vuole, la rabbia diventerà la sua risposta al conflitto coniugale e, di conseguenza, l’aggressività e la coercizione saranno i comportamenti prescelti ogni qual volta i suoi obiettivi saranno minacciati, aumentando la probabilità di sviluppare problemi comportamentali quali aggressività, abuso di alcol e sostanze, etc; qualora il bambino si convinca di non essere in grado con il proprio intervento di ribaltare la situazione è molto probabile che la tristezza o la paura diventino le sue risposte tipiche al conflitto genitoriale aumentando la probabilità di sviluppare problemi internalizzati quali ritiro sociale, ansia, depressione, bassa autostima, disturbi somatici, etc.

Diversa, ma non per questo meno problematica, è la situazione in cui ai bambini è prestata molta attenzione perché inseriti nel conflitto e coinvolti in dinamiche triangolari disfunzionali (triadi rigide, situazione nella quale il confine tra il sottosistema genitoriale e il figlio diventa diffuso e quello intorno alla triade genitori-figlio diviene rigido) diventando protagonista attivo del conflitto. È il caso della PAS (Sindrome da Alienazione Parentale), sindrome relazionale che emerge nelle dispute per l’affidamento dei figli all’interno del processo di separazione (o divorzio) coniugale, in cui un genitore (genitore alienante, solitamente la madre, ma esistono casi in cui il genitore alienante risulta essere il padre; usualmente è quel genitore con il quale il bambino continua a convivere anche dopo la separazione) mette in atto un lavaggio del cervello (brainwashing) portando avanti una campagna di denigrazione nei confronti dell’altro genitore (genitore alienato) utilizzando tattiche non solo consce e deliberate ma anche inconsce e subconscie al fine di ottenere che il figlio si rifiuti di frequentarlo. Per parlare di tale sindrome il lavaggio del cervello deve conquistare il bambino tanto che in seguito sarà lui stesso a portare avanti questa campagna di denigrazione nei confronti dell’altro genitore aggiungendo contributi propri che, non di rado, superano le attese e i comportamenti del genitore alienante arrivando nei casi più gravi ad accusare il genitore alienato di abuso sessuale. Le conseguenze sul bambino derivano dal trauma della continua esposizione al genitore alienante che trasmette un vissuto di minaccia per l’avvicinarsi dell’ex coniuge (Gardner parla di abuso emotivo). Non tutti i bambini hanno la stessa probabilità di sviluppare la PAS, alcune caratteristiche individuali quali una bassa autostima, le risorse psichiche, la personalità, il sentimento di abbandono sperimentato e l’età (la fascia 7-15 anni si pensa sia quella maggiormente a rischio) pongono il bambino in una situazione di maggiore vulnerabilità all’azione alienante. Per quanto attiene lo sviluppo dei disturbi, il bambino è a rischio di sviluppare comportamenti aggressivi, tendenza all’acting-out, falso sé, difficoltà di apprendimento, disturbi psicosomatici, futuro carattere manipolatorio, etc., non solo nel breve ma anche nel lungo periodo. In una ricerca condotta su un campione di 38 soggetti adulti che avevano fatto esperienza di alienazione parentale da piccoli, si riscontra l’insorgenza nel lungo periodo di bassa autostima, depressione, problemi di alcool e droga, mancanza di fiducia negli altri, divorzio e conseguente alienazione verso i propri figli; inoltre alcuni soggetti riportano anche problemi d’identità, mancanza di un senso di appartenenza o mancanza di radici e un sentimento di rabbia e amarezza per il tempo perso con il genitore alienato.