Gen 29, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Marzia Chikada
vedi Sito Web dell’Autore http://pollicinoeraungrande.wordpress.com/
Society, have mercy on me
I hope you’re not angry if I disagree
Society, crazy indeed
I hope you’re not lonely without me
Eddie Vedder “Society”
A qualcuno capita almeno una volta la settimana. A qualcuno solo ogni tanto. Ad altri mai. Poi ci sono quelli che partono e non tornano più. Che alimentano i sogni di chi resta con storie ammantate di avventura e di luoghi nuovi a chi ascolta. Viaggiatori? Fuggitivi? Speranzosi? Credenti? Sono molti quelli che decidono, prima o dopo, di andare via dalla società e provare altro. Riprendere dei ritmi meno frenetici, cambiare il paesaggio fuori dalle loro finestre, non più condomini ma alberi, non più volti affaticati dal ritardo del bus ma terra sotto i piedi, non più il traffico della macchine ma orti da coltivare, non più master e alto rendimento, ma la fatica dell’incontro con la natura.
Le città perdono qualche cittadino, alcuni solo sognano di andare via, delusi da possibilità che non si concretizzano, da sotterfugi, stress, altri lo fanno. Scelgono un posto, a volte dei compagni di viaggio e partono. Le Comunità alternative alla città aumentano anche in Italia, comunità che si potrebbero chiamare hippie, mentre sono numerosi gli ecovillaggi. Alcune più strutturate, altre meno, più aperte al viandante, a chi è solo di passaggio. E poi ci sono i viaggiatori solitari, stanchi della società, che vanno soli alla ricerca di risposte.
Il film “Into The Wild” (2008) parlava della storia di uno di loro. Un giovanissimo uomo, Christopher McCandless, realmente vissuto, una famiglia classica, stereotipata, americana, una buona laurea. Regala i suoi risparmi e decide di andare via da una società che non gli lascia spazio per esprimere chi lui sia. Sicuro che troppa gente infelice accetti di rinunciare alla felicità per mantenere una blanda sicurezza, conformarsi ad un futuro certo ma senza spirito di avventura, decide di lasciare tutto, senza clamore e se ne va. Abbandona la famiglia, la sua vita passata e sceglie per la sua muova avventura un altro nome, quello di Alexander Supertramp. Si mette in viaggio verso l’Alaska, convinto che l’essenza dell’uomo sia essere nomade, libero. Il suo viaggio, pure costellato di nuovi volti e conoscenze, finirà tragicamente con un avvelenamento, dopo due anni. Due anni che però avrà scelto consapevolmente, vissuto con pienezza, attimo per attimo. La riflessione che ne trarrà, prima di morire solo in un bus abbandonato, sarà una semplice verità “Happiness is real only when shared” (La felicità è reale solo se condivisa), una frase tenera se pensiamo che questa emozione è stata vissuta in solitudine.
Andare via. Fuga o scelta? Possiamo parlare di scelta in questo caso o di incapacità di stare alle regole della società? Andare via è un problema di ordine psicologico o una decisione presa consapevolmente con l’obiettivo reale di stare meglio? “Se non puoi più imparare niente, vai via da scuola” diceva Daniel Pennac in un suo intervento anni fa. La stessa cosa può dirsi per la società? Certi abbandoni, nella famiglia ma anche nel sistema allargato della società, si definiscono solitamente come ritiri psicologici.
leggi intero articolo anche su http://pollicinoeraungrande.wordpress.com/2013/10/30/in-fuga-dalla-societa-scelta-psicologia/
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Gen 28, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Sara Bini
vedi Blog dell’Autore http://www.sarabini.blogspot.it/
“Io cerco la serenità, più che la felicità. La felicità è come essere stati un giorno a -20°C e poi entrare in una stanza a +40°C. Lì per lì c’è sollievo ma dopo dieci minuti si suda” (Il Celle)
Se dovessi immaginare una visione onesta dell’essere umano, lo considererei un ‘work in progress’. Io stessa mi sento così: errante, in divenire, mai arrivata, mai completamente appagata. Allo stesso tempo però, paradossalmente, se mi fermo a respirare la Vita, in ogni momento mi sento a Casa, arrivata, in pace e appagata.
Sto imparando che ogni passo del Sentiero ha il suo senso di essere, anche quello doloroso. E più fai resistenza, più crei sofferenza. Il counseling aiuta proprio a costruire un oasi di riconciliazione e di benessere all’interno della propria mente e, di conseguenza, all’interno della propria vita.
L’incontro di counseling è un laboratorio dove possiamo prendere in visione e sperimentare in modo protetto nuove possibilità di essere: nuovi modi di fare, sentire e pensare.
Il counseling è uno spazio evolutivo. Molte persone non hanno bisogno di terapia nel senso classico del termine quanto di un accompagnamento verso un altro livello di esistenza – il che significa un maggiore livello di consapevolezza.
Il counseling è una via verso l’Armonia. Ti aiuta a creare uno spazio interiore dove poter cambiare ciò che è possibile cambiare e accogliere ciò che è nuovo o che non può essere cambiato.
http://www.sarabini.blogspot.it/2014/01/una-via-verso-larmonia.html
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Gen 27, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Simona Esposito
Dalla seconda metà degli anni “80 nel sol levante si è iniziato a parlare di Hikikomori, che letteralmente significa: stare in disparte, con questa terminologia lo psichiatra giapponese direttore del Sofukai Sasaki Hospital che la coniò, Saito Tamaki , definì il comportamento osservato in diversi giovani che avevano scelto di ritirarsi dalla vita sociale. Gli Hikikomorian, ossia coloro che praticano l’Hikikomori, hanno la tendenza a ritirarsi nella propria stanza senza più uscirne per lunghi periodi di tempo, si tratta di un autoreclusione della durata superiore ai 6 mesi, in cui non si hanno contatti con l’esterno, vengono abbandonati gli amici e ogni forma di comunicazione con la famiglia. Questo fenomeno coinvolge soprattutto i giovanissimi, infatti è stato riscontrato in ragazzi di 12 anni, non mancano casi di persone di un età maggiore come i 30 anni. Riguarda soprattutto soggetti di sesso maschile con un estrazione sociale medio-alta. Lo stile di vita del giovane hikikomorian si caratterizza da una vita sedentaria, dedica il proprio tempo ai fumetti e al pc, inverte il ritmo sonno-veglia, consuma il cibo in solitudine escludendo ogni contatto esterno.
Esistono differenze socio-culturali tra il fenomeno Hikikomori giapponese e quello europeo, poiché il fenomeno appare come una forma di ribellione contro il sistema sociale che si differenzia tra l’Occidente e l’Oriente. La cultura giapponese è caratterizzata dalla presenza di regole eccessivamente rigide ed i giovani si ribellano proprio a queste rifugiandosi nella propria abitazione, come forma di protesta silenziosa, in Occidente, invece, è proprio l’assenza di un sistema coerente e sistematico di regole sia sul piano sociale, relazionale che lavorativo a creare nel giovane la percezione di sentirsi incapace, inadeguato, a non saper trovare il proprio ruolo nel mondo, per cui tende a rifugiarsi nel mondo a lui più rassicurante. Un’altra differenza tra il fenomeno dell’Hikikomori in Oriente e quello Occidentale è che gli hikikomorian europei fanno un uso eccessivo delle nuove tecnologie, mantenendo un contatto con l’esterno tramite internet, per tale ragione questo fenomeno spesso viene associato e confuso con il disturbo da dipendenza da internet (IAD). La comunicazione virtuale per gli hikikomorian europei rappresenta l’unica forma di relazione. Alcuni medici hanno osservato che la mancanza di contatto sociale e la prolungata solitudine determinano nei giovani una perdita delle competenze sociali e comunicative. Purtroppo però le persone coinvolte in questo fenomeno non si rendono conto della gravità, per cui non sentono alcun bisogno di richiedere aiuto, proprio per tale ragione è importante che vi sia informazione in modo da aiutare chi è già coinvolto attraverso un aiuto psicoterapeutico o prevenire il fenomeno.
Nonostante il fenomeno dell’Hikikomori stia dilagando non esiste ancora una collocazione del disagio all’interno di manuali diagnostici, tuttavia criteri individuabili sono: il ritiro sociale da almeno 6 mesi, riduzione delle relazioni e incapacità di comunicazione, inversione del ritmo sonno-veglia, rifiuto scolastico e/o lavorativo e noia. Tale fenomeno può emergere in soggetti depressi e con comportamenti ossessivo-compulsivi. Il ritiro dalla società avviene gradualmente, per cui è importante osservare i comportamenti dei giovani, essi possono apparire infelici, diventare insicuri, timidi, arrabbiati, iniziare a parlare di meno e a perdere i loro amici. Un genitore che osserva ciò deve creare un clima di accettazione in cui il giovane si senta accettato e sereno in modo da potersi aprire esplicitando le proprie insicurezze.
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Gen 25, 2014 | Psicologia |
Autore: Dott.ssa Laura Messina
Il ruolo, gli obiettivi e gli strumenti dello Psicologo
La vera riabilitazione deve attraversare la vita quotidiana: un buon clima familiare, una casa, un lavoro e uno spazio personale nell’universo del sociale.
Noi Psicologi non dobbiamo dimenticare che stiamo lavorando con persone e non con diagnosi, con uomini e donne e non con casi clinici …
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