Autore: Dott.ssa Lucietta Amorosa

L’immigrazione è un fenomeno in costante crescita e appare strutturalmente destinato a catalizzare problemi, a produrre quesiti, a richiedere adattamento e mutamenti. Presenta, dunque, implicazioni culturali, economiche, di ordine pubblico e soprattutto comporta dei cambiamenti anche molto rilevanti da un punto di vista psicologico e sociale, cambiamenti che difficilmente possono essere compresi se consideriamo il fenomeno dell’immigrazione su una linea di omogeneità, piuttosto che su una prospettiva che riconosca le reciproche differenze tra individui.

Gli studi in psicologia clinica e sociale mettono in evidenza, infatti, che nel momento in cui persone provenienti da contesti etnici, sociali, culturali e psicologici molto diversi si incontrano, vengono attivati una serie di meccanismi difensivi (ad esempio aggressività, paura, ansia, intolleranza, ecc…). L’attivazione di tali meccanismi, presenti sia negli immigrati che nella popolazione del Paese di accoglienza, permette di difendersi da stimoli ritenuti pericolosi in quanto percepiti come diversi rispetto alla situazione attuale e come potenzialmente capaci di modificare gli equilibri esistenti. Dunque, a livello psicologico, i meccanismi di difesa sembrano funzionali ad una salvaguardia in senso adattativo, tipica delle situazioni in cui ci si trova di fronte a nuove esperienze cognitive e affettive.
Uno dei concetti cardini intorno al quale ruota l’immigrazione e i disagi frequentemente connessi ad essa è quello di integrazione che si presenta come un fenomeno dinamico e pluridimensionale.
L’integrazione è considerata in termini di processo, ossia come un percorso che coinvolge due entità distinte: l’individuo che cerca di inserirsi nel contesto di accoglienza e la società ospitante che lo aiuta, lo lascia fare o lo ostacola nel raggiungere il proprio scopo (Golini, Strozza e Amato, 2001). Nella sua accezione di processo, comprende tutte le modalità attraverso le quali l’immigrato può essere incorporato nella realtà di adozione; l’inserimento può assumere forme e caratteristiche differenti, in un continuum che va dall’assimilazione al multiculturalismo (Coleman, 1994).
Alcune problematiche sociali, ad esempio fenomeni di disadattamento, di delinquenza, fino a determinate forme di psicopatologia, evidenziano un profondo stato di sofferenza nel momento in cui ci si trova ad affrontare il problema di come integrare all’interno della propria cultura persone con valori e idee differenti (Nathan, 1990, citato in Ghilardi, 2009). Una spiegazione di questi fenomeni deve essere rintracciata nella comprensione di ciò che rappresenta il valore psicologico, individuale e collettivo, il quale è attribuito ad aspetti anche concreti, formali e organizzativi, come potrebbe essere il porre un limite oppure il delimitare un territorio o un confine, che nel caso dell’immigrazione viene posto in discussione. Infatti, il limite e il confine sono importanti strumenti che identificano e riconoscono le differenze, pertanto è evidente che nel momento in cui tutto ciò che è sempre stato percepito come un limite o un confine sia modificato o minacciato, emergano determinate ansie e timori.
Dunque, in molti casi il fenomeno dell’immigrazione può acquisire un suo adattamento nel tempo, in molti altri può procurare alcuni problemi sociali. Infatti, come già è stato detto, l’incontro di culture e di razze diverse può provocare, sia all’interno della popolazione che accoglie sia negli immigrati, ansie, connesse a loro volta al timore di essere invasi da qualcosa di sconosciuto che minaccia la propria identità e i processi attraverso i quali gli individui si sono sempre riconosciuti. Tutto ciò potrebbe comportare alcune reazioni che si muovono su versanti opposti: da una parte c’è l’idea di un’assoluta omogeneità ed uguaglianza (ossia le persone sono tutte uguali e quindi non c’è niente di cui aver paura), dall’altra, l’idea che tutto ciò che è diverso da noi è per sua natura molto pericoloso, in quanto rappresenta una minaccia alla propria integrità. Tali reazioni di difesa a ciò che in realtà è l’ansia legata all’incontro con una nuova cultura, evidenziano un’eccessiva rigidità e una difficoltà ad operare dei cambiamenti; inoltre, potrebbero determinare una vera e propria negazione rispetto a un dato di realtà che va riconosciuto, accettato ed elaborato adeguatamente per essere contenuto.
A tal proposito è necessario sottolineare l’importanza dell’intervento psicologico nei diversi contesti sociali come la scuola, che rappresenta il terreno di incontro per eccellenza tra individui diversi per provenienza sociale, etnica, culturale e politica. E’ proprio all’interno di questo contesto che lo psicologo può intervenire informando e sensibilizzando gli alunni relativamente al fenomeno migratorio, anche partendo dalla proiezione di film sull’argomento per poi lasciare i ragazzi discutere, confrontarsi ed esporre i loro dubbi e incertezze. Sarebbe opportuno, inoltre, organizzare incontri di gruppo basati sul confronto interculturale tra genitori italiani, genitori stranieri e personale educativo durante i quali poter confrontare le loro visioni, condividere le loro reazioni emotive, al fine di affrontare in modo costruttivo l’esperienza dell’“Altro” e della mediazione tra universi culturalmente determinati.
Dunque, l’incontro tra gli immigrati e il Paese di accoglienza è un incontro tra differenze e l’elaborazione deve essere fatta considerando tali differenze. Il ruolo dello psicologo è quindi quello di aiutare e sostenere i soggetti coinvolti nel fenomeno migratorio, di accogliere e contenere le loro ansie, timori, angoscia per poterle elaborare e comprendere in maniera consona. Inoltre, il suo compito è anche di facilitare tale incontro al fine di produrre un processo di integrazione, inteso come la capacità di operare dei cambiamenti al proprio interno, da parte di entrambi gli attori coinvolti e non da parte di uno solo di essi, attraverso un adattamento reciproco.

Bibliografia

  • Coleman, D. (1994). International migration: regional processes and responses. UN Economic commission for Europe, UN Population fund, Economic studies n. 7 (pp. 41-76). New York e Geneva.
  • Colombo, M. (2010). Alunni stranieri in Italia. In Rassegna Bibliografica “Infanzia e Adolescenza” n. 1. Firenze: Istituto degli Innocenti.
  • Ghilardi, A. (2009). Noi e loro. L’integrazione psicologica nell’emigrazione. In International Journal of Psychoanalysis and Education, n. 2, vol. I, anno I.
  • Golini, A., Strozza, S. e Amato, F. (2001). Un sistema di indicatori di integrazione: primo tentativo di costruzione. In Zincone, G. (a cura di), Secondo rapporto sull’integrazione degli immigrati in Italia (pp. 85-153). Bologna: Il Mulino.