Autore: Dott.ssa Maria Grazia Antinori

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Nell’articolo viene sottolineato un aspetto particolare del caso clinico di Freud dedicato a Dora, ossia l’uso ripetuto del termine “segreto”.L’autore propone che la paziente di Freud con i suoi segreti, cerchi di preservare lo spazio privato del Sé, per proteggere la sua privacy da un clima familiare incestuale caratterizzato dalla confusione dei ruoli e delle generazioni.Si propongono e si confrontano altri autori che hanno espresso il loro pensiero sul segreto, la privacy, lo spazio privato del sé, in particolare M. Khan, Winnicott e Racamier. Riferendosi alla cornice teorica di Racamier sul tema dell’incestualità e del lutto originario, si considera la distinzione dei segreti libidici da quelli  incestuali. Si propongono esempi clinici dall’autore per illustrare i diversi aspetti teorici.
 Il segreto  nel caso di Dora
    Il termine segreto, dal latino secretu -separare-, è una parola complessa  e ricca di significati contrapposti tra loro che coinvolgono l’individuo, la famiglia ed il gruppo sociale; può essere inteso come preservare, proteggere o nel senso di escludere, censurare, negare.
   Nel vocabolario Zingarelli il termine -segreto- è sinonimo di appartato, nascosto, occulto, celato, intimo, recondito, privato, particolare, che è fatto di nascosto dagli altri, che è accessibile a pochi, che non rivela agli altri la propria identità, che conserva quanto gli viene confidato senza riferirlo ad altri.
  Il segreto ricorre più volte nel caso Dora, uno dei più noti esempi clinici di Freud descritto nel 1905, come “petit hystèrie”.
  “Il frammento di un’analisi d’isteria” ricopre un valore importante per la teoria psicoanalitica delle nevrosi poiché contribuisce alla tecnica dell’analisi, all’interpretazione dei sogni e soprattutto segna una tappa essenziale per la scoperta del transfert come elemento fondante del processo analitico.
   Freud accenna al segreto descrivendo l’esperienza di Dora, baciata a quattordici anni dal Signor K, la cui moglie era l’amante del padre della ragazza.
   Dora mantiene il segreto sull’episodio fino a quando non ” lo confesserà” a Freud nel corso della cura durata pochi mesi, iniziata ai diciotto anni della paziente per richiesta del padre che, a sua volta, era già stato curato con successo da Freud.
   Altro contesto in cui ci si imbatte nel termine -segreto- è nella descrizione del rapporto di Dora con i medici che la seguono nel corso degli anni: “Il medico era il solo di cui la paziente avesse fiducia, perché in questa occasione aveva potuto avvedersi che egli non aveva scoperto il suo segreto. Ogni altro medico di cui aveva potuto ancora farsi un giudizio le dava un senso d’angoscia di cui sappiamo il motivo: egli avrebbe potuto scoprire il suo segreto”. [1]Il segreto cui accenna Freud, riguarda la masturbazione
Freud pensa che Dora giochi ad avere un segreto con lui, ossia che sia predisposta a lasciarsi strappare il suo segreto.
   A tale proposito, riporta un episodio dell’analisi definita come un’azione sintomatica: egli entra nella stanza d’attesa e scopre Dora intenta a leggere una lettera che subito nasconde: “Le domandai naturalmente di chi fosse, ma Dora si rifiutò dapprima di rispondermi. Risultò poi che la cosa era assolutamente indifferente e senza relazione alcuna con la cura. Si trattava di una lettera della nonna che la esortava a scriverle più spesso. “
Nel poscritto al caso clinico, è impiegato ancora una volta il termine segreto: “ Essa anche coscientemente mi paragonava sempre al padre, cercava ansiosamente di accertarsi si io fossi veramente sincero con lei o non facessi invece come il padre che diceva, “preferiva sempre i segreti e le vie traverse”.
   E’ il segreto che unisce e separa i diversi personaggi della vicenda: la relazione segreta tra il padre di Dora e la Signora K, il corteggiamento di Dora da parte del Signor K, l’innamoramento della governante di Dora verso suo padre.
   Soprattutto sembra che Dora come gli altri personaggi della storia, agisca per fini segreti, volontariamente celati, e non solo inconsci e rimossi alla coscienza e alla consapevolezza.
   “Chi ha occhi per vedere e orecchi per intendere, si convince che ai mortali non è possibile celare nessun segreto. Chi tace con le labbra chiacchiera con la punta delle dita, si tradisce attraverso tutti i pori. Perciò il compito di render coscienti le cose più nascoste dell’anima è perfettamente realizzabile.
  Freud sembra implicato nel gioco del segreto nel ruolo di analista che svela l’inconscio, certamente, ma anche in quello di chi cerca “di far confessare” alla paziente i suoi segreti volontari.
   I segreti di Dora, del resto, sono solo parzialmente celati come ad esempio la lettera che questa scrive sul proposito di suicidarsi e che il padre troverà, determinando la richiesta di trattamento della figlia.
   La lettera con le minacce di suicidio, ricorda l’altra lettera inviata a Dora dalla nonna, lettera apparentemente innocua, che pure viene nascosta e contemporaneamente, mostrata, provocando la curiosità dell’analista che rimane deluso dal contenuto della scoperta.
   Freud scrive del “gioco segreto di Dora”, ma qual è il suo gioco?Si potrebbe considerare l’episodio della lettera della nonna come una verifica del comportamento dell’analista di fronte a qualcosa mostrato che è contemporaneamente celato, uno spazio privato segreto.
    Di fronte alla prova, Freud si comporterà come il padre di Dora, penetrando nello spazio privato della ragazza. Non è indicativo il contenuto del segreto, ma piuttosto il gesto del nascondere-mostrare cui segue l’azione di penetrare sia del padre sia dell’analista.
  Dora è molto provocante con il suo mostrare e nascondere, parlare e tacere, comparire e sparire. In un certo senso, ricorda il movimento del rocchetto tirato dal nipotino di Freud, ciò che compare e scompare non è un oggetto o la rappresentazione simbolica della madre, ma è la stessa persona di Dora.
  Del resto, Dora si mostra continuamente quasi a sfidare e allo stesso tempo determinare una situazione “cartina da tornasole” per valutare la reazione dell’altro.
  L’analisi descritta da Freud sembra una raffinata tattica di caccia, ma non è sempre evidente chi è il cacciatore.
 Freud come del resto il padre di Dora, il Signore e la Signora K, la governante, sembrano interessati a un aspetto parziale di Dora o al ruolo da lei coperto, nel complesso e ambiguo gioco tra i personaggi.
  “Nei momenti di maggiore amarezza le s’imponeva l’idea di essere stata consegnata a K come prezzo per la sua tolleranza della relazione tra suo padre e la moglie, e sotto la tenerezza di Dora per suo padre si poteva sentire l’indignazione per un simile impiego di se stessa.
  La scoperta di essere usata per uno scopo personale, porta Dora a chiedere il licenziamento della sua governante che la giovane sapeva innamorata del padre.
  “Essa (Dora) si ritirò soltanto, quando si accorse, di essere completamente indifferente alla governante e che l’amore che questa sembrava rivolgerle, in realtà, fosse diretto a suo padre”.
  La stessa amara scoperta che Dora farà anche con la Signora K verso la quale provava molta ammirazione: “ anche la Signora K non l’aveva amata per se stessa, ma per suo padre, l’aveva sacrificata senza esitazione per non essere disturbata nella sua relazione con lui: Forse quest’offesa l’aveva colpita più da vicino, aveva avuto su Dora un’azione più patogena dell’altra con cui ella cercava forse di mascherare l’offesa fattale dal padre sacrificandola”
  Del resto, la stessa Dora, si avvicina ai bambini del Signor K, a sostituzione del suo legame con lui, lo stesso Freud è motivato dalla curiosità e dall’interesse scientifico.
 Nel momento in cui Freud le comunica la sua soddisfazione per i risultati ottenuti nell’interpretazione del secondo sogno, la paziente ribatte con il suo solito atteggiamento che la porta a confutare le interpretazioni : “Dove sarebbero questi grandi risultati?, frase che potrebbe essere parafrasata con -quale sarebbe la grande scoperta dei miei segreti?-
  La paziente, del resto, tende a esprimere i moti affettivi con la loro espressione in forma contraria o attribuendo ad altri i propri sentimenti, si potrebbe interpretare il suo commento sarcastico anche con: “Stai entrando troppo velocemente e pericolosamente nel mio spazio privato!”
  La seduta successiva, la ragazza esordisce annunciando la sua decisione di interrompere l’analisi, cosa che viene accetta e rispetta.
  Freud commenta nel poscritto: “sarei riuscito a trattenere la ragazza se avessi sostenuto una parte? Se avessi esagerato il valore che annettevo al suo ritorno? Se avessi dimostrato per lei un caldo interessamento, che malgrado l’attenuazione derivante dalla mia posizione di medico avrebbe in un certo modo potuto sostituire la tenerezza da lei tanto desiderata? Non lo so. Poiché alcuni fattori che si oppongono come resistenza rimangono in tutti i casi ignoti, ho sempre cercato di evitare di sostenere una parte contentandomi di un’arte più modesta. Nonostante l’interesse teorico, tutto il desiderio professionale di soccorrere il malato, io mi dico che ogni influenza psichica deve avere dei limiti e rispetto, come tali anche la volontà e acume del paziente.”
  Anche se Freud sembra essere sedotto dal segreto di Dora, ne riconosce il diritto al rispetto della sua volontà e intelligenza.
  Dora non sembra desiderare che un’altra persona, sia questa Freud o un altro medico o i suoi genitori, penetrino nei suoi segreti. Sembra voler mostrare i segreti, desidera che siano visti e riconosciuti, ma non violati o svelati, mostrare i segreti, è come evidenziare la propria unicità e contemporaneamente chiedere il rispetto della privacy.
  La giovane paziente prosegue l’analisi per alcuni mesi, la domanda che si potrebbe porre è cosa le abbia consentito di “resistere” per undici settimane.
  Mantenere o creare il segreto sono come giocare a nascondino, questo sembra l’ambivalente gioco di Dora che da una parte vorrebbe essere scoperta, ma dall’altra teme di essere violata nella sua intimità.
  Il segreto, del resto, può essere condiviso solo con una terza persona non direttamente implicata nella situazione segreta: il bacio tra il Signor K e Dora è rivelato a Freud, così come la lettera con la minaccia di suicidio è scoperta dal padre e confidata al medico.
  Nell’episodio della lettera della nonna, il presunto segreto è di Dora verso Freud, si forma quindi un’area che coinvolge direttamente la persona dell’analista che è così catturata nella ragnatela della segretezza.
  Del resto, lo svelamento troppo rapido del contenuto del secondo sogno, è seguito dalla brusca interruzione dell’analisi, interruzione che si è rivelata preziosa per la storia della psicoanalisi in quanto ha permesso a Freud di scoprire la grande potenza del transfert come fattore di cura e di cambiamento.
  Quando Dora comunica a Freud la sua intenzione di interrompere l’analisi, forse quello che nell’ultima seduta commuove la paziente e la rende finalmente collaborativa, è proprio il rispetto di Freud, egli non entra nel merito delle ragioni dell’interruzione, accetta e rispetta lo spazio privato di Dora.
 Confronto dell’uso  del segreto in  Freud con un caso clinco di Khan
  Masud Khan riferendo di un caso clinico, definisce il segreto come uno spazio potenziale.Descrivendo l’analisi di Caroline, una giovane donna molto confusa che porta nell’analisi una “atmosfera di segretezza” egli sceglie di tollerarla come uno spazio privato del se, evitando di interpretare gli stravaganti comportamenti della paziente, sia in analisi sia fuori.
  Ogni seduta è un avvenimento isolato, un collage di frammenti bizzarri ed effimeri stati d’animo che non permettono di fare progressi.
  L’analisi ha una svolta, quando emerge un episodio segreto dell’infanzia in seguito del quale la paziente chiede a Khan se si fosse accorto di come dimenticasse regolarmente degli oggetti nella sala d’attesa.
L’analista le risponde che se ne era reso conto e anzi, aveva osservato come questo coincidesse al periodo in cui era diventata molto sospettosa verso il suo compagno perché temeva che questo volesse controllare la sua vita. Ne aveva dedotto che le dimenticanze di Caroline fossero un modo di utilizzare lo spazio nella sala d’attesa per lasciarci, durate il fine settimana, un oggetto che rappresentasse una parte molto primitiva del suo Sé.“.. una persona può nascondere sé stessa dietro ai sintomi, ma può anche assentarsi in un segreto. In tal caso il segreto costituisce uno spazio potenziale in cui l’assenza prende la forma di una sorta di animazione sospesa. Come la tendenza antisociale (Winnicott), così il segreto implica la speranza che un giorno si potrà venirne fuori, che qualcuno ci troverà e ci parlerà e così potremmo tornare a essere persone intere, che vivono insieme con gli altri….ciò che si assenta in un segreto si pone fuori dalla portata da ogni elaborazione.
 Ciò che conta è l’atto, non il simbolico. la persona diventa essa stessa il segreto ma nello stesso tempo la sua vita presente non ne partecipa affatto.. la presenza di un segreto determina un vuoto nella psiche individuale che viene reattivamente mimetizzato con ogni sorta di eventi bizzarri, sia intrapsichici che interpersonali.
  Come Dora, anche Caroline, utilizza la sala d’attesa come un territorio intermedio in cui mettere alla prova l’analista, inscenando un atto segreto.
Lo spazio privato del Sè: i segreti libidici ed incestuali
  Freud nel 1905 all’alba della psicoanalisi, penetra nel segreto; Khan nel 1990 rimane fuori dal gioco del segreto, anche se lo riconosce e lo restituisce alla paziente nel momento in cui lei stessa ne parla apertamente nella stanza d’analisi.
  Riconoscere il segreto senza farsi intrappolare dalla sua ragnatela, determina una svolta decisiva nell’analisi e nella vita della paziente di Khan, mentre il tentativo di Freud di svelare prematuramente il contenuto del segreto, coincide con l’interruzione dell’analisi.
  Del resto, il Freud di qualche anno successivo nel 1913, nello scritto “Le bugie di due bambine” già riconosce il valore delle bugie e quindi del segreto: ” Numerose bugie di bambini ben educati, hanno un significato particolare e dovrebbero far riflettere gli educatori anziché irritarli. Esse si verificano per l’influsso di impulsi d’amore straordinariamente forti e diventano fatali se provocano un malinteso tra il bambino e la persona che egli ama .
 Il segreto può essere inteso anche come spazio privato, “privacy”, area da mantenere delineata e separata, il nostro Sé privato che ci definisce e distingue dagli altri. Senza questo spazio, non esisterebbe neanche la possibilità di riferirsi a un Io quando parliamo di noi stessi.
  Come per Adamo, un giovane paziente che non riesce a far rispettare ai suoi genitori, la porta chiusa della sua camera o del bagno. Lui stesso si sente così, senza spazio delineato, senza identità, ha ventiquattro anni ma è affettivamente e sessualmente un bambino. La sessualità è per lui autoerotismo impregnato di fantasie transessuali. Non si sente uomo, ma neanche donna o omosessuale o transessuale, è fondamentalmente rimasto il bambino perverso polimorfo descritto da Freud.
  Non esistendo per Adamo uno spazio privato, uno spazio potenziale del sé, non c’è per lui neanche la possibilità di esistere se non come “una pallina da ping-pong” che prende vita, energia, direzione, solo nello scontrarsi con gli altri.
  Se non c’è questo rimbalzo, Adamo sente ansia, inquietudine, ma non sa cosa fare di se stesso, non sa dove andare o dirigere la sua energia che si trasforma in confusione che cerca di dominare con il “metodo”, ossia una lunga e complicata serie di rituali che lo aiutano a ordinare alle sue giornate senza direzione e scopo.
Racamier in “Incesto e Incestualità” distingue due tipi di segreti, libidici e antilibidici che hanno però in comune il tema ossia, il sesso, la morte, la genesi o la fine della vita.
 Sono due entità profondamente diverse in quanto i segreti libidici sono aperti alla vita e in un certo senso la proteggono, mentre i segreti antilibidici hanno una funzione opposta di sbarramento e di chiusura.
  Così come i segreti libidici arricchiscono, diventando materia dei sogni e legame tra gli individui, quelli antilibidici formano un serio e potente blocco alla possibilità di pensare.
 I segreti del piacere sono segnalati nell’ambiente attraverso indizi che delimitano un territorio privato, uno spazio“ transizionale interno”, un’area di privacy, simile a quello del sogno, area che può essere assimilata all’oggetto transazionale e al suo uso come descritto da Winnicott.
  Uno spazio privato che secondo Racamier, è fondamentale per la stessa sanità dell’Io: “Garanti della nostra intimità, testimoni dei nostri limiti, sono della stessa sostanza dell’Io. Poiché non c’è Io che tenga senza che tenga i suoi segreti…il diritto al segreto è una condizione per pensare”
  Il segreto di Dora, come quello della paziente di Kahn, sono due esempi di segreti libidici, quindi espressione dello spazio privato, della privacy.
   L’assenza di aree private, nel caso del paziente Adamo, è invece un esempio di un Io sofferente per mancanza del diritto al segreto.
  Del resto il clima emotivo che intreccia la famiglia di Dora con i signori K, ricorda quella che Racamier definisce “atmosfera incestuale”: “L’incestuale è un clima in cui soffia il vento dell’incesto. Ovunque arrivino le sue raffiche, si crea il deserto, si instilla il sospetto, il silenzio ed il segreto.
  I rapporti tra i diversi personaggi sono improntati al segreto, alla negazione e alla manipolazione dell’altro, in quest’atmosfera invischiata e invischiante, Dora sembra essere alla ricerca di una sua identità personale che trascenda il ruolo e la funzione di collante, di legamento tra i diversi protagonisti della vicenda.
  Dora mostra i suoi segreti libidici e contemporaneamente difende il diritto alla sua privacy e quindi a un’identità definita e dai confini precisi.
 
Un esempio clincio del segreto incestuale: la storia di Angela
  Ben diversa è la situazione in cui il paziente si fa portatore di un segreto incestuale, quindi di un segreto che impedisce di pensare e di sapere, rendendo così inattaccabile lo stesso segreto.
  Il segreto in primo piano, è comunque, secondo Racamier, un pretesto che nasconde la mancata elaborazione del processo del lutto originario, ossia di un processo psichico fondamentale, per il quale l’Io fin dalla prima infanzia, inizia a emergere rinunciando al possesso totale dell’oggetto, compiendo il lutto di un’unione narcisistica assoluta, temperando la seduzione narcisistica con la madre.
  Tramite il lutto originario si fondano le origini del bambino, si opera la scoperta dell’oggetto e del sé. L‘uscita dal lutto originario, un lutto dell’onnipotenza, conduce progressivamente all’investimento di nuovi oggetti poiché fonda la fiducia di base in sé, sull’oggetto e nel mondo.
  L’oggetto segreto riesce a sfuggire all’usura del tempo, proprio perché evita il processo del lutto originario diventando uno strumento di legatura che salda, confonde, sovrappone indistintamente persone e generazioni.
   Nel regime di segretezza, è vietato accedere alla verità e questo a colpi di diniego, negazioni, scissioni, confusioni tra ruoli e generazioni.
  Come scrive Racamier, i segreti incestuali riguardano le origini, come il caso di Angela, una paziente di cinquantotto anni, che dopo un’analisi di sei anni, trova il desiderio di svelare le sue origini.
  Ha sempre sospettato di essere la figlia di un altro padre, un amico poco più grande del fratello maggiore di diciassette anni.
  E’ stata una bambina silenziosa, mascherata come un camaleonte con lo sfondo, nascosta, celata, così come ricorda la sua infanzia con una madre bella e inavvicinabile, fredda e distante come la Regina delle nevi, della fiaba di Andersen.
  Un congelamento interiore che la limita molto nelle sue elevate capacità e potenzialità poco attualizzate nella sua vita professionale, il suo interesse principale è concentrato sulla famiglia e la cura di due figli, ora giovani adulti.
  Le procura molto dolore il progressivo differenziamento e crescita dei ragazzi, soprattutto del figlio maschio, confusamente, avverte che il suo strazio ha qualcosa di eccessivo che potrebbe danneggiare e pesare sul futuro dei ragazzi.
  A mano a mano che nel processo terapeutico è affrontata l’elaborazione del lutto per il progressivo distacco dei figli, emerge la storia della bambina-Angela rimasta prigioniera nel castello di ghiaccio della Regina delle nevi, la favola di Andersen raccontata dalla stessa paziente come metafora della sua famiglia di origine.
  La famiglia di modeste condizioni sociali, durante la sua infanzia, subisce un tracollo economico per sostenere il fratello maggiore che, nel gioco d’azzardo, perde molto denaro. Questo evento influenza negativamente tutta la vita familiare non solo impoverendola ma anche aumentando l’isolamento per un forte vissuto di vergogna.
  Angela ricorda il padre come la persona più calda della sua infanzia, s’intenerisce ripensando alle loro lunghe passeggiate e a momenti affettuosi. Per quanto cerchi nella sua memoria non riesce a ricordare momenti d’intimità con la madre che si è sempre presa cura della bambina, ma senza complicità e calore.
  La madre di Angela, aveva un atteggiamento tipicamente incestuale verso i figli maschi che erano stati eletti suoi cavalieri, occupando il posto di un marito considerato inetto e socialmente inadeguato. La madre si è sentita profondamente tradita dalla decisione del figlio trentacinquenne di sposarsi arrivando a non partecipare al matrimonio e a scene di aperta gelosia.
  “Non so come, ma mia madre è riuscita a non far partecipare nessuno della famiglia al matrimonio, è come se lei ci consegnasse -un pacchetto di pensieri- e questo venisse accettato come normale“, commenta la paziente ricordando, molti anni dopo, l’episodio avvenuto quando lei aveva circa quattordici anni.
  Il concepimento di Angela è carico di echi incestuali: la madre che allora aveva circa trentotto anni sceglie un partner molto giovane, un amico intimo del primo figlio, quasi una sorta d’incesto per procura, agito con un ragazzo molto vicino per età e condizione, alla persona del figlio.
  Il padre naturale frequenta la casa fino alla morte della madre, avvenuta verso isedici anni della paziente, per poi sparire definitivamente dalla sua vita, al punto che questa sospetta, immagina, che la madre in qualche modo costringesse l’uomo a rimanerle vicino. Solo in un secondo tempo, si rende conto della sua grande gelosia verso una madre che è stata l’unico interesse del padre naturale mentre lei, figlia, non è stata vista o considerata.
   Angela è inquieta, anche se la Regina delle nevi, nel tempo, diventa meno fredda, ha da sempre la sensazione di vivere una vita non sua, di non avere diritto a nulla, se compra un bell’oggetto per la casa, lo chiude in un armadio e non lo usa.
  Si ritaglia un ruolo secondario, di sostegno per gli altri siano questi familiari o conoscenti o amici ma non si concede di vivere come protagonista la sua vita.
  Come scrive Racamier, Angela si sente come quelli che non conoscono le proprie origini e per questo perdono la possibilità di essere una persona definita, con confini psichici e fisici che consentano di entrare in autentica relazione con l’altro, è come se non avesse “una pelle psichica”, un contenitore, una definizione certa di sé.
   Dopo molti ripensamenti, sensi di colpa, paura di ferire gli altri, decide di fare la prova del DNA per accertare la sua paternità. Per poterlo fare, visto che i genitori sono deceduti da molti anni, chiede ai fratelli un campione di saliva per l’esame.
  Con sua grande sorpresa, i fratelli accettano anche con un certo entusiasmo, questo la sorprende grandemente, ne deduce che anche loro condividono i suoi sospetti, non considerano per nulla aleatoria la prova clinica, anche se tutte le volte che da adulta, ha provato a confrontarsi con loro, si è scontrata con un “muro di gomma”
  Dopo più di tre settimane, arriva la sospirata risposta del laboratorio, la paternità di Angela è certamente diversa da quella dei fratelli.
  E’ una grande emozione: tutto resta uguale e tutto è diverso.
  Si sente sollevata rispetto la conferma di quelle sensazioni che aveva sempre provato, aveva ragione, era ed è, “diversa” dagli altri.
   Tutti nel suo ambiente familiare sapevano, non solo i fratelli, ricorda molti episodi che finalmente acquisiscono un significato alla luce della scoperta fatta a quasi sessant’anni, anche se non si tratta di una vera scoperta, piuttosto di una conferma.
   Eppure, chi credeva fosse suo padre, è sempre stato affettuoso e molto presente per lei, molto più della madre. E’ consapevole di essere stata la figlia prediletta da entrambi i genitori, ma le sue origini sono diverse e questo nascondimento ha condizionato pesantemente la sua vita, l’ha fatta sentire straniera a se stessa e al suo ambiente, a disagio nella sua stessa pelle.
  Il segreto era conosciuto dai suoi familiari, era un sospetto per lei ma una certezza per gli altri, anche se negato di fronte ad ogni evidenza e richiesta di conferma.
  Con il segreto, “il silenzio si estende a macchia d’olio, proliferando come un’alga insidiosamente soffocante”
  Angela, oggi si sente imbrogliata, ma soprattutto prova vergogna: “Tutti intorno a me sapevano della mia nascita, io sola ero la bambina che non sapeva”.
  Presumibilmente il sentimento di vergogna era della madre rispetto la nascita della figlia che ne è diventata il contenitore e il costante ricordo.
   La madre si aspettava che questa, da adulta, diventasse medico per occuparsi come suora laica, delle missioni in Africa, mentre l’altra sorella, considerata bella e affascinante, avrebbe dovuto spendere le sue energie nella conquista di un marito ricco e di prestigio.
  In questo duplice desiderio materno si può facilmente rintracciare il segno di come Angela-figlia-della-colpa, fosse destinata, al posto della madre, ad una vita asessuata per espiare il peccato delle sue origini, come un oggetto contenitore, un feticcio portatore di quel lutto mai fatto, un angelo asessuato senza diritto di cittadinanza terrena.
   Come scrive Racamier, ciò che è proibito, è la verità, il segreto incestuale impedisce di pensare, mentre la rimozione agisce sui desideri.
   Il progetto materno è però almeno parzialmente disatteso, Angela finito il liceo s’iscrive effettivamente alla facoltà di medicina, ma l’abbandona apparentemente senza ragione, dopo qualche anno per laurearsi brillantemente in biologia.
   Nonostante il pesante fardello di colpa per il suo allontanamento dai progetti materni, s’innamora, si sposa e ha due figli, di cui il secondo è concepito proprio in Africa, continente dove la madre la immaginava svolgere il ruolo di missionaria.
   Dedicando le sue migliori energie alla famiglia e ai figli, è come se Angela si fosse presa cura della sua parte bambina, ancora prigioniera nel castello della Regina delle nevi, ritagliandosi un ruolo di “angelo soccorritore” ha contemporaneamente assolto, almeno in parte, il compito di espiazione per procura, che le era stato assegnato.
   Ripensando a quelli che considera gli uomini della sua vita, il padre, il padre naturale e il marito, Angela li paragona a tre alberi, catalogandoli come in un erbario.
   Il padre naturale è associato alla magnolia, un albero che produce un grande carnoso fiore bianco, molto bello da vedere ma delicato al punto che i petali si anneriscono al solo contatto con le dita. Il padre riconosciuto, le ricorda i modesti fiori di sambuco che raccoglievano insieme lungo i fossi.  E’ una pianta poco appariscente, al contrario della magnolia bella ma intoccabile, i cui fiori raccolti in grandi mazzi, erano spesso regalati dal padre naturale alla madre.
   Il marito, invece, è avvicinato al profumo dell’albero del tiglio che si sprigiona verso il tramonto delle giornate all’inizio dell’estate, per lei albero ideale, che le ricorda i momenti felici delle passeggiate con i figli ancora bambini e le cui foglie sono utilizzate per una tisana rilassante.
   Questo equilibrio si rompe con la crescita dei figli, la paziente si trova di nuovo ad affrontare un senso di vuoto profondo, soprattutto quel lutto originario che non aveva ancora elaborato rispetto la madre dell’infanzia e la cui scoperta, l’ha progressivamente riavvicinata al grande dolore congelato della sua nascita e dell’ infanzia.
   Nel percorso terapeutico, la paziente ha potuto anche scoprire e vivere uno spazio che non fosse saturo del desiderio dell’altro e questo ha contribuito ad aiutarla nel recuperare il proprio desiderio e l’ha portata alla scelta della prova clinica delle sue origini. E’ stata una decisione in sé facile, evidente nel suo percorso, non sopportava il dubbio e l’incertezza sulle sue origini seguitando così, a sentirsi vittima e complice dell’incestualità familiare. L’aspetto per lei più difficile, è stato quello di coinvolgere i fratelli nel suo progetto e quindi di esporsi e condividere con loro il segreto.
   L’essenziale in questa scelta, non è stata la ricerca del contenuto, la conferma o meno del sospetto, ma l’atto dello svelamento, la rottura del patto di omertà familiare.
  Come scrive Racamier, ciò che conta nel segreto, non è tanto il contenuto ma piuttosto la segretezza “ è proibito pensare. Proibito immaginare. Proibito sapere. La messa sotto segreto non ha altro segreto.
   Angela era la portatrice del segreto, diventando così essa stessa un oggetto incestuale, indispensabile per mantenere l’amalgama familiare.
  Il non-segreto del suo concepimento ha certamente rappresentato per il sistema familiare un suggello di fissità, di annullamento del tempo e soprattutto di fissazione del processo di lutto. Condizioni che hanno contribuito a rendere difficile e parziale la differenziazione tra le persone e le generazioni.
   Angela, la sua stessa persona, era il segreto.
Articolo pubblicato nella rivista Gli Argonauti, N. 118, 2008.
 
 Antinori Maria Grazia
,Roma P.zza Armenia 9
Cell. 334 338 58 35 
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