traduzione ad opera di Ileana Sestito

Già nel 1950, lo psicologo David Krech prevedeva la forza e il pericolo del potenziamento cognitivo- previsione che riguardava la vita di oggi.

(Barbara Lusk)

Facendo una ricerca in Internet su “incremento della memoria”, “pillole intelligenti” o “potenziatori cognitivi” si nota come vi sono stati dai 2 milioni ai 3 milioni di visualizzazioni. Pagine che offrono prodotti per migliorare la memoria, “Ginseng” o “ginkgo biloba” hanno ottenuto per ciascuna più di 50 milioni di visite. Al supermercato dozzine di prodotti sono commercializzati come “potenziatori per il cervello” e sono offerti a prezzi modesti. Il potenziamento cognitivo è ormai un’industria da miliardi di dollari. La convinzione che varie erbe e pozioni possono migliorare la memoria e le funzioni cognitive risale all’antichità. Ma è stato a partire dalla metà del XX secolo che gli scienziati, avvalendosi di nuovi modelli e tecniche, hanno compiuto dei seri progressi nel svelare il mistero della memoria. Nel 1968, osservando la fiorente letteratura in materia, lo psicologo sperimentale David Krech, dell’Università di Berkeley, California, aveva già ottimisticamente affermato che dal XXI secolo, educatori e genitori avrebbero potuto benissimo avere una nuova “psiconeurobiochemofarmacopia” un elisir che avrebbe potuto migliorare l’apprendimento, la memoria e forse anche l’intelligenza. Tuttavia, le preoccupazioni etiche di tali trattamenti temprarono l’ottimismo di Krech. Cosa aveva alimentato l’ottimismo e allo stesso tempo la diffidenza di Krech? Prima del 1955, era difficile trovare laboratori, che trattavano la relazione tra cervello, biochimica e comportamento. Unica eccezione è stata la ricerca in ambiente arricchito iniziata nel 1951 da Krech e i suoi colleghi a Berkeley, che in qualche forma, continua in altri laboratori anche oggi. Questi primi esperimenti cercarono di scoprire che cosa si verificava nel caso di cambiamenti della struttura e della funzione del cervello  in una dozzina di topi allevati insieme in un ambiente ricco di giocattoli e opportunità di esplorazione e problem solving. Scoprirono che questi topi, rispetto ai loro gemelli isolati in gabbia e privi di compagni di giochi e materiali stimolanti, avevano cortecce significativamente più pesanti e più profonde e una più alta attività neurochimica. Una seconda ricerca in parallelo nel 1950, che creò ancora più scalpore, era incentrata sul ruolo dell’acido ribonucleico (RNA) nei processi di apprendimento e memoria. Il neurobiologo Holger Hyden dell’Università di Goteborg, riferì che i topi addestrati a stare ad esempio in equilibrio su un filo e addestrati in altri compiti, avevano avuto un aumento in una forma leggermente modificata di RNA nei loro cervelli, e che di fatto la sintesi di RNA accompagna l’apprendimento. Profondamente consapevoli sia dell’importanza di base che di quella applicata di questo lavoro, i ricercatori presso le università e le aziende farmaceutiche precisarono subito che nell’esperimento durante il training , la manipolazione della sintesi di RNA- ossia la sua inibizione o accelerazione, comprometterebbe l’acquisizione di ricordi.

I primi anni 60 erano maturi per tali investigazioni. Hot e altri ricercatori, sulla scia del lavoro pionieristico di Watson e Crick sulla struttura e funzione del DNA, hanno rivolto la loro attenzione agli aspetti fisiologici e biochimici dell’apprendimento e della memoria. Se il DNA codifica le informazioni ancestrali, l’RNA potrebbe essere un codice parallelo per acquisire informazioni? Ogni anno il National Institutes of Health e il National Science Foundation concedono sovvenzioni, vengono tenute conferenze interdisciplinari e i ricercatori pubblicano dozzine di articoli sperimentali. I titoli dei giornali annunciavano imminenti innovazioni nel trattamento-e forse anche per la cura- di demenze e di altre varie disabilità cognitive. Un evento spartiacque si è verificato nel 1965, quando Krech organizzò un simposio multi-sessione su “Cervello, Biochimica e Comportamento” all’incontro dell’Associazione Americana per l’avanzamento delle scienze. Circa 2000 partecipanti di spicco, tra cui genetisti, anatomisti, biochimici, fisiologi, farmacisti, neurologi e psicologi discussero dell’allettante evidenza del ruolo dell’RNA. Il biochimico Bernard Agranoff dell’Università del Michigan riferì che la somministrazione di vari inibitori di RNA o sintesi proteica prima o subito dopo l’allenamento hanno avuto effetti negativi significativi sull’apprendimento appena acquisito da parte dei pesci rossi. In un altro esperimento, James McGaugh and Lewis Petrinovich (entrambi studenti formati da Krech) dimostrarono che l’incremento della sintesi di RNA dovuto alla somministrazione di stricnina, migliora l’apprendimento. Lo psichiatra Ewen Cameron dell’Università di McGill ha riferito che la somministrazione di RNA di lievito a persone anziane affette da demenza ha avuto un effetto positivo sulla loro memoria. I ricercatori presso la Abbott Labs hanno riferito che il Cylert (magnesio pemoline) ha migliorato l’apprendimento nei ratti, e cosa ancora più importante è che sono state pianificate delle prove umane. Al simposio, sia nelle sue osservazioni introduttive e sia nei suoi commenti conclusivi, Krech disse a voce alta che era preoccupato. I potenziali benefici di questa ricerca erano enormi. Però le questioni etiche e sociali sollevate dal suo lavoro erano della stessa portata di quelle risultanti dalle conquiste dei fisici atomici: Se saranno sviluppati gli strumenti biochimici, i governi saranno tentati nel manipolare il comportamento dei loro cittadini? Potranno gli scienziati o i governi manomettere le doti naturali degli individui? Questi punti, una volta sviluppati, dovrebbero essere utilizzati solo per trattare le deficienze cognitive o dovrebbero essere utilizzati per migliorare il normale funzionamento? Chi prende cosa e quando? Chi decide il costo per questi trattamenti? Chi decide? Chi è che controlla? I commenti di Krech si diffusero rapidamente attraverso i mass media. L’ultimo giorno del Simposio un titolo del New York Times recitava: “Scienziato avverte, siamo sulla via del controllo della mente”. Il giorno dopo è stato seguito da un editoriale del Times, “Controllando la mente”, che ha lodato la posizione di Krech che richiedeva uomini liberi in una società democratica alle prese con i problemi dei progressi della scienza e di trovare dei modi per controllare i risultati ottenuti. Questa non era la prima volta che Krech approfondiva  i più ampi ambiti sociali e scientifici.                        Membro fondatore della Div. 9 (Società per lo studio psicologico delle questioni sociali) nel 1936, Krech credeva fermamente che la psicologia avrebbe potuto e dovuto contribuire a migliorare la comprensione dei problemi sociali e che i risultati avrebbero potuto migliorare la qualità della vita per tutti. Credeva che la responsabilità sociale fosse una buona ragione per tutti; né i politici e né gli scienziati avrebbero dovuto agire da soli. Nel corso degli anni successivi, Krech aveva inesorabilmente attirato l’attenzione sugli ultimi risultati della sua ricerca e sulle questioni etiche, che a suo parere richiedevano allo stesso modo l’attenzione dei cittadini, dei politici e degli scienziati. Con il suo articolo, “Controllando i controllori della mente”, pubblicato poco dopo l’AAAS simposio, impostò lo scenario. Comparve in televisione come relatore speciale per “Frontiere per la mente” e nella trasmissione radio “Padronanza della mente”. Discusse sulla questione con il biologo premio Nobel Joshua Lederberg e con Sir Peter Medawar. Portò le questioni all’attenzione degli educatori, ai colloqui  patrocinati dall’Ufficio dell’istruzione e della fondazione Charles Kettering. E portò il suo messaggio a Washington quando nell’Aprile del 1968, comparve davanti alla sottocommissione del Senato di Walter Mondale, suggerendo agli uditori di considerare la creazione di una Commissione di Scienze della salute e della Società. Insistette sul fatto che una politica affrettata non l’avrebbe mai creata. Né il politico e né lo scienziato avrebbero dovuto essere il giudice finale-era necessario uno sforzo di collaborazione informata. Anche se era stato proposto alla commissione di Mondale, non furono raccolti i voti necessari e perciò Krech  mollò la sua battaglia. Nel 1976, prima di morire, tenne il suo ultimo discorso  all’84° Convention annuale dell’APA, intitolata “Prospettive per il controllo”. Oggi, le questioni sollevate Krech sono ancora molto vive. Anzi vengono ancora di più menzionate. Negli ultimi 4 decenni, le ricerche sugli agenti che migliorano la performance cognitiva, si sono ampliate e accelerate. Spostata l’attenzione sul disturbo da deficit di attenzione e iperattività, l’attenzione si è ora unita alla memoria come area di destinazione, e anche i farmaci specifici, su misura per ciascuno, sono oggetto di indagine. Alcuni sono disponibili già sul mercato. Al di là di prescrivere tali farmaci per il trattamento di disturbi individuati, è relativamente comune per i medici prescrivere questo tipo di farmaci “senza etichetta”. Per esempio, come il Provigil, sviluppato per il trattamento della narcolessia, viene utilizzato anche da violoncellisti, giudici, piloti d’aereo e scienziati, per aumentare l’attenzione e la memoria. Data l’attuale indignazione pubblica per l’utilizzo d’élite da parte degli atleti di sostanze dopanti, non manca molto che venga preso in considerazione il potenziale abuso di sostanze per il potenziamento cognitivo in situazioni accademiche competitive. Arriverà il momento in cui allo studente che dovrà affrontare il test di ingresso al college, gli verrà richiesto di effettuare un test sulle droghe, o ai premi Nobel, all’atto dell’accettazione del premio, di affermare che essi non sono stati aiutati nel loro lavoro da agenti cognitivi stimolanti? Krech si era ritrovato da solo nel suo sforzo di mettere in evidenza le conseguenze sociali ed etiche delle scoperte delle neuroscienze. Ora vi è una maggiore consapevolezza pubblica e professionale, e tali preoccupazioni sono state istituzionalizzate. Le nuove specialità delle “neuro-etiche” sono emerse, con centri all’Università della Pennsylvania, Standford e Oxford. E’ stata fondata una Società Internazionale delle Neuro-Etiche, sono state pubblicate riviste e vengono tenute conferenze ogni anno.                                                         Ciò che è chiaro è che il dialogo tra questi nuovi attivisti discende direttamente dalla precedente chiamata di Krech all’azione contro chi ha speculato sulle conseguenze sociali dell’esplosione della ricerca sul cervello, sulla biochimica e il comportamento.

Fonte: Monitor on Psychology – A pubblication of APA. May 2013 – VOL. 44 – NO. 5. Traduzione dell’articolo: “Building a ‘better’  brain(pp.24-27).