Autore: Dott.ssa Maria Grazia Antinori

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La descrizione di un attacco di panico da parte di  pazienti di ogni età, segue un modello costante: “Mi sento morire…mi manca l’aria…il cuore batte all’impazzata…ho paura di perdere il controllo…chi non l’ha provato non può capire quanto soffro”.

L’attacco di panico è fondamentalmente la paura di aver paura, la paura di morire, la paura di impazzire.

Chi ne soffre, tende ad associare e a spiegare il panico con il luogo e le condizioni in cui questo si verifica: “Ero in macchina, da allora ho paura di guidare…ho bevuto un bicchiere di acqua fredda, si è bloccata la digestione ma non avevo nulla, da allora bevo solo acqua tiepida anche se ogni volta mi sale l’ansia”.

Le condizioni possono essere molto diverse tra loro, anche se spesso l’attacco di panico si manifesta quando il paziente si sente costretto in una certa situazione come un mezzo di trasporto, la metropolitana, l’aereo, la macchina, o eventi che sembrano imprigionare senza via di uscita come il cinema, un ingorgo o, al contrario, ambienti troppo aperti ed esposti, in cui si perdono i punti di riferimento.

Per il paziente, l’associazione tra attacco di panico e luogo o circostanza, in cui questo si manifesta, diventa un’associazione quasi magica. Infatti, evitando il luogo o la situazione in cui il malessere si è verificato per la prima volta, si cerca di controllare e di allontare la paura della paura: “ Se rinuncio a guidare, non mi sentirò male, se eviterò il cinema non proverò ansia”.

 E’ lo stesso meccanismo della superstizione quando si attribuisce ad un numero, ad un colore, un particolare evento, un’influenza negativa. Il vantaggio della superstizione, è che  evitando la situazione caricata di negatività, si ha l’illusione di allontanare la sfortuna e quindi di controllare gli eventi.

La difesa fobica, inizialmente sembra funzionare in quanto la persona vive l’illusione di poter controllare il problema evitando solo alcune definite situazioni, luoghi o eventi. Purtroppo l’iniziale sollievo ha breve durata, infatti  progressivamente aumentano le situazioni “pericolose” fino a limitare in maniera significativa la vita della persona che può, in alcuni casi, arrivare a chiudersi in casa, al limite dell’isolamento sociale.

La paura di avere paura, restringe il raggio d’azione fino ai minimi termini e anche se la persona si costringe ad uscire, lavorare, affrontare un viaggio, tutto è vissuto con grande fatica ed angoscia rovinando la quotidianità.

Apparentemente il paziente si concede le azioni comuni come partecipare ad una riunione di lavoro o guardare un film, ma in realtà è immerso in un proprio mondo parellelo che solo lui conosce in cui si ripete mentalmente una serie di “mantra negativi” del tipo. “ Mi sento male, ho paura, mi scoppia il cuore, mi verrà un infarto, dov’è l’ospedale più vicino?, chi mi può aiutare?”.

Se riesce a contenere l’ansia, la persona , pur stando male, cerca di nascondere la sua condizione che vive spesso vergogna. Se l’angoscia lo prende alla gola, allora il mostro chiamato “paura di aver paura” lo costringe a lasciare la sala cinematografica o la riunione di lavoro.

Anche se la persona in preda a questo tipo di angoscia, partecipa alla situazione esterna, in realtà ne è separato da una sorta di vetro trasparente su cui scivolano le emozioni e le sensazioni, come gocce d’acqua su una superficie impermeabile.

Il paziente non ascolta veramente, non vede ciò che guarda, non gli arriva il calore o la vivacità affettiva, è ‘profondamente solo, completamente isolato anche se circondato da persone affettuose.

Lo stato d’angoscia panica, è riconoscibile dall’espressione del viso  e la postura del corpo, l’aspetto di una persona in preda all’angoscia senza nome, è proprio quella di qualcuno che è attanagliato da potenti artigli alla gola e si sente morire, impazzire, andare in pezzi.

E’ una senzazione tremenda ma anche innocua, è proprio questo il paradosso: non c’è nessun pericolo concreto, il paziente non morirà e non sarà aggredito da nessun mostro verde con gli artigli affilati ma lo stesso si sente in un pericolo mortale.

La persona che si sente artigliata dal mosto verde, soffre  essenzialmente dei propri pensieri e  fantasie, il suo malessere non dipende da circostanze o da eventi esterni, ma soffre della propria ideazione e fantasticheria.

I pensieri senza pensatore, come direbbe Bion, si aggirano intorno alla persona che ignora se stessa e si trasformano in sensazione fisiche, in pericoli straordinari.

Raccogliendo la storia dei pazienti che soffrono di attachi di panico o di crisi acuta d’ansia, è tipico che descrivano eventi, esperienze difficili e traumatiche della loro vita, con assoluto distacco, come se non li riguardassero e spesso non riescono ad associare la situazione emotiva con l’attacco di panico.

“Io ho sempre guidato, mi piace guidare, non avevo nessun pensiero”. E’ proprio l’assenza del pensiero che scatena l’attacco di panico, il poter riconoscere l’emozione disturbante, può diventare la chiave per liberarsi  dalla paura di aver paura.

Come bambino che ha paura del buio, disteso nel suo lettino e vede allungarsi le ombre dei mobili della sua stanza e dei suoi stessi giocattoli, egli ha molta paura ma è sufficiente la voce della mamma per tranquillizzarlo. La luce accanto al letto può illuminare i mostri nascosti.

Anche il mostro verde della paura di aver paura, può scomparire facendo luce, una luce che scalda e che consola e che accoglie il bambino spaventato che l’adulto nasconde dentro di se.

E’ la pretesa dell’adulto di controllare tutto, l’illusione di essere “duro e forte”, ossia senza emozioni, ad allontanarlo dal dialogo interno con il bambino che è in lui, è questo bambino che rischia di sentirsi sempre più solo e disperato.

Chi soffre di attacchi di panico, vive in un mondo fobico, pieno di divieti, obblighi, percorsi già fissati, abitudini rigide e immutabili, che vengono però vissuti come rassicuranti e necessari.

Non si può fare a meno della prigione protettiva, ma questa alla lunga, diventa intollerabile soprattutto con il tempo che passa che lascia inalterata la paralisi dell ‘affettività.

Il conflitto non viene esplicitato con le parole ma vissuto sul piano somatico con l’attacco di panico. Per liberarsi dal circolo vizioso della paura di aver paura, è necessario prima abbassare ogni luce, fare buio, abituarsi al chiaroscuro, dare un nome alle ombre, avvicinare le paure innominabili, dargli una forma, un oggetto, un luogo di incontro.

Esplorare un paesaggio sconosciuto, un bosco buio dove ritrovare il bambino perduto con l’aiuto dello psicoterapeuta che pensa i pensieri, le emozioni e le sensazioni, traducendole ed offrendole al paziente spaventato.

Chi vive il panico, tende a percepire il mondo interno come concreto, il pensiero è spesso troppo semplice e lineare e ripetitivo, ciò che si vede con gli occhi, sembra essere l’unica realtà.

Le parole rappresentano il ponte che può riavvicinare la persona alle sue emozioni e sensazioni, la psicoterapia psicodinamica è la strada per ritrovare un senso alla paura, ridefinire i confini e dare valore evolutivo alla crisi.