Autore: Maria Grazia Antinori

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Il disegno è un’espressione allo stesso tempo semplice e complessa, che può offrire una chiave di lettura della personalità del disegnatore di ogni età.
Sono numerosi i test psicologici centrati sull’interpretazione del segno grafico tra i più famosi il test della Figura Umana, della Famiglia, dell’Albero, Wartegg, Bender, ecc.
La flessibilità del disegno, l’economia e la facilità dell’applicazione, lo rendono uno strumento particolarmente duttile ed interessante per registrare e valutare i cambiamenti che avvengono nell’ambito di una relazione terapeutica.
Disegnare da soli o alla presenza di un altro che osserva e valorizza con la sua attenzione ed interazione l’elaborato grafico, modifica il setting, il contesto, e di conseguenza anche i parametri di valutazione del disegno.
Spesso il disegno viene completato proprio in risposta agli interventi e alle interpretazioni dell’osservatore. Il disegnatore, grazie allo sguardo dell’altro, osserva egli stesso con più attenzione e relativo distacco il suo lavoro, cogliendone meglio le qualità ed i particolari che potrebbero altrimenti rimanergli misconosciuti.
Come scrive Crocetti, docente di Psicologia Clinica, il disegno è un fondamentale strumento terapeutico in quanto fornisce un materiale che ha la spontaneità del sogno e delle libere associazioni.
Il disegno è in un certo senso il racconto che il disegnatore fa di se stesso, favorisce l’alleanza terapeutica, una certa catarsi, esprime una libera espressione di sè che facilita il riconoscimento di eventuali realtà conflittuali nascoste che possono essere alla base del malessere psicologico.
Per offrire un esempio di quanto il disegno possa essere uno strumento di valutazione e soprattutto di comunicazione tra paziente e psicoterapeuta, propongo i disegni di Luca un ragazzo di undici anni sofferente di cefalea tensiva primaria, ossia mal di testa invalidanti gravi e ripetuti che nel caso di Luca sono spesso accompagnati da nausea, ipersensibilità alla luce, un forte senso di spossatezza. Questo importante quadro clinico è diagnosticato come primario, ossia senza cause organiche riconosciute che giustifichino le cefalee che si presentano con frequenza plurisettimanale.

Secondo la psicosomatica, la disciplina che studia l’interazione tra mente e corpo, i sintomi psicosomatici di cui la cefalea ne è un esempio, rappresentano l’esplicitarsi di quelle “fantasie nel corpo” che non sono state integrate e quindi non sono state trasformate da corporee a mentali. Dai numerosi studi condotti sugli aspetti psicodinamici delle cefalee e delle emicranie emergono alcuni fattori principali, quali un conflitto tra emotività e pensiero, la rimozione delle emozioni soprattutto dell’aggressività e la sopravvalutazione delle funzioni del pensiero con la loro relativa inibizione durante l’attacco di cefalea.
Oltre alle problematiche del piccolo paziente, è necessario considerare anche il constesto familiare, come scrivono le neuropsichiatre Caratelli e Lanza, nell’approccio psicodinamico il bambino che si ammala di una qualsiasi patologia somatica, viene considerato anche nel ruolo di catalizzatore delle proiezioni della coppia genitoriale, spesso egli assume uno specifica funzione nel mantenere l’equilibrio omeostatico della coppia. Le autrici sottolineano come la terapia del bambino debba essere fondata sull’accesso al materiale inconscio rimosso per avviare la rielaborazione e mentalizzazione degli affetti scissi e quindi predisporre la condizione sufficiente, anche in tempi brevi, alla risoluzione e scomparsa del sintomo somatico.
Luca durante una psicoterapia durata sei mesi, ha scelto il disegno come principale mezzo di espressione, i suoi elaborati grafici sono particolarmente belli ed originali oltre che espressivi e rivelatori dei pensieri che il ragazzo non verbalizza.
I genitori di Luca, una coppia intorno ai quaranta anni, chiedono una psicoterapia per il figlio per i suoi continui e gravi mal di testa iniziati intorno ai sette anni, che lo costringono spesso a restare a letto impedendogli una vita normale.
Al primo colloquio è invitata l’intera famiglia, il tema centrale che appassiona tutti è il mal di testa di Luca e la sua lunga e complessa storia medica, i numerosi accertamenti, i centri in cui è stato visitato. La conclusione di tutte le indagini cliniche è che si tratta di una cefalea tensiva, ossia accompagnata da irrigidimento muscolare della zona del collo e della testa, di origine psicologica.
Come spesso accade vi è una familiarità alla cefalea, i genitori ne soffrono anche se in modo meno grave e frequente rispetto al figlio. Il padre, circa tre anni prima per uno stato depressivo, ha iniziato una psicoterapia ad indirizzo psicodinamico interrotta dopo sei mesi per l’intenzione di affrontare autonomamente il problema psicologico.
Neanche la madre gode di buona salute, oltre alla cefalea soffre anch’essa di depressione e di altri disturbi quali problemi circolatori alle gambe, nel corso degli anni ha subito diversi interventi. Il fratello maggiore di tre anni, sembra essere l’unico a sentirsi sano e forte, parla della madre come eccessivamente ansiosa, secondo il suo parere il problema del fratellino è la solitudine di un bambino molto timido ed introverso.
La famiglia è unita, tutti si preoccupano per gli altri, forse con l’eccezione del figlio maggiore che sembra più autonomo rispetto a Luca che è invece completamente irretito nelle dinamiche della coppia e catalizzatore delle ansie materne. La triade madre-padre-figlio-minore sembra un’unità accumunata dallo stesso   linguaggio psicosomatico, le preoccupazioni sono tutte centrate sulla salute, ogni evento acquista senso ed importanza alla luce della risposta somatica, al contrario riscuote scarsa attenzione le personalità e necessità emotive individuali, i conflitti sono evitati ed allontanati. E’ molto stretto e continuo il rapporto tra il bambino e la madre che ne osserva con molta attenzione ogni cambiamento fisico ma sembra meno competente nel descriverne i bisogni. Si tratta di una tipica famiglia psicosomatica che Minuchin famoso terapeuta relazionale, decriveva già negli anni ottanta caratterizzata da invischiamento, iperprotettività, rigidità, difficoltà nell’affrontare il conflitto.
La chiave di lettura relazionale,  appare coerente e complementare alla spiegazione psicoanalitica della somatizzazione come una sorta di agito  che si sostituisce alla simbolizzazione.
Come nel caso di Luca, si tratta di bambini che vivono costantemente la frustrazione per il loro mancato riconoscimento emotivo ed affettivo soprattutto da parte di una madre troppo presa dai suoi bisogni per potere riconoscere quelli del figlio.
Fin dalle prime battute dell’incontro con Luca, emerge l’intelligenza e la sensibilità di un ragazzino magro e longilineo serio e composto. E’ evidente il suo autocontrollo, la cura nella scelta delle poche parole che pronuncia, l’attenzione all’adulto e all’osservazione attenta di tutto quello che lo circonda. Sembra un piccolo adulto molto educato e prudente anche diffidente, ritirato nel suo mondo.
La terapeuta incontra Luca, con frequenza settimanale ed i genitori quindicinale. Durante ogni seduta il bambino produce almeno un disegno, tra i molti  possibili esempi propongo un disegno particolarmente significativo eseguito dopo circa tre mesi, si tratta di una prova che mette in evidenza la relazione terapeutica e soprattutto come il bambino utilizzi il mezzo grafico per esprimere i suoi pensieri e fantasie.
 
Il disegno di Luca
Luca quella settimana ha sofferto di un leggero mal di testa solo un giorno, cosa per lui piuttosto rara in quanto le crisi hanno una frequenza plurisettimanale.
Il bambino, entrato nella stanza di terapia, dopo un breve imbarazzo, decide di disegnare, è molto concentrato.
Con la matita inizia a tratteggiare la sagoma di un bue, è lui stesso a definirlo tale mentre lo esegue, lo colora di un rosso intenso.
TR: Dicevi di aver disegnato un bue.
Luca : Si, un bue.
TR: E’ strano un bue rosso, il colore mi ricorda di più un toro. Mi sembra che abbia gli occhi buoni, mansueti anche se arrabbiato. Lo conosci quel modo di dire: “arrabbiato come un toro”? Lo sai perchè è arrabbiato il bue-toro?
Luca inizia a disegnare una nuova figura a destra del bue-toro commentando: è una faccia inventata.
Parte dalle orecchie che annerisce, gli occhi, il naso la bocca. E’ un viso fumettistico con lo sguardo rivolto verso l’alto.
 TR: Sembra la faccia di una persona insofferente ed arrabbiata che rivolge lo sguardo verso l’alto, anche a te accade quando sei arrabbiato o insofferente?
Luca: Si, quando sono arrabbiato.
TR: Anche il bue-toro è arrabbiato, è mansueto come un bue con la lingua di fuori ma arrabbiato come un toro.
Luca: Si.
TR: Non riesci a parlare spontaneamente della rabbia, ma lasci la possibilità di intuirla e mi affidi anche il compito di nominare questa emozione che sembra preoccuparti.
Luca prosegue a colorare “la faccia inventata”, scegli il rosso ed il giallo.
TR: Mi sembra che anche te, Luca, sei molto a rrabbiato un po’ come “la faccia inventata” che sembra arrabiata per quello che ascolta: ha le orecchie molto grandi e nere, chissà quanti pensieri, quante cose ascolta che non le piacciono.
Luca utilizza ancora il colore nero, disegna delle nuvolette nere sulla testa del personaggio .
TR: Mi sembra che “la faccia inventata” abbia molti pensieri considerando tutte le nuvolette che si alzano dalla testa. Forse il mal di testa ti viene quando sei arrabbiatto, come se avessi le nuvolette-nere-mal-di-testa.
Luca: Non lo so.
Il bambino prosegue il disegno aggiungendo puntini colorati sulla “faccia inventata”.
TR: Mi domando con chi e per cosa è così arrabbiata “la faccia inventa, ha anche la bocca chiusa, serrata, non può neanche parlare.
Luca risponde facendo dei tratti neri sulla bocca, quasi a cucirla.
TR: Se bisogna cucire la bocca, si vede che c’è anche un grande desiderio di parlare ma questo deve essere controllato, nascosto, represso, cucito.
Luca sorride ed inizia a disegnare tanti punti i nterrogativi intorno al bue-toro.
TR: Questi punti interrogativi intorno al bue-toro sembrano indicare tutte le cose che ti fanno arrabbiare ma che non puoi esprimere, raccontare o magari capire.
E’ come se dentro di te, ci fossero due parti diverse ed opposte: apparentemente sei calmo, ma in realtà sei furente di rabbia come “la faccia inventata” , nascosta dentro di te.
Luca annuisce, aggiunge un cerchio azzurro intorno al bue-toro e i fiocchi gialli e rossi (è il periodo di Pasqua).
TR:Mi sembra che ti aiuti a mettere insieme la rabbia e la paura di provarla e dimostrarla. Insieme, possiamo cercare di trovare un modo per dare un nome ed un senso a questa rabbia e magari poterti aiutare ad esprimerla in sicurezza e senza mal di testa
La psicoterapia dura altri tre mesi, al termine dei quali il sintomo cefalea è molto ridotto, quasi scomparso se non per recidive sporadiche. Le vacanze estive coincidono con una pausa di circa due mesi, periodo durante il quale si riacutizzano i mal di testa.
I genitori alla prima seduta di settembre, comunicano la decisione di interrompere la terapia, nonostante il desiderio del figlio di proseguire l’esperienza.
La terapeuta confronta i genitori con l’evidente coincidenza tra la separazione estiva e la frequenza delle cefalee: Luca ha di nuovo sofferto di mal di testa come risposta psicosomatica all’interruzione estiva. Ciò nonostante i genitori insistono nella loro decisione, hanno intenzione di sottoporre il figlio ad ulteriori accertamenti clinici, ancora più invasivi.
La terapeuta durante gli incontri con la coppia, ha ripetutamente cercato di spostare l’attenzione dal sintomo somatico di Luca, alle necessità e personalità del bambino ma la motivazione dei genitori è rimasta tenacementre centrata sul problema cefalea, il barometro “mal di testa” è stato l’unico  veramente importante.
La psicoterapia del bambino è stata interrotta anche per il timore inconscio dei genitori di perdere parte del loro potere e controllo sul figlio, hanno preferito evitare il rischio di un cambiamento che sentivano come eccessivamente pericoloso per la salvaguardia ed il mantenimento dell’amalgama ed omeostesi familiare.
Non hanno tollerato il fatto che nonostante la loro presenza assidua e continuata durante il periodo estivo, il figlio abbia sofferto di quelle cefalee  quasi scomparse durante la psicoterapia.
Il padre ha esplicitato chiaramente il suo disappunto per la reazione di Luca interpretandola come una sorta di ingratitudine nei suoi confronti.
Un controllo a distanza di circa dieci anni, ha evidenziato la risoluzione della cefalea di Luca che non ne ha più sofferto in forma invalidante, cosa che gli ha permesso di vivere una vita normale , attualmente è uno studente universatario con buoni risultati.
Anche se la psicoterapia non è stata conclusa, il bambino Luca ha potuto sfruttare il lavoro svolto, in particolare il riconoscimento e verbalizzazione del significato relazionale della cefalea, l’associazione del sintomo con la rabbia e la sua relazione con il rapporto con la madre. L’esperienza di un ascolto rispettoso ed attento della sua persona, lo ha aiutato a definire uno spazio personale senza bisogno di ricorrerre alla somatizzazione.
Tornando ai disegni, questi sono belli ed originali, una loro caratteristica è l’uso del colore particolarmente vivace ed evocativo di quelle emozioni e sentimenti così massicciamente negate e rimosse dal bambino e dal sistema familiare.
Il significato simbolico del colore, è un fatto accertato che accompagna la quotidianità e gli stessi vissuti affettivi che si possono esprimere direttamente associandoli ai colori.
Ad esempio, la scelta del colore rosso trasforma e rende potente il mansueto bue, così come l’uso di molti colori vivaci per “la faccia inventata” l’investe di significati emotivi intensi e contraddittori o l’uso del nero marcato per la testa e le orecchie le segnala come zone sensibili e collegate al dolore mentale-somatico.
Osservando la qualità dei disegni, questi risultano armonici, proporzionati, relativamente piccoli anche se centrali nel foglio;il tratto è sicuro, preciso, non particolarmente marcato. Tutti gli elementi formali del disegno  corfermano, quindi, la buona intelligenza del bambino e  l’uso adeguato e maturo dello spazio grafico che esprime simbolicamente la relazione del disegnatore con l’ambiente.
Particolarmente significativa è l’interazione ed il contributo reciproco della coppia bambino-terapeuta: Luca risponde agli interventi della terapeuta, apportando nuove elaborazioni al suo disegno. Arricchimenti che aprono nuovamente il dialogo, proprio su un tema molto difficile e spinoso per il ragazzo, quale   la rabbia e la possibilità o l’impossibilità, di esprimerla.
Luca, tramite il colloquio realizzato prevalentemente attraverso il disegno ha maturato una migliore consapevolezza di sè, egli ha potuto osservare nel suo stesso elaborato,  gli aspetti scissi quali il bue-toro e “la faccia inventata”, uno accanto all’altro. In un certo senso, questa rappresentazione ha contribuito a ravvicinare la frattura della scissione e a recuperare gli affetti rimossi. Inoltre, associare la rabbia ai mal di testa ha restituito una cornice, un significato relazionale al sintomo fisico apparentemente inspiegabile ed incontrollabile.
Nel momento in cui Luca ha potuto riconoscere e nominare la rabbia, ha risolto il sintomo somatico. Gli affetti scissi collegati al mal di testa, hanno potuto trovare una nuova integrazione.