Attiro i matti. È un dato di fatto. Come mi giro, ne accalappio qualcuno. Peggio che il miele le mosche. Ma così, per strada, senza fare niente.
Per esempio, l’altro giorno, al mercato. Sto girando tranquilla fra i banchetti, guardando un maglioncino qui, una canotta là – sto diventando bravissima a trovare i saldi da cinque euro, un vero cane da tartufi – e mi si para davanti un signore sui sessant’anni, all’apparenza normale. Il matto ha questo, per fregarti: che, all’apparenza, sembra normale. Mi si para davanti, dunque, e mi fa: «Signorina, lei ha uno sguardo così dolce, posso farle una domanda?»
Penso che voglia una informazione, e replico: «Sì, certo, mi dica.»
Lui fa un sorrisone, contento di aver trovato qualcuno che gli dia ascolto, e dice: «Oh, finalmente, sapesse! Io cerco qualcuno con cui parlare da tanto… senta, mi dica, ma se io le dicessi che sono Napoleone Bonaparte, lei cosa mi direbbe? Che sono matto?»
La guardo serissima, ci rifletto un attimo, poi dico: «No. Che uno di noi due ha sbagliato secolo.»
Lui resta a fissarmi perplesso, poi strabuzza gli occhi: «Ma non vale, lei è una maestra!»
E se ne va, scocciato.
Deve aver deciso che la più matta sono io.
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