Autore: Dott.ssa Maria Lucia Albino (Estratto a cura di Davide Barone)

da ATMOS – arti terapeutiche centro di ricerca e formazione

 

Il mio percorso di formazione in counselling è iniziato sulla spinta del desiderio di svolgere al meglio il lavoro di musicoterapista ed è proseguito anche con la voglia di approfondire aspetti di me, del mio essere con me stessa e con gli altri.

Essere consapevole di tutte le fasi e gli aspetti del “ciclo di contatto1” è stato ed è molto importante nella mia esperienza di musicoterapista; mi aiuta, tra le altre cose, a definire meglio gli obiettivi che, di volta in volta, mi pongo con i vari pazienti facendomi vedere con maggiore chiarezza le singole situazioni (anche quando l’uso del linguaggio sonoro – musicale è esclusivo o prevalente). Come musicoterapista mi trovo spesso a lavorare con le emozioni, a contattarle, a sentirle, ad approfondirle; esse sono parte importante, integrante, di ciascuna persona, parte vitale che l’esperienza del counselling, mi ha aiutato a comprendere meglio attraverso il lavoro compiuto su di me. Contattare profondamente le emozioni e i propri modi di sentirle non sempre è così semplice e immediato ma può essere sorprendente; conoscerle e riconoscerle ci aiuta a controllarle, a comprendere come ci relazioniamo con noi stessi e con gli altri, a comprendere quanto ci permettiamo, quanto ci difendiamo, quanto ci nascondiamo, quanto osiamo ecc.

In genere lavoro con persone le cui esperienze sono legate principalmente all’ambito familiare e al contesto in cui vivono e lavorano, hanno dedicato la loro vita alla famiglia e al lavoro, sono desiderose dell’incontro con l’altro, desiderose di raccontarsi, ma timorose o timide nel farlo (per paura di annoiare o di dire cose banali, insignificanti), talvolta sono molto chiuse e, frequentemente, poco abituate ad ascoltarsi, a sentirsi e a comunicare il proprio stato emotivo. Spesso giungono presso la casa di cura dove lavoro, in condizioni di malattia che si prolungano da mesi o da anni, in questi casi l’unica prospettiva realistica non è la guarigione ma il mantenimento della condizione attuale o al massimo un lieve miglioramento. Il dolore che provano è vissuto in modo personale: c’è chi lo nega, chi assume atteggiamenti passivi, chi si dispera, chi giunge alla depressione, chi si rassegna, e via dicendo e non è facile incontrare persone che abbiano elaborato questo dolore, che siano riuscite a mantenere viva la motivazione. In una situazione così difficile il percorso che porta all’accettazione e/o alla comprensione di tanta sofferenza è molto complesso,necessario l’aiuto; il sostegno da parte di figure professionali, ma anche da parte della famiglia o del contesto in cui si vive. Non posso dire che le difficoltà nell’incontrare situazioni così difficili e di profonda sofferenza siano scomparse, anche se ora sento di avere qualche strumento in più. Ho dovuto imparare ad ascoltarmi e a sentirmi più profondamente, a vivere più intensamente le mie emozioni (il dolore, la paura, la rabbia, …) e ad esserne consapevole per poter poi riuscire a stare in modo significativo con i pazienti e con le loro sofferenze.

L’integrazione tra counselling e musicoterapia nel mio lavoro è stata – ed è – fondamentale proprio nei momenti di maggiore difficoltà, poiché mi dà la possibilità, tra le altre cose, di alternare il lavoro esperienziale e il dialogo supportata da chiari e precisi riferimenti teorici. Mi sono resa conto, infatti, che l’uso esclusivo del linguaggio non-verbale (nel mio caso quello sonoro-musicale e quello corporeo) non basta, nel contesto in cui lavoro e con i tempi che ho a disposizione per gli incontri, a motivare le persone anche se il mettersi in gioco nel fare; l’essere coinvolti nell’attività, alcune volte, è già di per sé propedeutico, gratificante rispetto al percorso che si sta compiendo. Per lo più le persone sono abituate allo scambio con l’altro soprattutto attraverso il linguaggio verbale, il poter ricorrere ad esso, in modo responsabile e non superficiale, conferisce un senso più immediatamente comprensibile alle esperienze musicoterapiche proposte e facilita l’instaurarsi di un dialogo, sicuramente, più denso di significato; non un semplice parlare, ma una parte integrante del lavoro, nel senso che mi dà la possibilità di contattare profondamente l’altro senza essere invadente e creare uno spazio nel quale approfondire tematiche delicate. Mi consente di accompagnare la persona nel viaggio dentro di sé in modo graduale (per quanto concesso dalla situazione) motivandola a prendere coscienza di parti di sé, dei punti di forza, delle risorse e anche degli aspetti difficili da accettare. Quando ho iniziato ad interiorizzare la formazione mi sono accorta che, se invece di mettere in pratica le tecniche cercavo di ‘essere’, il più autenticamente possibile, nella relazione con l’altro, molte cose semplicemente accadevano in modo naturale e spontaneo e allo stesso modo erano accettate.

Musicoterapia e Counselling rappresentano una buona sintesi per quanto riguarda il mio ambito lavorativo, mi hanno entrambe supportato lungo il percorso di volta in volta proposto, aiutandomi sia a comprendere meglio chi avevo di fronte sia a rendere maggiormente comprensibile ciò che intendevo. L’introduzione del linguaggio verbale è un esempio dell’integrazione tra Counselling e Musicoterapica, molte volte l’uso del linguaggio è motivato dall’esigenza del paziente di capire perché gli si propongano esperienze di un certo tipo e che relazione abbiano con il suo stato di salute talvolta, invece, sono stata io stessa ad introdurre il verbale nelle sedute perché ho sentito il bisogno di accertarmi che ciò che stavo proponendo avesse un senso che fosse compreso e condiviso anche dal paziente.

A seconda dei casi il colloquio o i colloqui con il paziente possono essere presenti in vari momenti del percorso; spesso è importante (e talvolta richiesto in maniera esplicita) qualche incontro basato sul verbale prima di passare all’esperienza vera e propria, alcune volte mi sembra necessario introdurre il linguaggio verbale lungo il percorso esperienziale (per esempio in seguito all’emergere di vissuti particolari in qualche seduta e al conseguente bisogno di approfondimento verbale), altre volte invece serve a chiudere il percorso stesso, a sintetizzare quanto fatto e quanto successo. Chiaramente non è il semplice uso delle parole all’interno di un percorso di Musicoterapia che mi fa parlare di integrazione tra Counselling e Musicoterapia; è l’uso delle parole in un certo modo, l’avere presenti determinati riferimenti teorici (il ciclo di contatto, il qui ed ora, ecc.) il riconoscersi e il riconoscere determinati stati emotivi, l’assumere atteggiamenti di accoglienza, di non giudizio, ecc. (elementi, questi, che sono in comune tra le due discipline). Non sempre c’è equilibrio, alcune volte i percorsi con i pazienti sono più sbilanciati verso le parole o verso la musica, ma penso che questo non costituisca un problema quando risponde ai bisogni del paziente.

L’importante per me è avere sempre ben presente cosa sta succedendo nella relazione, e agire e “ “pensare”nell’interesse del paziente. Il poter lavorare integrando, in modo fluido, le competenze relative al Counselling e alla Musicoterapia mi da modo di operare delle scelte importanti nell’incontro con i pazienti; di essere sempre più sicura nel proporre e affrontare tematiche anche complesse con consapevolezza e responsabilità.