Autore: Dott.ssa Maria Lucia Albino (Estratto a cura di Davide Barone)

da ATMOS – arti terapeutiche centro di ricerca e formazione

 

Mi sembra interessante riportare un esempio di quanto detto fin qui, presentando il caso di una donna di circa 40 anni d’età, affetta da una malattia neuro-degenerativa a causa della quale la vita le è completamente cambiata, sia per quanto riguarda il lavoro, che ha dovuto lasciare, sia per quanto riguarda le amicizie e i rapporti familiari (per una serie di motivi è dovuta tornare ad abitare con la madre). La malattia ha purtroppo compromesso le capacità cognitive e fisiche della donna, tra le altre cose emergono difficoltà d’attenzione e di concentrazione, difficoltà nei movimenti, calo importante della capacità visiva, importante faticabilità, scarsa motivazione, depressione, ecc. La situazione di partenza non era certamente felice, dai colloqui iniziali non sembrava emergere niente che potesse in qualche modo interessarla, era prevalente uno stato di rassegnazione ma c’erano altri punti che mi spingevano ad osare nei colloqui: era emerso un grande piacere legato alla musica (quando stava bene ballava) e allo stare in compagnia.

Nel raccontarsi di questa donna era sempre presente una grande differenza tra il passato, pieno di attività, di amici, di viaggi, di lavoro, di allegria, ecc. e il presente in cui non c’era più modo o motivo di attivarsi per qualche cosa, perché tanto…Sono state molto indicative anche le espressioni del volto connesse al racconto della paziente e soprattutto lo sguardo, che per me è stato un indice molto importante da osservare, un indice che mi ha indicato se la direzione che seguivo era giusta.

Ho pensato allora di proporle un’esperienza di musicoterapia attiva in gruppo, in modo da coinvolgerla il più possibile e da subito è stato incredibile notare dei cambiamenti sorprendenti: il desiderio di muoversi, di stare in piedi, di interagire con gli altri, anche di essere protagonista e talvolta spiritosa, la voglia di fare e di divertirsi, di cercare la complicità. Tutto è avvenuto in modo naturale e spontaneo in seguito ad una consegna fatta al gruppo, da quel momento G. ha più volte esplicitato il piacere legato all’attività svolta nel setting musicoterapico, ha mostrato di avere aspettative, ha chiesto conferma degli appuntamenti successivi, ha fatto di quel momento passato insieme un momento importante. Dal suo viso almeno per qualche istante sembravano sparire sofferenza e tristezza, gli occhi emanavano una luce nuova, il corpo diventava meno impacciato e stanco, più libero e leggero, così come la mente che dava spazio ad altri pensieri, che lasciava spazio alle emozioni.

Osservare questa trasformazione è stato molto emozionante per me. Mi è sembrato giusto, una volta individuata la strada mantenere le stesse caratteristiche negli incontri che si sono susseguiti, per non deludere le aspettative, per far sì che la paziente si sperimentasse il più possibile in situazioni piacevoli; concedendosi il permesso sperimentare, di fare, per divertirsi e divertire, dimenticando così stanchezza e problemi anche se solo per pochi minuti.

È stato bello partecipare a questo “viaggio”, osservare anche tutti i piccoli cambiamenti, far sì che venissero, notati e apprezzati, e magari anche portati con sé fuori dal setting.

Alla fine di questo percorso ho proposto a G un incontro individuale perchè volevo insieme a lei sintetizzare quanto fatto e quanto successo nei mesi precedenti, con uno sguardo particolare a quello che la riguardava. Mi sembrava inoltre importante poterle offrire la possibilità di esprimere le sue sensazioni e le sue emozioni, rispetto a ciò, in un contesto diverso da quello nel quale si erano svolte le esperienze, proponendole uno spazio più intimo e raccolto. Intuivo, infatti, che quel momento avrebbe potuto essere molto intenso, molto intimo, forse meno lieto dei precedenti incontri, ma non meno importante, anzi necessario per poter finalizzare il lavoro avviato in modo che la paziente potesse portarsi via con sé qualcosa di nuovo rispetto alle esperienze vissute e rispetto a sé stessa. Ho pensato con un certo anticipo a questa seduta conclusiva perché non volevo sbagliare; volevo trovare un modo semplice per riproporre il cammino fatto e dare a G. la possibilità di pensare al proprio futuro con uno sguardo diverso volevo, in sostanza, che la conclusione del percorso descritto potesse anche significare l’inizio di qualcosa di nuovo.

Ho ricostruito la storia vissuta in quei mesi in una favola, mi sembrava il modo più semplice e comprensibile per sintetizzare significativamente ciò che volevo dire, una favola che però non aveva fine, o meglio lasciava spazio a più conclusioni. Era chiaramente la sua favola, con il suo passato, il suo presente e un punto interrogativo sul futuro, una favola semplice, con un invito ‘delicato’ ad essere il più presente possibile nelle scelte che in futuro l’avrebbero riguardata.

Questa favola è stata donata a G., che l’ha letta e si è emozionata, in silenzio, mentre io eseguivo una sonorizzazione della storia. A ciò è seguito un colloquio, fatto di poche parole, ma evidentemente non ne servivano di più, sarebbero state veramente superflue. Si è trattato di parole molto significative, sottolineate da un intenso stato emotivo evidenziato soprattutto dal tono della voce e dalla mimica facciale.

Uno stato emotivo nel quale è ricomparso anche il dolore, ma era un dolore diverso da quello dei primi incontri, un dolore accompagnato da lacrime, lacrime che sono state ben accolte dalla stessa paziente che andando via ha detto:«…finalmente ho di nuovo voglia di piangere, era tanto che non mi succedeva…». È stato molto importante il fatto che G. sia riuscita a dire quelle parole, è stato il segno che il percorso che avevamo fatto ha avuto un senso non solo legato al momento e al piacere di stare insieme, che pure sono cose importanti, vuol dire che la paziente si è ridata il permesso di sentire, di sentirsi, ha ricontattato più profondamente se stessa.

Non mi sembra importante analizzare questo percorso per ritrovare nei vari momenti quanto c’è di relativo alla alla Musicoterapia e quanto al Counselling e alla Gestalt,, è molto più interessante osservare quanto la loro integrazione mi abbia consentito di giungere al risultato ottenuto.

Il momento iniziale e quello finale sono quelli in cui l’integrazione tra Musicoterapia e Counselling Gestaltico si è maggiormente evidenziata. Nella fase iniziale affrontare il colloquio in un certo modo, pormi in una posizione di accoglienza e di ascolto profondo dell’altro, non essere giudicante, ecc., mi ha aiutato a individuare gli obiettivi da perseguire in base a quelli che mi erano sembrati i bisogni emergenti della paziente ma soprattutto la seduta finale e la sua preparazione credo siano esemplificativi dell’integrazione di cui parlo. Chiaramente non è il contenuto verbale della favola il contributo del Counselling, ma il riuscire a proporli, il sentirsi in grado di affrontare determinate tematiche che seppur connesse al dolore e alla sofferenza in qualche modo ci aiutano.

Nel caso specifico il ricorrere a ciò mi era sembrato un modo per evitare il rischio che il lavoro rimanesse superficiale, sapevo, anzi sentivo, che approfondirlo avrebbe comportato una forte reazione emotiva (in lei e in me), ma sentivo anche di poterla contenere e di poter trarre da ciò degli elementi positivi per la paziente, e in fondo anche per me. Essere counsellor e essere musicoterapista vuol dire mettermi in gioco autenticamente nell’incontro con l’altro, al di là della tecnica scelta, con consapevolezza e responsabilità, cercando di valorizzare l’essere e lo stare con l’altro. Vuol dire dispormi ad incontrare l’altro accogliendolo, ascoltandolo, sospendendo i giudizi, e rimanendo disponibile, nel viaggio che si compie insieme, alla meraviglia e allo stupore che si provano nel ritrovarsi. I tre anni di formazione sono stati per me, come musicoterapista e come persona, molto importanti. Prendere coscienza di come sono, di cosa sento e di come sento, di come mi muovo nel mondo, è stato certamente faticoso, a volte doloroso, ma anche sorprendente, mi ha aiutato e mi aiuta nella vita e nel lavoro.