Autore: Dott. Antonello Schiaccitano

Convegno di Roma 17 maggio 2014 della Fondation Européenne pour la Psychanalyse

 

Mephistopheles. Der Geist der Medizin ist leicht zu fassen!

Ihr durchstudiert die gross- und kleine Welt,

Um es am Ende gehn zu lassen,

Wies Gott gefällt.

J.W. Goethe, Faust I, vv. 2011-2014

Mefistofele.È semplice da cogliere lo spirito

in medicina: studiare bene il mondo

in grande e in piccolo e infine lasciare

che vada a Dio piacendo.

J.W. Goethe, Faust I, vv. 2011-2014

Die letzte Maske des Widerstands gegen die Analyse, die ärztlich-professionelle, ist die für die Zukunft gefährlichste.

Freud a Ferenczi, 27.4.1929

L’ultima maschera della resistenza all’analisi, quella medico-professionale, sarà in futuro la più pericolosa.

Freud a Ferenczi, 27.4.1929

Ce qui spécifie une science, c’est d’avoir un objet.

J. Lacan, Le Séminaire. Livre xi. (1964),Seuil, Paris 1973, p. 13.

 

Una precisazione terminologica

Dico subito che con termini come “scienza” e “scientifico” non mi riferisco a quanto comunemente inteso con “scientismo” e “tecnoscienza”, cioè le pratiche intellettuali basate sull’adeguamento a una norma; non penso al cognitivismo o alle neuroscienze, né al comportamentismo o alle teorie della mente; tanto meno penso alla cosiddetta “scienza medica”, che ritengo una semplice applicazione tecnica di ritrovati scientifici alla cura delle malattie e al mantenimento della salute. Senza nulla togliere al freudismo, non intendo neppure la metapsicologia freudiana, rigidamente regolata dal principio di ragion sufficiente, o di causa ed effetto.

Con “scienza” intendo, invece, la pratica di un soggetto con un oggetto, entrambi sconosciuti all’antichità. Il soggetto è il soggetto del dubbio, che opera collettivamente su congetture, talvolta le confuta e mai le conferma. L’oggetto è l’infinito, che emerge nella storia dell’Occidente solo nel xvii secolo, dopo la fuorclusione della metafisica classica. In psicanalisi il soggetto della scienza abita l’inconscio freudiano, dove si confronta con l’oggetto infinito del desiderio, di cui ha conoscenza incompleta o, come si dice in psicanalisi, fantasmatica.

Tutto ciò per me è chiaro, ma per gli altri devo andare più piano. Farò un po’ di storia.

Un progetto scientifico

Durante l’amicizia con Fliess, Freud concepì la psicanalisi come pratica dell’inconscio; inventò la pratica di un particolare sapere: il sapere che il soggetto non sa di sapere ancora; pose tale intuizione alla base della cura delle nevrosi e nel Progetto di una psicologia del 1895 ne diede una prima versione meccanicistica, oggi diremmo neuroscientifica, basata sull’interazione di particelle di materia vivente, i neuroni.[1]

Non entro nei dettagli. Dico solo che, lungi dall’essere fantabiologia,[2] quel Progetto costituiva un vero e proprio abbozzo di teoria scientifica, che avrebbe potuto avere interessanti sviluppi. Purtroppo non andò così. L’intuizione dei rapporti di contiguità tra elementi materiali non fu sviluppata. La topologia materialistica, vero nucleo della “nuova scienza” freudiana, rimase lettera morta. Freud letteralmente la cestinò. Regredì alla topologia, questa sì fantasiosa, delle cosiddette topiche, che non ebbe molto seguito.

Una realizzazione medica

Perché la regressione prescientifica di Freud?

Le ragioni sono molte. Tra le oggettive, l’attrezzatura intellettuale di Freud, che non era né portato alla speculazione scientifica né aggiornato sugli sviluppi della scienza del proprio tempo: l’evoluzionismo di Darwin, la genetica di Mendel, l’indeterminismo di Heisenberg. Tra le ragioni soggettive, la rottura con Fliess e il parziale rifiuto (Versagung) dei risultati raggiunti grazie ad essa.[3] Comunque sia, sul vuoto scientifico si installò la versione medicale della psicanalisi: la metapsicologia.

Come dicevo, in medicina non si fa scienza ma si applica una tecnica. Il criterio-guida è che ogni effetto ha una causa. Il medico presuppone una causa primaria, o agente morboso, che produce una catena di effetti, i sintomi, attraverso cause secondarie, che finalmente sfociano nella malattia, la quale a sua volta si combatte con una controcausa: il farmaco o l’intervento chirurgico. In medicina questo modo di ragionare e operare si chiama eziologia; l’eziologia fu definitivamente decostruita nel 1748 da Hume nella Ricerca sull’intelletto umano, ma tuttora sopravvive, oltre che in medicina, in pratiche che fanno dipendere l’essere dal dover essere, come per esempio nel diritto.

Anche la metapsicologia freudiana è eziologica; quindi è medicale e non scientifica; è sostanzialmente mitologica, come alla fine riconobbe lo stesso Freud.[4] L’agente morboso, o causa psichica, è il mitico trauma sessuale. Esso attiva pulsioni, in parte contrastate dalla censura e dalla rimozione secondaria. Le pulsioni non sono istinti biologici; sono cause aristoteliche. Le pulsioni sessuali sono cause efficienti: producono soddisfazione sessuale, a prescindere dal sesso in cui agiscono.[5] La pulsione di morte è la causa finale che orienta l’apparato psichico verso la più bassa tensione di equilibrio.

La demedicalizzazione

Per recuperare l’esordio scientifico di Freud, c’è da demedicalizzare la sua costruzione. Va messa al rogo la “strega metapsicologia”, come la chiamava lui stesso.[6] Se non proprio lei in persona, bisogna bruciare i suoi ricettari.

L’operazione non è difficile intellettualmente; praticamente, invece, sì; infatti, grazie al suo impianto dottrinario inconfutabile, la metapsicologia fonda un legame sociale tra analisti rigidamente conservatore, che rende di fatto impraticabile ogni innovazione. Se proponi l’autodafé dei testi metapsicologici, i tuoi colleghi saltano sulla sedia; ti guardano spaventati come eretico. Di seguito cerco di mostrare che demedicalizzare Freud, abbandonare i suoi “freudismi”, deporre gli occhiali freudiani che fanno vedere la medicina come scienza, riporta al “vero” Freud dell’esordio scientifico.

 

I tre assiomi scientifici della psicanalisi

Una volta bonificato dalla peste metapsicologica, il campo può essere seminato con tre assiomi scientifici, tutti autenticamente freudiani.

Il primo si chiama inconscio. Il riferimento alla coscienza ne fa un termine antropomorfo. Unbewusstnon si traduce alla lettera inconscio ma non saputo. Non censuro il termine a patto di intenderlo come sapere effettivo che non si sa di sapere ancora. Come ogni soggetto, quello dell’inconscio è effetto del sapere. Nel caso è il soggetto del desiderio, effetto-di/affetto-da un desiderio che il soggetto ancora non sa. Il desiderio è la “verità effettuale” del soggetto, direi con Machiavelli.[7]

Il secondo assioma riguarda quell’ancora, cioè il tempo di sapere. Il soggetto viene a sapere quanto prima non sapeva di sapere, ma solo nel tempo secondo dell’analisi dei propri sintomi e soprattutto delle proprie resistenze a sapere. In analisi avviene come in pubertà. Il soggetto viene a sapere quel che è successo prima, durante la scena sessuale che fu traumatica per l’Io, quando non capiva ancora cosa succedeva nel corpo. Questa è la congettura della Nachträglichkeit, detto con termine tedesco intraducibile: alla lettera “ciò che viene portato dopo [al sapere]”.[8]

Il terzo assioma presuppone l’esistenza della rimozione originaria. Non tutto l’inconscio si può “prosciugare”, neppure con l’analisi più approfondita.[9] Freud parla di rimozione originaria. Il termine “rimozione” è uno dei tanti termini antropomorfi che non conservo, come “conflitto”, “meccanismo di difesa”, “censura”. Conservo, tuttavia, “rimozione originaria”, Urverdrängung, perché segnala il tratto tipico che distingue la modernità dall’antichità. Il sapere moderno è, infatti, incompleto e incompletabile.[10]

Tutti e tre gli assiomi sono esistenziali. L’assioma dell’Unbewusstè esistenziale-epistemico: esiste un elemento del sapere che non si sa di sapere. L’assioma della Nachträglichkeit è esistenziale-temporale: esiste un tempo in cui il soggetto viene a sapere qualcosa del sapere inconscio. L’assioma dell’Urverdrängungè esistenziale- negativo: non esiste il tempo in cui si viene a sapere tutto l’inconscio.

I tre assiomi definiscono implicitamente una scienza con un soggetto e un oggetto: il soggetto dell’inconscio e l’oggetto infinito del desiderio.

La scienza dell’ignoranza

Se mai porteranno a una psicanalisi scientifica, ancora tutta da (ri)formulare, i tre assunti condurranno a una costruzione teorica molto diversa dalla dottrina metapsicologica che oggi conosciamo. Che previsioni fare? Di certo i tre assiomi segnalati non porteranno a una delle scienze oggi esistenti. Non faranno della psicanalisi una fisica; mancano, infatti, i grandi principi di conservazione, gli invarianti del moto: energia, impulso e momento angolare. Non faranno della psicanalisi una biologia; manca, infatti, il principio darwiniano della variabilità biologica, generata dalla riproduzione con modificazione. Probabilmente avvicineranno la psicanalisi alla sociologia in nome dell’isomorfismo tra le due forme di inconscio: l’individuale e il collettivo nei rispettivi corpi: individuale e collettivo.

Complessivamente, detto in positivo, si profila un orizzonte scientifico, prima che una scienza vera e propria; lo chiamerei, non tanto paradossalmente, l’orizzonte delle scienze dell’ignoranza; sarebbero le scienze di ciò che il soggetto non sa di sapere e che, in sovrappiù, non vuole sapere; sarebbero anche le scienze della resistenza al sapere. Le resistenze epistemiche sono un punto su cui Freud ha sempre insistito e che va mantenuto: si vuole sapere e contemporaneamente si resiste al sapere; la volontà di sapere di cui parla Foucault non va senza la sua ombra, che è la volontà di ignoranza.

Che cosa ignora e vuole ignorare il soggetto dell’inconscio? Che l’oggetto del desiderio ha la forma di un infinito: è l’infinito numerabile della voce o l’infinito continuo dello sguardo, posto che il seno e la cacca hanno la forma (quasi) infinita della ripetizione.

 

Riflessi collettivi

L’infinito fa la differenza tra scienza e dottrina; nella scienza c’è l’infinito, quindi è incompleta e confutabile. Nella dottrina non c’è l’infinito, quindi è completa e inconfutabile. È una differenza non solo intellettuale. C’è un aspetto più rilevante, che à la Freud chiamerei “affettivo”, nel senso che implica il rapporto con l’altro.

La dottrina la formula uno solo, il maestro fondatore della propria setta, equivalente all’orda primitiva, mitologicamente concepita da Freud; la scienza nasce e si sviluppa tra molti in un collettivo paritetico: in un collettivo di pensiero, dice Ludwik Fleck. La scienza nasce dalla cooperazione, direi amorosa, di tanti non comandati da nessuno, ma guidati solo dalla volontà di ricerca.

Non sappiamo ancora bene come si configurerà la nuova scienza psicanalitica. Ma possiamo stare certi che sarà nata quando il legame tra analisti e non analisti cambierà pelle; quando avrà virato da legame identificatorio, concentrato sul capo dell’“orda psicanalitica”, a legame epistemico diffuso tra tutti e con tutti gli interessati alla psicanalisi. La dialettica epistemica è una vicenda di supposizioni e controsupposizioni, ben differente dalla monotonia dell’identificazione; se suppongo che tu sappia, collaboro con te; se suppongo che tu non sappia, collaboro con altri. In tale regime epistemico non esistono né ortodossie né eresie, né maestri né allievi, né guerre di religione tra questo e quello; esiste solo l’elaborazione collettiva di un sapere comune. Jung lo chiamava “inconscio collettivo”. Io proporrei il termine metaanalisi, nel senso di analisi che analizza l’analisi. La sua origine è però freudiana: Freud la chiamava “analisi laica”.

 

La formazione dell’analista

Finora non ho accennato al problema della formazione dell’analista. La ragione è semplice, ma non me ne sono dimenticato. Infatti, se la psicanalisi è una scienza, non esiste uno specifico problema di formazione del singolo analista, ma esiste il problema di formazione di un collettivo non professionale né scolastico di persone interessate alla psicanalisi come scienza o come arte. Se la psicanalisi è una scienza, sia la guarigione del nevrotico sia la formazione dell’analista, sono effetti collaterali della corretta prassi analitica nel confronto con l’oggetto infinito del desiderio. A rigore non c’è formazione adeguata rispetto all’infinito. Ma non è un guaio: ogni formazione vale l’altra; ognuno si autorizza da sé e con qualche altro, mi ha insegnato il mio maestro. La cosiddetta formazione dell’analista è un problema secondario, che il singolo individuo risolve di fatto frequentando l’ambiente psicanalitico, partecipando alle sue ricerche e condividendo successi e insuccessi, collettivi prima che individuali. La psicanalisi si apprende praticandola, prima su di sé e poi su chi la chiede, nell’ambito della comunità scientifica dove si “fa” psicanalisi. La formazione diventa un problema, solo se la psicanalisi non è una scienza ma una dottrina, che è distribuita da una scuola e alla quale l’allievo si deve conformare con un lungo tirocinio dal quale uscirà comme il faut.

La preoccupazione dei responsabili della scuola è, allora, che avvenga la trasmissione del deposito dottrinario dai “vecchi”, che lo detengono già, ai “giovani”, che non lo detengono ancora, e avvenga senza sbavature né fraintendimenti. Lacan credeva di aver risolto il problema riorganizzando il proprio insegnamento in matemi inequivocabili, definiti proprio così: “ciò che si può insegnare”.[11] Fu un errore concettuale. La matematica non ha questa funzione nelle scienze. Nelle scienze la matematica non serve a “conservare” ma a “innovare”. La matematica serve a formulare congetture da dimostrare (teoricamente) o confutare (empiricamente) nello scambio di sapere che circola nel collettivo scientifico. Non serve a codificare il vecchio sapere.

La formazione del collettivo

In quest’ottica il vero problema della psicanalisi scientifica, non è la formazione del singolo ma la formazione del collettivo di psicanalisi; si tratta di circoscrivere il luogo dove si fa sia l’analisi sia l’analisi dell’analisi, la prima prevalentemente individuale, la seconda prevalentemente collettiva, sotto il nome che ho proposto di metaanalisi. Nel 1955 in Variantes de la cure-type Lacan affermava che la cura analitica è la cura che ci si aspetta da uno psicanalista.[12] La piccola correzione che apporto a questa tautologia è semplice: la psicanalisi è la cura che ci si attende da un collettivo psicanalitico, organizzato con “coraggio scientifico”.

A tal fine, propongo una semplificazione dei riti di formazione; pongo in secondo piano la funzione didattica di maestri e presbiteri, i quali fanno cadere le briciole della loro dottrina in “verticale”, dall’alto in basso, e sollecito lo scambio di esperienze di analisi e di spezzoni di teoria analitica in “orizzontale”.[13] Ma non c’è da chiedersi come organizzare questi collettivi. Se esisterà una psicanalisi scientifica, i collettivi di psicanalisi si formeranno da sé. E saranno collettivi automaticamente democratici dove gli allievi si formano insiemi ai maestri nel libero scambio del pensiero psicanalitico.

Sì, perché l’altro nome di psicanalisi scientifica è psicanalisi liberale, non concentrata in scuole o lobby ma diffusa, come il libero pensiero. Detto altrimenti, per farmi meglio intendere dai giovani nativi digitali, l’analisi, che Freud chiamava laica, ma io preferisco il termine più politico di liberale, è open source, nel senso che, se non è proprio gratuita, è liberamente modificabile in base ai contributi dell’intera comunità psicanalitica.

Roma, 16-17 maggio 2014

[1] Con Ramon y Cajal, Nobel nel 1906, Freud fu tra i precursori della teoria del neurone.

[2] Vedi J. Lacan, Le Séminaire. Livre II. Le moi dans la théorie de Freud et dans la technique de la psychanalyse(1954-1955), Seuil, Paris 1978, p. 96. Per la rilevanza etica del progetto freudiano vedi http://www.sciacchitano.it/Psicanalisti/Freud/Progetto%20morale%20scienza.pdf

[3] Vedi http://www.sciacchitano.it/Psicanalisti/Freud/Freud.html

[4] S. Freud, “Neue Folge der Vorlesungen zur Einführung in die Psychoanalyse” (1932), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. xv, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 101. 35 anni prima, nella lettera a Fliess del 12 dicembre 1897 (Lettera 150, ex 78), definiva “miti endopsichici” i prodotti della propria elucubrazione.

[5] Se le pulsioni sono sessuali ma non hanno sesso, c’è da chiedersi perché Freud le chiami sessuali, ma non posso sviluppare qui questo argomento.

[6] S. Freud, “Die endliche und die unendliche Analyse” (1937), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. xvi, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 69.

[7] N. Machiavelli, Il principe (1512), cap. xv. Il segretario fiorentino intendeva la “verità effettuale della cosa”. Di cosa? Della cosa infinita, possiamo dire 500 anni dopo.

[8] Tratto il tema del tempo epistemico in A. Sciacchitano, Il tempo di sapere. Saggio sull’inconscio freudiano, Mimesis Edizioni, Milano 2013.

[9] Il prosciugamento dello Zuiderzee inconscio, secondo la famosa metafora freudiana (cfr. Lezione 31), è in linea di principio impossibile. Lo stabiliscono i teoremi limitativi di Gödel (sintattico) e di Tarski (semantico).

[10] Cosa rimuove la rimozione originaria? Forse l’essere, quindi il tempo. Essa forma il nucleo di sapere congenito (filogenetico) sulla propria esistenza, che il soggetto non verrà mai a sapere e rimarrà inconscio per tutta la sua breve vita, finché lo passa ad altri.

[11] “J’entends par là ce qui est seul à pouvoir s’enseigner ” (1972). J. Lacan “L’Etourdit” (1972), Scilicet, 4, Seuil, Paris 1973, p. 28.

[12] J. Lacan, “Variantes de la cure-type” (1955), Ecrits, Seuil, Paris 1966, p. 329.

[13] Freud non apprezzava il legame sociale orizzontale. Lo riteneva una “miseria psicologica della massa”. Cfr. S. Freud, “Il disagio nella civiltà” (1929), in Sigmund Freud gesammelte Werke, vol. xiv, Fischer, Frankfurt a.M. 1999, p. 475.