Autore: Dott. Giovanni Iacoviello

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“Ci vuole coraggio per alzarsi a parlare. Ci vuole coraggio anche per sedersi ed ascoltare”

Winston Churchill

Quali sono le parole giuste da dire? Quali quelle più persuasive ad un colloquio con un nuovo cliente? Quali per un claim vincente per un prodotto? Che cosa interessa di più alla gente?

Di che cosa ha bisogno la gente?

Ognuno di voi sa per lo più di cosa ha bisogno. Non sempre si riesce a verbalizzarlo con chiarezza, anche quando se ne ha un’idea. Qualcuno vi vorrà convincere invece che molti dei vostri bisogni sono latenti, e quindi avrete bisogno del suo aiuto per individuarli. Altri riferendosi a persone pensanti e intenzionali preferiscono parlare di desideri e di consapevolezza. Soffermandoci un attimo con chi parla di bisogni, lo psicologo statunitense Abraham Maslow è divenuto famoso per avere ideato una gerarchia di bisogni umani, rappresentati da una piramide a cinque livelli. Alla base ci sarebbero quelli fisiologici e di sicurezza, mentre al terzo e al quarto quelli di affetto e di stima. Il fatto che questi siano bisogni o desideri, o la bontà delle teorie scientifiche di riferimento, in questa sede non ci interessa. E’ innegabile comunque in ogni tempo e cultura che questi due aspetti sono tra i più importanti per le persone. E’ più facile soddisfare questi aspetti lodando sé e il proprio prodotto, facendo notare che la nostra azienda è la numero uno e facendo sentire gli interlocutori piccoli e meschini, oppure informandosi su ciò che aiuta la gente a percepire il vostro affetto e la vostra stima, che siate un venditore, volontario, pubblicitario o imprenditore? Nel campo del giornalismo, qualcuno ha detto molti anni fa che ciò a cui si interessa di più la gente è se stessa.

Un modo facile per diventare buoni conversatori per Dale Carnegie.

Invitato una sera a casa di amici per una partita, non giocando a bridge il formatore americano Carnegie si ritirò in un angolo a guardare. Accanto a lui c’era una signora, anche lei non giocatrice, che gli chiese di raccontargli di tutti i posti in Europa che aveva visitato, specificando subito che lei era stata in Africa. A quella parola Carnegie fu incuriosito, così per quarantacinque minuti la signora gli parlò dell’Africa dimenticando completamente i viaggi di lui, che constatò: “Non aveva voglia di sentir parlare delle mie esperienze: voleva solo un ascoltatore interessato che le permettesse di parlare a piacimento”. Per l’autore la signora non era un tipo strano, ma nella norma. Nel suo bestseller Come trattare gli altri e farseli amiciraccontava che un botanico, dopo essere stato ascoltato da lui tutta la sera ad una festa, al suo termine lo aveva indicato al padrone di casa come il più stimolante conversatore tra i presenti, anche se aveva fatto solo qualche domanda e non aveva quasi aperto bocca!

Un modo sicuro per Carnegie per peggiorare la comunicazione, che possiamo sicuramente applicare alla nostra idea, prodotto o azienda: “Se volete proprio che la gente si faccia beffe di voi, vi rida dietro, vi disprezzi e vi sfugga, questa è la ricetta: non state mai ad ascoltare nessuno. Parlate sempre e solo di voi stessi”. Probabilmente alla gente non importa così tanto se col vostro prodotto siete leader del settore o vi state espandendo, quanto invece di fare sentire loro dei numeri uno e parlare di loro e dei loro bisogni nei vostri discorsi o spot, e col loro linguaggio. Il consiglio che dava Carnegie per essere dei buoni conversatori era infatti: “Siate buoni ascoltatori. Incoraggiate gli altri a parlare di se stessi”.

Le parole che conquistano.

L’ascolto attivo, con la partecipazione del nostro corpo, mostrando una postura aperta ad accogliere la visione del mondo dell’altro, è il gesto che dimostra la nostra migliore accoglienza e conquista di più il cuore dell’interlocutore.

In definitiva, paradossalmente le parole che conquistano di più sono quelle dell’altro ascoltate da voi, perché con questo nobile gesto li accettate incondizionatamente, li accogliete e rispettate, e questo raggiunge qualsiasi cuore. Solo in base all’accettazione incondizionata dell’altro, e attraverso il suo racconto di sé si può costruire una storia che lo riguardi e lo interessi.

Quando siamo davanti ad un uditorio, ma anche quando abbiamo come interlocutori lettori o spettatori, citando ancora Carnegie: “Tutti i presenti sono ansiosi di sentire quel che avete da dire, nella misura in cui le vostre parole li riguardano, ovviamente”.

G. I.