Autore: Benilde Mauri

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PREMESSE TEORICHE

Il counseling motivazionale è uno degli stili di counseling più efficaci con i soggetti che presentano problemidi dipendenza. Esso viene definito dai suoi stessi ideatori come «un intervento orientato, centrato sul cliente,volto ad affrontare e risolvere il conflitto di ambivalenza in vista di un cambiamento del comportamento»

(Miller e Rollnick, 1991). L’aggettivo «orientato» è riferito alla presenza di un obiettivo ben preciso (la modifica di un comportamento a rischio o disfunzionale) verso cui si cerca di «orientare» il cambiamento. Latrasformazione desiderata viene ottenuta tramite l’utilizzo di tecniche che tengono conto della visione del

mondo del paziente, in un’atmosfera di empatia, accoglimento e fiducia (da cui l’aggettivazione «centrato sulcliente») e che cercano di far leva sugli elementi di conflittualità interiore del paziente stesso.

Tale tecnica nasce da tre premesse importanti:

1) gli studi sugli ingredienti efficaci dell’intervento breve

2) l’elaborazione da parte di Prochaska e DiClemente di un modello nuovo del processo di cambiamento

3) la visione dell’ambivalenza del paziente come sintomo di un conflitto approccio-evitamento

 Gli ingredienti efficaci dell’intervento breve

Secondo la definizione del NIAAA, si intende per intervento breve un intervento che si svolga in 4 colloqui della durata variabile da pochi minuti ad un’ora.

Gli obiettivi dell’intervento breve possono essere i seguenti:

1) motivare il paziente a trattamenti di piu’ lunga durata

2) moderare i consumi

3) raggiungere l’astinenza

Numerosi studi hanno dimostrato l’efficacia di tali metodologie , comparabile, in alcuni casi, a quella di interventi più lunghi e dispendiosi. Miller e Sanchez (199 ) hanno analizzato il contenuto delle strategie di counseling rivelatesi efficaci al fine di individuare gli elementi critici in esse contenuti che inducono la motivazione al cambiamento. I risultati di tale studio hanno condotto gli autori a descrivere i seguenti “ingredienti attivi” dell’intervento breve le cui iniziali in inglese formano l’acronimo FRAMES:

1) il Feedback

2) la Responsabilità

3) i consigli (in inglese Advertising)

4) la lista delle opzioni (in inglese Menu of topics)

5) l’Empatia

6) l’ autoefficacia (in inglese Self-efficacy)

Il cambiamento secondo il modello di Prochaska e Di Clemente

Il modello del cambiamento di Prochaska e Di Clemente fornisce uno schema per descrivere i diversi stati (e stadi) della motivazione ed i relativi obiettivi terapeutici. Inizialmente, tale modello nasce da uno studio

comparativo degli autori sui diversi approcci psicoterapeutici esistenti, volto ad evidenziare gli elementi comuni nei processi di cambiamento descritti dalle varie scuole. Viene, poi, successivamente preso in considerazione nello studio del cambiamento intenzionale nei comportamenti di dipendenza.

Nel modello di Prochaska e Di Clemente vengono considerati tre aspetti fondamentali:

1) gli stadi del cambiamento;

2) i processi che vengono messi in atto;

3) i livelli coinvolti nel cambiamento stesso. .

Gli stadi del cambiamento

Gli stadi vengono definiti da Di Clemente (1997) come «momenti, con un tempo ed una specificità propri, caratterizzati da alcuni processi di cambiamento propri di quella fase». Essi rappresentano, pertanto, sia un periodo di tempo (variabile per ciascun individuo) che un insieme di compiti la cui esecuzione è indispensabile per il passaggio allo stadio successivo ed il cambiamento viene visto come un processo che attraversa progressivamente i vari stadi. Perché esso si stabilizzi è, però, necessario che ciascuno stadio venga attraversato più volte per cui l’intero processo può essere rappresentato da una ruota,la cosiddetta «ruota del cambiamento». L’insieme degli stadi disposto su tale ruota forma, infatti, un percorso circolare che va più volte percorso prima che il cambiamento si possa stabilizzare.

Entrando nel dettaglio, Di Clemente e Prochaska distinguono i seguenti stadi susseguentesi nel corso di un processo di cambiamento:

1) la precontemplazione, caratterizzata dall’assenza di consapevolezza della necessità di cambiamento;

2) la contemplazione, caratterizzata dall’emergere di atteggiamenti ambivalenti verso la dipendenza, che rendono il soggetto capace di esaminare i pro ed i contro del suo comportamento ma non di decidere a favore del cambiamento;

3) la determinazione, in cui emerge la generica voglia di «fare qualcosa», che, però, non si concretizza ancora in piani di azione precisi;

4) l’azione, nella quale avviene la messa appunto e la realizzazione di piani volti a realizzare il cambiamento;

5) il mantenimento, durante il quale il soggetto cerca di mantenere fermi i risultati raggiunti;

6) la ricaduta.

E’ interessante come la ricaduta diventi uno degli stadi della ruota attraverso cui passano tutti coloro che intendono realizzare un cambiamento. Inoltre, dopo ciascuna ricaduta il soggetto può in alcuni casi ritornare allo stadio della precontemplazione, perdendo apparentemente tutta la capacità di analisi conquistata fino ad un momento prima. In genere, comunque il soggetto ricomincia il suo percorso dallo stadio della contemplazione. Inoltre, va tenuto presente che il secondo passaggio nello stesso stadio non è mai uguale al primo né al terzo ed il soggetto dovrebbe fortificarsi sempre più man mano che attraversa la ruota. L’uscita dalla ruota avviene nella fase del mantenimento, in genere dopo che il soggetto ha percorso la ruota stesso per un numero variabile di volte (in media circa 5-6 volte). Altro dato che va tenuto presente è che la percorrenza della ruota può avvenire in tutti e due i sensi per cui è sempre possibile per un soggetto tornare indietro verso uno stadio che sembrava aver già superato. In alcuni casi si possono avere dei soggetti che oscillano continuamente tra due stadi (ad esempio tra la contemplazione e l’azione) senza riuscire a raggiungere gli stadi successivi.

I processi del cambiamento

Per processo di cambiamento si intende «un tipo di attività intrapresa o vissuta da una persona quando cambia modo di pensare, di sentire o di comportarsi rispetto ad un particolare problema» (Spiller Scaglia, Ceva,….). Nel tentativo di schematizzare tali attività e di renderne più semplice la comprensione, gli autori individuano dieci principali processi che intervengono nel cambiamento raggruppati in due aree: l’area cognitivo-esperienziale e l’area comportamentale. Tali processi vengono schematicamente elencati

AREA COGNITIVO-ESPERENZIALE

1) aumento della consapevolezza; 2) attivazione emozionale e dramma-tizzazione; 3) rivalutazione di sé; 4) rivalutazione dell’ambiente; 5) liberazione sociale.

AREA COMPORTAMNETALE

1) liberazione personale; 2) contro-condizionamento 3) controllo dello stimolo; 4) gestione delle ricompense; 5) capacità di stabilire relazioni di aiuto

Una considerazione importante è che i processi vengono utilizzati in maniera diversa nei vari stadi del cambiamento. In particolare, nella fase di precontemplazione si ha un uso molto limitato dei processi implicati nel cambiamento. Il soggetto non ha consapevolezza del problema e pertanto non impiega tempo nel rivalutarsi né nel cercare valide relazioni di aiuto. E’ probabile che in questa fase il paziente appaia molto «resistente» verso la terapia e talvolta è necessario che si verifichino importanti eventi personali o forti pressioni esterne perché il soggetto possa passare alla fase successiva.

Nella fase della contemplazione si ha un livello di consapevolezza senza dubbio maggiore ed esiste una certa disponibilità a rivalutarsi sia dal punto di vista cognitivo che affettivo. L’elemento che, però, domina in questa fase è l’ambivalenza la quale va correttamente affrontata per cercare di prevenire un ritorno verso la fase della precontemplazione. E’ necessario tener presente che quanto più il problema che si affronta è parte integrante della personalità del soggetto tanto maggiore dovrà essere il grado di consapevolezza raggiunto perché si verifichi il processo di rivalutazione di sé.

Il soggetto nella fase della determinazione ha ormai raggiunto una tensione insopportabile tra lo stato presente ed i suoi valori personali per cui è pronto ad intraprendere un cambiamento utilizzando i processi sopra descritti. Tali processi si attivano tutti nella fase dell’azione, dove, però, l’elemento ritenuto più

importante dagli autori è il processo di liberazione personale. Quest’ultimo si fonda sul concetto di auto-efficacia di Bandura (1977, 1982) ma implica che accanto agli aspetti cognitivi ed affettivi vi sia la messa in atto di comportamenti capaci di modificare lo stimolo condizionato che potrebbe indurli ad una ricaduta.

Il rischio è che un’eventuale ricaduta in questa fase possa condurre ad una rinuncia per la convinzione di avere una mancanza di forza di volontà, per vergogna o senso di colpa. Il soggetto ha bisogno in questa fase di conforto e sostegno e l’operatore può assumere le funzioni di consulente e/o provvedere ad una fase di training per aiutare il soggetto nei processi di controllo degli stimoli e di contro-condizionamento.

Nella fase di mantenimento, infine, è importante che il soggetto valuti correttamente le condizioni che potrebbero spingerlo ad una ricaduta, utilizzando strategie difensive valide. Processi quali il contro-condizionamento ed il controllo dello stimolo dovrebbero in tale fase contribuire a consolidare un’immagine di sé valutata positivamente dal soggetto e/o da altre persone a lui vicine.

Tali considerazioni trovano un’applicazione pratica nelle modalità di conduzione del colloquio motivazionale che si modificano a secondo dello stadio del processo di cambiamento in cui il soggetto si trova, proprio per rispettare ed utilizzare i processi tipici di ciascuno stadio

Stadio dell’utente

Compiti del terapeuta per indurre la motivazione

Precontemplazione

a) Insinuare il dubbio.

b)Aumentare nell’utente la percezione dei rischi e dei problemi che

comporta l’attuale comportamento

Contemplazione

a)Far pendere opportunamente l’ago della bilancia.

B)Evocare le ragioni per cambiare e i rischi che si corrono se non si cambia.

c) Aumentare l’autoefficacia dell’utente per cambiare l’attuale comportamento ,Determinazione

Aiutare l’utente a determinare la migliore strada da prendere per trovare il modo di cambiare ,Azione ,Aiutare l’utente a compiere i passi necessari all’attuazione del cambiamento

Mantenimento

Aiutare l’utente a identificare ed utilizzare strategie che impediscano una ricaduta

Ricaduta

Aiutare l’utente a riavviare i processi di contemplazione, determinazione ed azione senza restare impantanato o demoralizzato a causa della ricaduta

Tratta da Miller, Rollnick (1994), Il colloquio di motivazione Tecniche di counselling per problemi di alcol ed altre dipendenze»

I livelli del cambiamento

Gli autori individuano cinque diversi livelli organizzati gerarchicamente che possono essere interessati dal cambiamento e su cui si sono concentrati negli anni le diverse scuole di psicoterapia:

1) sintomatico/situazionale, di interesse precipuo dei comportamentisti;

2) cognitivo/disadattivo, su cui si sono focalizzati soprattutto i cognitivisti;

3) interpersonale;

4) familiare/sistemico, di competenza soprattutto, anche se non esclusivamente, dei terapeuti ad indirizzo sistemico-relazionale;

5) intrapsichico, storicamente indagato dagli analisti.

L’ambivalenza

Spesso la motivazione delle persone che cercano aiuto per problemi di dipendenza appare fluttuante e la sensazione dell’operatore è che il paziente alterni rapidamente momenti in cui desidera il cambiamento a momenti in cui vi si oppone energicamente. Nell’approccio motivazionale, Miller e Rollnick (1991) attribuiscono tale fluttuazione all’ambivalenza del soggetto rispetto al cambiamento, cioè alla coesistenza riguardo a tale scelta di sentimenti tra loro opposti ma tutti alla stesso modo autentici. Per avere un’idea di cosa significhi tale stato emotivo si pensi, ad esempio, alle situazioni affettive, ben descritte in film e romanzi, in cui ci si sente contemporaneamente attratti e respinti dall’altro (“non sto bene con lui ma non posso stare lontana da lui”) e alle difficoltà che si incontrano ogni volta che si deve decidere qualcosa di importante. Per ciò che riguarda specificamente i problemi di dipendenza, capita spesso che alcolisti, tossicodipendenti, giocatori d’azzardo, ecc. restino legati al loro comportamento, pur riconoscendone i rischi e i danni che ne ricevono.

Questo atteggiamento può essere interpretato come segno di scarsa motivazione e/o di volontà di mistificazione. In tal caso la reazione istintiva dell’operatore è in genere quella di cercare di spingere il soggetto verso il cambiamento elencando tutta una serie di argomenti a favore di esso. Miller e Rollnick (1991, pag.53) sottolineano come tale risposta dell’operatore non fa altro che aumentare il numero dei “sì, ma….” e spinge il soggetto nella direzione opposta a quella desiderata.

Infatti, operatore e paziente finiscono con il dare voce ai due lati dell’ambivalenza, impersonando il primo la posizione favorevole al cambiamento ed il secondo quella contraria. Un counseling così condotto induce, pertanto, il soggetto ad individuare ulteriori motivazioni contro il cambiamento e vanifica gli sforzi dell’operatore.

Le tecniche usate nel colloquio di motivazione hanno proprio lo scopo di riuscire a gestire in maniera proficua l’ambivalenza nel counseling (Miller e Rollnick, 1991, pag. 55). In tale approccio l’ambivalenza viene considerata “normale, accettabile e comprensibile” poiché ciò consente all’operatore di vedere “più chiaramente la complessità del dilemma” invece “di attaccare il mostro della negazione”. La difficoltà di cambiamento nei problemi di dipendenza viene considerata del tutto assimilabile a quella che ciascuno di noi può sperimentare nella propria vita quando si trova di fronte ad una scelta importante. L’ambivalenza viene, pertanto, interpretata come sintomo di un conflitto (in particolare di un conflitto attrazione-evitamento1), piuttosto che attribuita ad una “particolare patologia (dipendente)” o “a meccanismi di difesa di un carattere disturbato (come la negazione, la razionalizzazione e la proiezione)” (Miller e Rollnick, 1991, pagg.63-64).

1 Ricordiamo a tal proposito che la psicologia comportamentista distingue tre tipi di conflitto:

a) il conflitto attrazione-attrazione, che si verifica quando si hanno due o più mete tutte desiderabili ma che si escludono a vicenda;

b) conflitto evitamento-evitamento, che si ha quando la scelta è tra due possibilità entrambe sgradevoli;

c) conflitto attrazione-evitamento, nel quale lo stesso evento presenta aspetti positivi e negativi, come il piacere provato nel mangiar dolci e la paura di ingrassare

2 per approfondimenti sull’ambivalenza ed i suoi meccanismi, vedi Orford, 1985

3 Ricordiamo a tal proposito che, secondo tale teoria, per mettere in atto un cambiamento è indispensabile che il soggetto abbia stima di sé e fiducia nella propria possibilità di farcela ( la cosiddetta autoefficacia).

Tale visione consente di spiegare i repentini mutamenti da stati d’animo vulnerabili ad aperti atteggiamenti di sfida e la sensibilità di tali persone allo stile dell’operatore, che può contribuire ad aumentare e cristallizzare le resistenze al cambiamento.

Inoltre, evitando di attribuire solo alle caratteristiche del paziente fenomeni “negativi” quali la resistenza, la scarsa motivazione, ecc., obbliga l’operatore a mettere continuamente in  discussione il proprio atteggiamento e a compiere in ogni istante uno sforzo di immedesimazione nelle emozioni e nei sentimenti di chi cerca aiuto.

Comprendere l’ambivalenza, infatti, vuol dire essere capaci di “tollerare l’ambiguità, di rispettare l’altro, di provare “amore del gioco” in sé” (Miller e Rollnick, 1991, pag.60), gioco inteso come viaggio all’interno della complessità di ciascuna persona e situazione.

Infine, l’attribuzione dell’ambivalenza ad un conflitto del tipo approccio evitamento, comporta la necessità di comprendere gli elementi del conflitto e le aspettative del singolo rispetto al cambiamento stesso. Nel compiere tale analisi del conflitto, è importante che l’operatore eviti di assegnare un valore predefinito ai fattori implicati nel cambiamento, poiché la valutazione di costi e benefici è estremamente soggettiva e difficilmente i valori dell’operatore coincidono con quelli dell’utente. Ciò che per alcuni è importantissimo (famiglia, lavoro, buona salute) può avere un valore scarso o nullo per altri. Si pensi, ad esempio, al diverso significato dato al rubare o all’usare droghe nei diversi quartieri e nei diversi gruppi etnici o addirittura nelle culture di popoli diversi.

Va , inoltre, tenuto presente che la desiderabilità di comportamenti “a rischio” aumenta se questi diventano strumento per l’affermazione della propria libertà personale che appare minacciata. In molti casi, ammettere che i familiari hanno ragione rispetto all’eccessività del proprio bere può voler dire ammettere anche il fallimento nella gestione della propria autonomia e la necessità di limitarla.

L’approccio motivazionale cerca, al contrario, di salvaguardare l’autostima del soggetto, basandosi in questo sulla teoria dell’autoefficacia di Bandura, per cui l’operatore lascia sempre l’ultima parola al paziente, senza porre aut-aut né assumere il ruolo di infallibile detentore del sapere.

Ovviamente esiste una diversità notevole tra i vari soggetti nella consapevolezza del proprio problema e della propria ambivalenza verso il cambiamento. I diversi gradi di consapevolezza non sono visti, però, come tratti non modificabili ma come momenti facenti tutti parte del processo di cambiamento, come previsto dal modello di cambiamento descritto da Prochaska e Diclemente.