Autore: Benilde Mauri

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ASPETTI METODOLOGICI

Come già è desumibile da quanto appena esposto, i concetti importanti alla base dell’approccio motivazionale sono i seguenti:

1) l’ambivalenza non è un fenomeno patologico

2) la motivazione non è uno stato stabile

3) esistono varie fasi nel processo del cambiamento, rispetto alle quali occorre modulare l’intervento

4) l’atteggiamento dell’operatore può influenzare l’emergere ed il cristallizzarsi di fenomeni di resistenza nel corso del counseling.

Aver presente tali concetti serve all’operatore per raggiungere il suo obiettivo principale che è, ovviamente, quello di trasmettere al soggetto informazioni che lo aiutino a decidere sul da farsi. Ciò che non va mai dimenticato è che la semplice verbalizzazione di una serie di dati non implica assolutamente la trasmissione

di tali dati all’altro. Perché le informazioni «arrivino» veramente all’altro è indispensabile, infatti, che si stabilisca una comunicazione. Compito non secondario dell’operatore è, quindi, quello di creare l’atmosfera favorevole alla comunicazione, facendo sentire il soggetto compreso ed accettato ed evitando o cercando di limitare l’insorgere di fenomeni di resistenza. E’ importante, inoltre, una volta che tali fenomeni si siano manifestati, che egli sia in grado di gestirli ed arginarli.

Le tecniche del colloquio motivazionale si basano sui seguenti cinque principi fondamentali:

1) esprimere empatia;

2) sviluppare le fratture interiori;

3) evitare dispute o discussioni;

4) aggirare ed utilizzare le resistenze;

5) sostenere il senso di autoefficacia.

Nel mettere in pratica i principi sopra esposti, l’operatore si può avvalere nell’ambito del counselling motivazionale delle seguenti tecniche:

1) formulare domande aperte;

2) praticare l’ascolto riflessivo;

3) sostenere e confermare;

4) riassumere;

5) evocare affermazioni automotivanti.

6) ristrutturare

Le prime quattro tecniche derivano in gran parte dall’approccio rogersiano, ma lo scopo per cui vengono usate è quello di dirigere in una ben definita direzione il cambiamento. La quinta (che comprende una serie di diverse strategie possibili) è specifica del colloquio di motivazione e ne consente il carattere direttivo.

A queste cinque fondamentali tecniche va aggiunta la ristrutturazione (anch’essa a carattere direttivo), che sebbene non elencata esplicitamente a proposito delle «tecniche motivazionali», viene menzionata dagli autori in vari punti dei loro manuali (a proposito del fronteggiamento delle resistenze, nella prima fase del colloquio motivazionale, ecc.) ed il cui uso è importante durante tutto lo svolgimento della terapia motivazionale.

 Le trappole in cui può cadere l’operatore

 E’ importante fin dal primo colloquio evitare di cadere in alcuni errori che possono pregiudicare lo svolgimento anche delle successive sedute. In particolare Miller e Rollnick (1991) individuano la seguente serie di trappole che possono presentarsi all’operatore:

1. La trappola della domanda-risposta.

2. La trappola del «confronto-negazione

3. La trappola dell’esperto

4. Il rischio dell’etichettatura

5. La trappola dell’attenzione prematura

6. La trappola del biasimo

Esamineremo una per volta ognuna di tali situazioni descrivendone i rischi e le modalità per evitarle.

La trappola della domanda-risposta

In questo caso il colloquio si trasforma in una serie di domande dell’operatore alle quali il soggetto risponde con delle frasi brevi. Ciò può essere legato all’ansia del terapeuta che tenta di relegare il soggetto in un ruolo passivo o a quella di quest’ultimo che si sente protetto nella propria passività o, ancora, alla preoccupazione dell’operatore di acquisire una serie di informazioni.

La dinamica relazionale terapeuta attivo – paziente passivo risulta essere estremamente negativa nell’ambito del colloquio motivazionale perché impedisce al soggetto di impegnarsi ad esplorare e verbalizzare le proprie motivazioni.

Può essere evitata facilmente acquisendo le informazioni necessarie in un momento diverso da quello del colloquio motivazionale e cercando di formulare domande aperte, tali cioè che non presuppongano la possibilità di una risposta breve. Inoltre, è opportuno far seguire la risposta del paziente dall’ascolto riflessivo o da una ristrutturazione, anziché da un’altra domanda.

La trappola del confronto-negazione

La trappola del confronto-negazione trasforma il colloquio motivazionale in approccio basato appunto sul confronto. L’operatore può caderci nel tentativo di comunicare al soggetto le proprie idee riguardo al suo problema e le possibili soluzioni. Poiché il soggetto è ambivalente rispetto alla possibilità di cambiamento, lo schieramento dell’operatore per uno solo dei versanti della sua ambivalenza (l’ipotesi di cambiamento) ne provocherà lo spostamento verso il versante opposto (la resistenza al cambiamento). Quanto più l’atteggiamento dell’operatore sarà conflittuale, tanto più l’utente opporrà resistenza nel tentativo di difendere la propria autonoma capacità di scelta.

La pratica dell’ascolto riflessivo e l’attenzione al mondo dei valori del paziente dovrebbero evitare tale trappola, ma qualora si verificasse è importante che l’operatore fermi il prima possibile il circolo vizioso che ne può derivare applicando le tecniche descritte a proposito delle modalità con cui affrontare le resistenze.

La trappola dell’esperto

Quando l’operatore dà l’impressione di conoscere tutte le risposte, rischia di confinare il soggetto in un ruolo eccessivamente passivo, stabilendo una dinamica simile a quella che si verifica nel caso della trappola della domanda-risposta. Anche se sono previsti all’interno del colloquio motivazionale dei momenti in cui il terapeuta è tenuta ad esprimere la propria opinione, questo non è quello che si verifica di solito, essendo scopo fondamentale di tale approccio quello di costruire la motivazione del paziente, assegnando a quest’ultimo un ruolo estremamente attivo.

Il rischio dell’etichettatura

Taluni operatori ritengono molto importante che il soggetto accetti l’etichetta diagnostica da loro individuata. In realtà, tale etichetta è frequentemente causa di resistenze, in seguito al significato sociale ad essa attribuito (e con il quale il soggetto si rifiuta di identificarsi) e la sua accettazione non sembra essere correlata in maniera significativa con l’esito positivo della terapia. Per tale motivo, Rollnick e Miller consigliano di non enfatizzare tale aspetto, senza per questo impedire a coloro tra i pazienti che sentono il bisogno di una tale etichettatura (si pensi all’approccio degli A.A.) di usarla.

La trappola dell’attenzione prematura

Va tenuto presente che per alcuni soggetti il problema della dipendenza può apparire in certi momenti secondario rispetto ad altre situazioni di cui avvertono maggiormente il peso. Nel caso in cui l’operatore non tiene in debito conto l’esigenza del soggetto di focalizzare l’attenzione su aree diverse da quella della dipendenza, sarà inevitabile l’insorgere di fenomeni di resistenza. Miller e Rollnick consigliano di evitare dispute (soprattutto nel primo incontro) riguardo alla necessità di affrontare una tematica anziché l’altra e di attendere il momento opportuno (dopo avere creato un’atmosfera empatica, magari approfittando di un’affermazione del paziente) per poter spostare l’attenzione sul problema della dipendenza.Ciò vale, ovviamente, anche per altri aspetti che l’operatore vorrebbe sviscerare e che non trovano il dovuto eco nella psiche dell’utente.

La trappola del biasimo

Molti pazienti possono avere all’inizio del colloquio, la paura di essere biasimati per il loro comportamento e, pertanto, cercare un colpevole in altre persone e/o situazioni esterne.

L’operatore deve affrontare tale paura e rassicurare il soggetto per evitare inutili perdite di tempo ed atteggiamenti difensivi. In questi casi può essere, ad esempio, utile una ristrutturazione con la quale si spiega alla persona che scopo del counselling non è l’individuazione di una colpa e di un colpevole ma l’accettazione dei problemi e la ricerca delle possibili soluzioni.