Autore: Dott.ssa Antonella Azzaloni

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Negli ultimi trent’anni, le aziende hanno avuto bisogno di garantire ai propri dipendenti una formazione di alto livello qualitativo, per far si che questi potessero fronteggiare i compiti loro assegnati con preparazione e competenza. Questa esigenza trova la sua importanza nella capacità di percepire e gestire l’innovazione nel mondo del lavoro; un passaggio, non sempre facile, perché volto a comprendere il valore sociale delle difficoltà e dei cambiamenti organizzativi all’interno dell’azienda. Questo non è un obiettivo specifico di una singola realtà, ma coinvolge nella molteplicità delle sue relazioni l’intero mondo del lavoro, che negli ultimi tempi, è stato al centro di enormi cambiamenti legislativi, mirati a rivoluzionare regole e convinzioni per raggiungere una modernità che contrasta, per alcuni versi, con l’etica e la tutela sociale del lavoratore. La destabilizzazione della usuale modalità lavorativa non di rado condiziona il lavoratore nella sua capacità di credere in sé stesso e di relazionarsi nel suo ambiente di lavoro.

Il counseling aziendale ha un obiettivo primario: il potenziamento e lo sviluppo delle risorse dell’individuo, attivando le capacità latenti di ognuno e trasformandole in capacità reali, dando spazio alla efficacia relazionale e alla soddisfazione personale in rapporto al proprio vissuto professionale. Migliorare, quindi, il livello di competenze individuali e al tempo stesso improntare una relazione di aiuto che riveli motivazioni, ambizioni, ed anche conflitti e incapacità di gestire le proprie frustrazioni.

Al lavoratore vengono imposti cambiamenti veloci e continui che lo obbligano ad instaurare nuove relazioni e mantenere vive quelle esistenti da tempo. In questa dinamica è utile, per il mantenimento del ben-essere, consapevolizzare e gestire i moti aggressivi e gli atteggiamenti passivi.

Cosa dire, poi, dei frequenti disorientamenti dei neo-assunti i quali si trovano a dover inquadrare la nuova realtà lavorativa, possono sentirsi estranei e osservati dai colleghi e dai superiori. Può essere utile agevolare l’adattamento al nuovo ambiente, alle nuove relazione e mansioni, senza incorrere nella fretta di interiorizzare rapidamente i vari protocolli per evitare, il più possibile, errori e gaffe.

La presenza del counselor può essere, inoltre, importante in alcune situazioni critiche che si possono presentare nella vita di un lavoratore dipendente. Ad esempio, quando viene richiesto un cambiamento di mansione e che potrebbe generare angoscia e resistenza con il rischio di non recepire la richiesta di crescita dell’azienda (ed anche sua). Tutto questo può sfociare in una considerazione di sé che genera frustrazione e ferisce perché induce senso di inadeguatezza, incapacità di reagire razionalmente di fronte alle difficoltà ed anche influire sulla motivazione e l’interesse al lavoro. In questi casi non è sufficiente individuare l’inserimento del soggetto nelle giuste forme di orientamento formativo, ma è necessario richiamare una forte attenzione alla dimensione psicologica per poter coinvolgere il soggetto a prendere consapevolezza delle proprie risorse, individuarle e gestirle. Il counselor può entrare in gioco con la sua professionalità stimolando la presa di coscienza delle proprie capacità e facendo emergere l’energia necessaria per affrontare il cambiamento con sicurezza e competenza. Grazie alle tecniche di ascolto attivo e di autoesplorazione, il cliente arriva a valutare serenamente le proprie abilità, il proprio talento, le proprie motivazioni e i propri valori e a rispettare le proprie paure senza essere giudicato. Occorre, perciò, facilitare il passaggio da una possibile valutazione confusa di sé ad una autoconoscenza consapevole verso la conquista o la riattivazione di fiducia e risorse. Procedendo per flash. In azienda, il lavoratore è spesso influenzato dal giudizio che gli altri danno di lui e “si guarda” con gli occhi di chi lo dirige: questo condiziona le sue emozioni e i suoi stati d’animo. L’incontro con il counselor può rendere il cliente capace di determinare con chiarezza il proprio lavoro e le proprie qualità affinché possa gestire gli eventi interiori con maggiore consapevolezza. In tutti questi situazioni e in altre che caso per caso vanno contattate insieme al cliente, il counselor si muove con atteggiamento di accettazione incondizionata e di empatia. Senza invadenza, egli si relazione “alla pari” ascoltando con autenticità e disposizione d’animo, evitando accuratamente di prendere posizioni o esprimere giudizi, agevolando la relazione attraverso una totale accoglienza e congruità. Nel mondo del lavoro, questa possibilità rappresenta un’isola serena dove poter essere ascoltati e rispettati, nei modi e nei tempi scelti, e coadiuvati a realizzare un progetto di sé per giungere a mete di più ampio respiro. In azienda si può essere portati a mostrare solo alcuni aspetti di se stessi, in genere quelli idonei a creare consenso e ammirazione. Spesso prevale una subdola competizione e si tende a tenere troppo in considerazione le attese di chi sovrintende, sentendosi condizionati e poco liberi. Il counselor, nel suo contratto, aiuta il cliente ad individuare le ragioni che lo spingono ad avere un atteggiamento di concreta non-volontà a mostrarsi così com’è e lo accompagna attraverso la riformulazione a conciliare il bisogno di stima e successo con il rispetto di sé. Al counselor aziendale spetta il compito di mediare tra azienda e dipendente. L’azienda desidera migliorare il rendimento delle varie professionalità in termini qualitativi e quantitativi e in questo senso il ben-essere dei lavoratori è la più grande risorsa ed investimento. In questo senso è possibile immaginare, nel ruolo del counselor, una figura che inizia con il lavoratore un percorso che va dall’acquisizione di una maggiore autonomia di sé all’apprezzamento verso il valore dell’interdipendenza, riuscendo a realizzare forme di relazioni positive e sinergie efficaci. La relazionalità è la sfida più ardua in quanto implica un passaggio: dall’affermazione individuale alla vittoria delle relazioni interpersonali. La centralità del cliente diventa quindi la messa a fuoco di un obiettivo in cui si intersecano tutte le relazioni che portano con sé diversi valori, diverse attitudini, diverse sensibilità. Il lavoro di autoesplorazione e autoconsapevolezza che il cliente compie su di sé con l’agevolazione del counselor, serve a riappropriarsi del proprio progetto personale e professionale. Una ricerca di affermazione che assume un valore etico poiché non danneggia altri soggetti.

Il counseling in azienda assume un ruolo importante quando si tratta di assistere ad operazioni dolorose come la riduzione del personale. In questi casi, i soggetti licenziati devono affrontare la grave situazione concreta ed anche i sentimenti di umiliazione e rifiuto. Vi è il rischio che si possano innescare atteggiamenti distruttivi, a volte autodistruttivi. Il ruolo del counselor è utile anche in questo caso. Il suo intervento in azienda, però, è lontano da logiche di tipo padronale o sindacale.

Il suo è un compito diretto alla persona, per migliorare la sua qualità di vita e la sua soddisfazione personale, poiché il vero capitale di una azienda è l’intelligenza, la disponibilità e l’impegno dei suoi dipendenti. Se l’azienda sarà globalmente attenta alla persona, non importa a quale livello egli appartenga, assisterà all’aumento della motivazione a costruire in essa e per essa, senza che il dipendente perda il rispetto della propria identità e del proprio valore.