Autore: Dott.ssa Emanuela De Bellis

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La seconda puntata sul ruolo dello psicoterapeuta comincia da dove l’abbiamo lasciata la scorsa settimana. Cercando di rispondere alla domanda “A che serve la psicoterapia?”, e non volendo tediare nessuno con lunghe riflessioni epistemologiche, mi è sembrato più semplice affrontare questa complessa questione raccontando cosa non è uno psicoterapeuta, ovvero stereotipi e e ruoli che gli vengono comunemente attribuiti.

La scorsa settimana ho quindi esplorato il ruolo che viene attribuito al terapeuta da una fetta di utenti che ci vanno e che ne sono anche contenti, e non fanno che suggerirlo a tutti i loro cari.
Questa settimana invece vorrei parlare di quelli che stanno dall’altra parte della barricata, quelli che inorridiscono quando scoprono di trovarsi di fronte a uno psicologo. Anche in situazioni mondane, o semplicemente scambiando due chiacchiere in un bar davanti a un caffè, quando scoprono che l’individuo che gli sta davanti, e che fino a pochi attimi prima sembrava una persona normalissima, in realtà è uno psicologo, assumono un’ espressione diffidente, frequentemente caratterizzata da una ruga in mezzo alla fronte: spesso la prima frase detta, a quel punto è: “Io non ho bisogno di uno psicologo”. Perché quando guardano uno psicologo (o psicoterapeuta, psicanalista, qualsiasi cosa contenga il suffisso “psi”) vedono, nascosto dietro di lui, l’ombra pericolosa della manipolazione.

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Chi vede nello psicologo un pericoloso manipolatore è convinto che, se non sta in allerta, lui, con le sue abilità illusorie e le sue capacità ipnotiche, lo confonderà al punto da fargli credere di essere malato e di aver bisogno di una cura. Dopodiché, si diletterà nel modificare totalmente la sua personalità e i suoi comportamenti, rendendolo incapace di prendere decisioni in autonomia. L’obiettivo di cotanta macchinazione è sconosciuto, qualcosa che ha a che vedere con il potere professionale, o semplicemente con l’accumulo di reddito. Spesso infatti gli psicologi vengono immaginati come disposti a tutto pur di costringere il paziente in terapia, in modo da poter contare su un’entrata costante e consistente.

Voglio rassicurare tutti dicendo che manipolare una mente è molto più difficile di quanto si immagini: non bastano né i 5 anni di università né tantomeno i successivi 4 anni di specializzazione per costringere qualcuno “con il solo potere della mente” a intraprendere un percorso terapeutico senza bisogno, sia per l’aspetto economico, non trascurabile, che per quello dell’impegno di cui parlavamo la scorsa settimana. Per quanto riguarda la modifica della personalità, non è interesse dello psicologo cambiare l’essenza profonda di nessuno, quanto piuttosto lavorare sul disagio portato dal paziente, e non al paziente.

Solitamente se una persona decide di consultare uno psicologo, alla base c’è una difficoltà che richiede un lavoro piuttosto lungo e impegnativo, che non può avvenire senza l’impegno dell’utente. Per uno psicoterapeuta lavorare con un paziente non convinto di voler intraprendere un percorso, che non si impegna quindi nel lavoro terapeutico, è è frustrante quanto per un cardiologo curare un cardiopatico che non segue nessuna delle indicazioni prescritte: può essere curato al meglio lì per lì, ma tornerà sempre al punto di partenza, senza possibilità di remissione completa.

Quindi per tutti coloro che hanno paura che qualcuno li manipoli, li confonda, “strizzi il loro cervello”, ricordate sempre che il compito della psicoterapia aprire la strada alla libertà, non alla dipendenza.