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Lo so, non lo capite mai. Voi uomini, intendo. E’ qualcosa al di fuori della vostra portata, un po’ come per noi donne comprendere perché diavolo, quando siete persi in macchina in mezzo ad una landa sperduta senza alcuna idea di dove andare, non potete semplicemente chiedere indicazioni a qualcuno. Ecco, per voi uomini vale, invece, quando ci vedere davanti all’armadio tirare fuori montagne e colline di vestiti, ammonticchiarli sopra il letto, provarli, riprovarli, osservarli, valutarli e poi esplodere nel nostro: «Non ho niente da mettere!»
Ci sono cassetti rigurgitanti magliette, ante di armadi traboccanti di vestiti, pavimenti ricoperti di indumenti di ogni genere, letti, divani sommersi dai nostri capi che smentiscono l’affermazione, ma noi donne siamo lì, disperate, quasi piangenti, a gridare la nostra verità: non ci manca “un” vestito, ci manca “il” vestito.
“Il” vestito. Che non è un capo di abbigliamento, è più simile ad una idea platonica di “vestità”. E’ quello che noi abbiamo in testa, dalla nascita, ma anche da prima, perché non eravamo ancora ovulo fecondato e nemmeno embrione, che già eravamo donne e sapevamo della sua esistenza. E anche che avremmo passato una vita a cercarlo, inutilmente, come per tutti gli ideali.
E’ lui, il perfetto, quello nato apposta per l’occasione che oggi dobbiamo affrontare. Quello che non è né troppo corto né troppo lungo, è elegante però non impegnativo, è chic ma comodo. Quello, lui, che miracolosamente non ti fa la pancia e nemmeno il sedere, ma altrettanto miracolosamente fa vedere che li hai, ed al posto giusto. Quello che non tira sul seno ma non te lo appiattisce come una tavola da stiro, epperò manco te lo rigurgita come se fossi una vacca sfasciata. Perché lui, il vestito giusto, questo maledetto, è quello che ti fa la linea di Audrey Hepburn ma con le curve di Angelina Jolie.
Noi lo sappiamo, che esiste. Come gli antichi cavalieri della tavola rotonda sapevano che esisteva il Sacro Graal. Lo cerchiamo con la stessa determinazione, e anche di più, perché, diciamocelo chiaro, Lancillotto si sarebbe sentito tremare i polsi di fronte ad una simile impresa: affrontare una decina di draghi incazzosi è niente rispetto ad un pomeriggio di shopping selvaggio in stagione di saldi.
Lui c’è. Da qualche parte. E’ nascosto in una vetrina che non abbiamo studiato a fondo, in uno scaffale oscuro dove una perfida commessa lo ha relegato. Spetta a noi scoprirlo, salvarlo da questo mondo che non lo capisce e non lo apprezza, perché siamo anime gemelle, noi e lui, e destinate dall’inizio dei secoli ad essere prima o poi unite. Ogni volta che compriamo un vestito, siamo certe che è lui; ma come nelle favole, bisogna baciarne tanti di ranocchi prima di trovare quello che si trasforma in principe, ed anche con gli abiti è così. Portati a casa ed indossati, quasi sempre si rivelano per ciò che sono: ranocchi e basta, perché le luci dei negozi sono raggi di incantesimi che fanno sembrare le cose ciò che non sono, e vestiti, lontano da esse, mostrano la loro forma reale. Cadono come sacchi sformati, segnano il sedere come fosse una mongolfiera, dilatano le cosciotte, incicciottisono le ginocchia, invece che una dea ti fanno sembrare una salsiccia. Così li seppelliamo nei fondi degli armadi, appendiamo alle grucce queste vestigia delle nostre delusioni, a pencolare neglette.
E noi siamo lì, davanti all’armadio, che le guardiamo, orfane del nostro principe azzurro e accerchiate da cenci. Ma mai disposte ad arrenderci. Come con il grande amore che non arriva, così con i vestiti. Prendiamo atto del fallimento, diciamo: «Non ho niente da mettermi.» e via, siamo pronte a ripartire.
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