Autore: Dott.ssa Irene Benini

Esiste una distanza o vicinanza ideale in una relazione? E’ statica, dinamica, mutevole? Come ci avviciniamo ad una persona che non conosciamo? con ingenuità, diffidenza, dubbio o “sospensione di giudizio” ? In che modo il tempo condiziona il costruirsi della nostra fiducia nei confronti di qualcuno?

Nella mia esperienza personale, professionale e privata ho potuto osservare come ogni persona ed anche io stessa, approcciamo al tema della fiducia in modalità molto differenti una dall’altra. La storia delle nostre relazioni ha un peso molto rilevante nel determinare la nostra capacità e peculiarità nel fidarci o essere diffidenti nei confronti dell’altro, in particolare la nostra prima relazione di fiducia: da bambini, essendo in una condizione di dipendenza dall’adulto, tendiamo ad offrire una fiducia totale in chi si prenderà cura di noi, crescendo tendiamo a maturare autonomie, autostima, fiducia in noi stessi e nelle nostre capacità, quindi la fiducia in un’altra persona riveste una funzione diversa, non è motivata dal bisogno e dalla dipendenza da una figura di riferimento, bensì può modularsi sulle caratteristiche di affidabilità, coerenza, stima, serietà professionale ( ed altri parametri personali ) di chi ci sta di fronte; in sostanza si basa su considerazioni e “valutazioni” soggettive, che ci permettono di scegliere quando la nostra fiducia viene “tradita” e grazie al tempo e alle esperienze condivise, la nostra fiducia diviene più o meno solida nella relazione affettiva, lavorativa o di altra natura.

ll tempo è un elemento fondamentale per creare una relazione profonda in cui siano presenti intimità e fiducia, due concetti strettamente connessi. La fiducia per crescere richiede situazioni condivise, quindi tempo vissuto insieme. Spesso tendiamo a dimenticare che il tempo è uno dei più importanti valori della nostra vita, ed è significativo il modo in cui scegliamo di impiegarlo, come e con chi.

Si potrebbe aprire sul tema del tempo che dedichiamo alle relazioni un lungo capitolo. Il nostro rapporto col tempo e il ritmo di vita evolve sempre più velocemente, si modifica, è influenzato dal nostro contesto ambientale e culturale. Vissuto comune, attualmente è di timore rispetto al tempo che fugge. “Il tempo è galantuomo” ricorda il proverbio, ogni tanto mio padre. E’ democratico, è uguale per tutti, viene percepito in modo soggettivo da ogni persona , ma scorre per tutti. Nella nostra epoca istantaneità di collegamento con il mondo, possibilità di avere risposte in tempo reale, urgenza che caratterizza i nostri ritmi di lavoro, ma anche i nostri bisogni, perdendo a volte il piacere di “desiderare”; flessibilità, rapidità, prontezza, sono valori che hanno una ripercussione anche a livello delle relazioni sociali. E’ possibile oggi stabilire un maggior numero di rapporti sociali rispetto al passato, conoscere un numero elevato di persone, grazie a chat, speed –date (come il nome stesso sottolinea) social network, app, ecc..ma sono legami tendenzialmente più fragili, intercambiabili, superficiali, non fondati sulla conoscenza approfondita che si basa su presenza, contatto, costanza, continuità, che solo il tempo e la presenza aiutano ad alimentare e permettono di costruire. Alcuni valori di fiducia, impegno, lealtà, coerenza, che hanno caratterizzato rapporti di lavoro, amicizia, amorosi, vengono sostituiti sempre più da incontri brevi, intercambiali e rapidi. Le persone ed anche noi cambiamo ed evolviamo e sembra ci risulti più facile “cambiare partner o amico”, anziché stare con lui nel cambiamento. Lo stesso accade rispetto al rapporto con noi stessi che è caratterizzato dal miglioramento continuo di sé, dalla ricerca del superamento dei propri limiti psicologici, fisici, alterando i ritmi sonno-veglia , abusando di sostanze che ci mantengono vigili, aumentando le ore di attività, migliorando e aumentando l’efficienza delle nostre prestazioni, viviamo una costante pressione con il rischio di perdere il contatto con il proprio sentire mediato dal corpo, di allontanarsi sempre più da sé, dai nostri bisogni profondi e desideri. Tendiamo a “riempire ” il tempo con molteplici attività, anche al tempo libero, trovandoci spesso con la sensazione di “mancanza di tempo” nello svolgere i compiti quotidiani. Quanto stress può generare in noi questa fretta?. Che spazio diamo alla creatività,ai sogni ad occhi aperti, ai compiti intellettuali , che richiedono riflessione, all’elaborazione e approfondimento di informazioni ? O semplicemente a “stare “ in contatto con noi stessi, con la natura, ad ascoltare le nostre sensazioni ?

E’ possibile inoltre che vivere in questi termini il nostro tempo personale e relazionale alimenti alcuni aspetti narcisistici del sé, come la sensazione di avere il controllo sugli eventi, sul tempo che scorre, sulla possibilità di rimanere giovani nelle sembianze e nel modo di vivere, già ampiamente incoraggiati nella nostra cultura? Cosa potrebbe spingerci ad agire in questo modo? Sembra che il senso di velocità e accelerazione attivi i neuroni dopaminergici responsabile della sensazione di piacere e gratificazione ma è utile ai bisogni relazionali della persona? Diminuisce o aumenta il senso di solitudine ? Una possibile risposta a ciò sta emergendo con i corsi di meditazione, di mindfulness, di slow-food, attenzione al benessere, psicoterapie ad orientamento corporeo, scienza lenta, oltre a ciò forse dovremmo ritrovare un giusto equilibrio, un tempo naturale, forse dovremmo affidarci maggiormente ai tempi e alla saggezza del corpo e dei ritmi naturali o a volte, semplicemente fermarci e osservarci, e contattare le nostre vulnerabilità.

FIDUCIA e vulnerabilità

Come persone adulte, cerchiamo un continuo equilibrio nella fiducia verso gli altri, moduliamo in base alla conoscenza che abbiamo dell’altro, all’impressione che possiamo ricavare quando lo incontriamo, (il nostro sistema registra moltissime informazioni dell’altra persona attraverso l’osservazione che vengono integrate con i nostri paradigmi, schemi, categorizzazioni interne, senza che noi ne abbiamo chiara consapevolezza) e consideriamo l’eventualità di venire delusi o possibilità di venire traditi. Fidandoci ci rendiamo maggiormente vulnerabili e possiamo venire feriti, perciò quando decidiamo di riporre fiducia in qualcuno, dovremmo basarci sulla vera conoscenza dell’altro affinchè non riponiamo una fiducia ingenua, “fantasticata” ( cit. Fiducia Sfiducia di Krisnananda, Amana) ma una fiducia reale, realistica, in cui consideriamo sia i limiti sia che l’affidabilità delle persone potrà non essere sempre costante, ma che è possibile effettuare una continua opera di “ricucitura” della fiducia se il rapporto ha valore per entrambi.

La fiducia ingenua può portare a vivere esperienza di tradimento quando non si valuta a sufficienza la persona e ad affievolire la capacità di fidarsi in seguito, privandoci cosi di esperienze di amore, comunione, amicizia profonda per via della diffidenza e della difficoltà a rimettersi di nuovo in gioco dopo diverse ferite. Quando ci chiudiamo per paura di essere feriti , entriamo nella sfiducia. Viviamo in una situazione dolorosa in cui speriamo di essere trattati in modo che ci faccia sentire sicuri ad esporci, ma inevitabilmente verremo delusi. Come potremmo fare?

Di solito affrontiamo un tradimento negando di essere stati traditi, oppure con rassegnazione, oppure risentimento, rancore, accusa. E’ bene elaborarle, altrimenti ripeteremo le stesse situazioni. E’ infatti proprio attraverso la comprensione ed elaborazione di dolori, abbandoni e tradimenti che potremmo riscoprire la fiducia reale. Non dovremmo basarci sull’esterno e su come veniamo trattati per avere fiducia. Per una fiducia genuina sarebbe importante non dipendere dagli altri ne da qualcosa di esterno, ma dovrebbe essere un’esperienza interiore di connessione con il nostro essere e la nostra esistenza. E’ necessario basarsi sulla fiducia in se stessi , nella nostra intuizione, nei nostri pensieri e sentimenti nella nostra capacità di distinguere tra ciò che vogliamo dalla vita o da un ‘altra persona che non ci sembra corrispondere ai nostri bisogni. Costruire fiducia in sé è un processo costante, significa credere nel proprio valore, avere una buona opinione di sé sia nei momenti positivi che in quelli difficili, conoscere i propri limiti e i propri punti di forza, assumendosi la responsabilità delle proprie azioni e crescere nei momenti di crisi sfruttandoli come un’opportunità. Non è semplice, ma costituisce una vera e continua cura verso se stessi.

Infine chiediamoci se anche noi siamo degni della fiducia altrui, se i nostri comportamenti denotano senso di coerenza, affidabilità, mantenimento della parola data, serietà, onesta, correttezza. Ci accorgiamo cosi della complessità del legame di fiducia e dell’impegno, costanza, tempo e cura che richiede, come descriveva bene l’autore Saint Exupéry nel suo famosissimo Piccolo Principe dove proponeva un appuntamento giornaliero per curare la propria rosa, con cadenza ad orario regolare, quasi anticipasse un modello relazionale adottato anche in psicoterapia. E’Il tempo che hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa cosi importante”.

Approfondimenti e riflessioni integrate anche da:

  • Fiducia e Sfiducia , Krisnananda e Amana , Feltrinelli
  • Mente e Cervello, n 113 Maggio 2014
  • Piccolo Principe, Saint Exupery, Bompiani