Autore: Giovanni Iacoviello

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La certezza delle azioni nell’incertezza di un mondo che cambia.

 

“Se vuoi vedere, impara ad agire”

Heinz von Foerster

 

Possiamo evitare di sbagliare? Possiamo basare le nostre decisioni sulla logica e sui calcoli e prevedere gli scenari dove andremo a muoverci (il mercato?) e il comportamento delle persone?

La frase di Descartes rappresenta la cultura dominante del mondo moderno ispirata alla predominanza della ragione e alla certezza delle scienze: “Io penso, dunque sono”. La consulente aziendale Anna Zanardi fa notare (Il coraggio di essere stupidi, 2011) che l’uomo è anche un essere che dubita, comprende, afferma, nega, vuole, rifiuta, desidera, che immagina e sente. E fa notare che la logica cartesiana è crollata con la nuova fisica degli anni ’30 del secolo scorso, che ha minato la certezza di conoscere il mondo “così com’è”: la scienza ha ammesso che l’oggettività assoluta e la prevedibilità matematica dei fenomeni sono pura illusione.

Nei rapporti con clienti e fornitori l’incertezza di conoscere il mondo così com’è ci suggerisce che non esistono ragione e torto certi, ma le nostre opinioni sul mondo. Inoltre non possiamo fidarci della razionalità nello spiegare scelte e decisioni, né nostre né dei nostri interlocutori, né prevederle.

Azione sul pensiero.

Che cosa ci interessa se non possiamo conoscere contemporaneamente la posizione e la velocità di una particella, come ci insegnava Werner Heisenberg nel 1927? Cosa ha a che vedere il suo principio di indeterminazione col nostro “tirare a campare” o promuovere la nostra attività, o l’espandere la nostra offerta? Significa che non possiamo stabilire con certezza nessi causali tra due elementi. Significa anche che non si può avere fiducia cieca nella prevedibilità del comportamento umano, ed è in parte anche il caso che colora lo scenario in cui ci muoviamo. Una delle provocazioni di Renzo Rosso della Diesel era: “Gli intelligenti vedono le cose per quello che sono, gli stupidi per quello che possono essere”. Ciò sembra suggerire la differenza tra due figure: quella del vecchio uomo intelligente cartesiano che sa come stanno le cose e le prevede e del nuovo uomo stupido, “che si stupisce” di un mondo imprevedibile in cui agisce senza avere certezze sugli esiti.

Errare vuol dire agire.

Possiamo pensare un po’ prima di agire, e dobbiamo alla fine agire in ogni caso. L’immobilismo ci protegge dagli errori, e alla fine senza muoverci non faremo errori ma non otterremo nemmeno alcun risultato. In un mondo incerto e mutevole “esiste” chi agisce, e quindi sbaglia, lasciando la sua impronta nel mondo, rispetto a chi “pensa” cartesianamente. Certo, dagli errori che facciamo muovendoci dobbiamo anche imparare a correggere la nostra “rotta”. E vale la pena cambiare ciò che facciamo se non abbiamo ottenuto i risultati desiderati. Però vale la pena, sulla scia degli spunti di Anna Zanardi, di abitare con consapevolezza ogni tanto anche la nostra stupidità, che in una visione più ampia non è necessariamente l’opposto dell’intelligenza. Ha notato Renzo Rosso: “Cosa c’era di più stupido che pensare di poter unire tutti i computer del mondo in una sola rete?”. Senza quella stupidità non esisterebbero gran parte delle nostre azioni così come si sono delineate negli ultimi vent’anni.