Autore: Dott.ssa Emanuela De Bellis

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Il dibattito si scatena a ogni accenno dell’argomento. Dalla lista di consigli di Michèle Freud all’articolo del collega sulla rivista divulgativa, dalla chiacchierata tra mamme alla riunione con gli insegnanti, ogni volta che vengono nominate, il mondo sembra dividersi in due: da un lato quelli che hanno dichiarato guerra alle regole, e che le considerano una violenza o una minaccia allo sviluppo sano del bambino. Difendono la libertà del bambino di scegliere le proprie azioni in ogni situazione: solo così, infatti, potrà imparare ad ascoltare i propri bisogni, sviluppare la propria creatività, mantenere intatta la propria unicità. Crescere ubbidendo a delle regole significa subire un’alienazione ed essere costretti ad uniformarsi alla massa acritica.

Sul fronte opposto, invece, si schierano quelli che difendono la regola come strumento necessario per la protezione del benessere del bambino che, da solo, non può sempre comprendere cosa sia meglio per lui, o per la società. Senza dei paletti, necessari anche agli adulti, il bambino non può essere messo in grado di distinguere Se’ dall’Altro e, conseguentemente, non può intrecciare delle relazioni sane. Non dire mai di no significa straripare nella mente del bambino, e non fornire quello scoglio, gentile ma fermo, necessario a stabilizzare la sua personalità. Inoltre (ma questa è un’obiezione portata avanti solo da un segmento di questo fronte) crescere un bambino senza regole lo porterà necessariamente a subire un trauma quando si ritroverà immerso nella società che, per sua natura, è costruita proprio su di esse. Quanto alla creatività, è proprio il limite a permettere l’innovazione: senza di esso, nessuno sarebbe portato a creare nuove soluzioni per aggirarlo.

Come ormai avrà capito chi segue questo blog, non mi piace la tendenza alla psicologia del buon senso, e non mi riconosco nel “giusto che sta nel mezzo”. Vorrei invece aprire una riflessione, e invitare chi legge a dire la sua sull’argomento.
Sono d’accordo sul fatto che il bambino impara il rispetto dell’Altro se ogni giorno ha vissuto un rispetto dell’Altro verso se’: rispettare il suo corpo, la sua intimità, i suoi bisogni è fondamentale per portarlo a riconoscerli come propri, averne rispetto e, conseguentemente, riconoscere anche quelli degli altri. A questo punto però facciamo un passo indietro, e diciamo anche che il genitore è in grado di rispettare il bambino se, a sua volta, ha imparato a riconoscere i propri bisogni, a rispettare il proprio corpo e la propria intimità. E questo forse va tenuto presente nel momento in cui, sul piatto, ci sono i bisogni di tutti.
E’ proprio dalla necessità di mettere insieme i bisogni di tutti che nasce quell’idea di accordarsi e fondare una società: è un processo naturale dell’individuo, inteso come essenzialmente inestricato all’Altro.

Io e mio marito siamo dei pessimi casalinghi, e ogni quattro-cinque mesi cerchiamo di escogitare un nuovo sistema per mantenere un minimo di ordine e pulizia nel nostro nido: da qualche mese, l’accordo che abbiamo è di scegliere una mezza giornata a settimana in cui dedicarci a tutto ciò che riusciamo a pulire. La settimana successiva ci dedicheremo a ciò che abbiamo lasciato la volta precedente. Non c’è stata un’imposizione dall’altro, ma un accordo preso che entrambi ci impegniamo a portare avanti.
Mi piace la parola “Accordo” : sa di condivisione, sintonizzazione, di tonalità emotiva. Forse si può sostituire la parola “Accordo” alla parola “Regola”, concependo una partecipazione attiva dei bambini negli accordi della famiglia, trasmettendo l’impegno a riconoscere i diritti di tutti. A volte la trasformazione passa dal linguaggio.

E, visto che di linguaggio si parla, si potrebbe anche pensare attentamente alle frasi usate con i bambini: evitare per esempio l’uso del riflessivo (“Non si esce in balcone quando è buio!”, “Non si risponde così alla mamma!”), e passare alla più onesta prima persona (“Non voglio che tu esca in balcone quando è buio”, “Non mi piace quando rispondi così”).
Quanto è applicabile tutto questo nella vita di tutti i giorni? Quanto è utile e quante difficoltà può portare? Invito ognuno di voi a dare il proprio contributo a questa riflessione.

Largo è l’intento, stretta la via, dite la vostra che ho detto la mia.

Cosa ne pensate? Qual è la vostra opinione? Lasciate un commento, e rendiamo questa conversazione arricchente per tutti!