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Margareth Matheson e il suo assistente Tom Buckley sono due tra i più importanti ricercatori esperti di paranormale del paese e in quanto tali i principali smascheratori di ciarlatani, guaritori e medium. La dottoressa Matheson in carriera non ha mai confermato un solo evento paranormale e il caso più clamoroso di tutti, quello del chiaroveggente cieco Simon Silver, è l’ossessione che già rischiò di esserle fatale. Chiunque cerchi di smascherare Silver fa una brutta fine e ora il sedicente medium ha intenzione di portare in scena per l’ultima volta uno dei suoi affollatissimi spettacoli psichici.
Il segreto di ogni inganno adeguatamente sofisticato è distrarre lo spettatore, portarlo a guardare o concentrarsi su un elemento in modo che non si accorga del trucco che sta avvenendo da un’altra parte. Allo stesso modo funziona la struttura di questo film congegnato come uno spettacolo di magia in cui, per tutta la sua durata, i protagonisti si concentrano e fanno concentrare lo spettatore sui possibili trucchi del loro indiziato mentre il regista, non visto, può disporre il proprio prestigio.
Dopo aver esordito con il sorprendente Buried, Rodrigo Cortés si misura con la potenza del cinema americano senza mutare atteggiamento. Red lights è un thriller sofisticato che intreccia paura e suggestioni intorno al possibile, l’impossibile e il paranormale, con l’obiettivo di confonderne i confini nella mente degli spettatori e che, come una piccola valanga, cresce in ritmo e tensione in maniera esponenziale attraverso un dosaggio preciso alla goccia di suspense e momenti di stasi. Come i grandi maestri del passato Cortés mostra di sapere che la suspense deriva dalla convinzione dello spettatore di saperne di più dei protagonisti e dall’abilità del regista di creare un mondo in cui l’implausibile è un’opzione reale.
Al suo secondo film Cortés continua a mantenere la caratteristica più interessante del suo esordio, ovvero la capacità di stimolare nello spettatore la volontà di prefigurare quel che accadrà per poi tentare di superarlo, sorprendendolo con i fatti. Red lights non ci riesce in ogni momento, spesso suona un po’ scontato e in altri casi si ha la sensazione di uno svolgimento più canonico di quanto i molti artifici registici non cerchino di mascherare, simile a quello di tanto cinema americano di fine anni ’90. Tuttavia il racconto imbastito intorno al medium non vedente e (forse) onnipotente ha la rara dote di essere più appasionante che sorprendente.
Con uno dei personaggi principali fatto fuori a metà film (fuori campo e senza tante celebrazioni) e una prestazione quasi all’altezza del suo nome da uno degli attori diventati tra i più svogliati e apatici di Hollywood come Robert De Niro (il suo medium non somiglia a nessun omologo villain cinematografico), Red lights stacca di netto la massa di thriller movie a buon mercato con i quali rischiava di essere confuso e diventa un piccolo gioiello di rapidità e ritmo, che non può brillare dell’originalità di Buried ma sa risplendere di una luce propria e confortante.
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